New York, 16 maggio 2007. Gli ultimi giorni di Paul Wolfowitz alla Banca mondiale sono cominciati ieri pomeriggio, quando il board si è riunito per valutare il rapporto interno sulla “violazione delle regole etiche”. L’accusa al presidente, basata sulla testimonianza di un paio di funzionari, è quella di aver aumentato lo stipendio alla sua compagna, Shaha Riza, senza aver consultato i capi del personale, anzi, provando a nasconderlo ai vertici della Banca. La versione di Wolfowitz, surrogata da e-mail e documenti non considerati nel rapporto, racconta una verità opposta: nel 2005, una volta nominato presidente della Banca, Wolfowitz ha chiesto di non essere coinvolto nella questione apertasi sul ruolo di Riza, dirigente della Banca già da sette anni. Si era posto il problema che Riza avrebbe dovuto rispondere, sia pure non direttamente, al suo partner diventato presidente, in una situazione di potenziale conflitto di interessi. La Banca, un po’ maschilisticamente, aveva chiesto a Riza di dimettersi per consentire al suo compagno di presiedere l’istituto, ma lei ha orgogliosamente rifiutato.
La Banca, senza l’intervento di Wolfowitz, le ha offerto una buonuscita, ma ancora una volta Riza ha detto che non vedeva alcun motivo per cui avrebbe dovuto rinunciare alla sua carriera e, stando a un dettagliato resoconto del Los Angeles Times, anche ai successi a cui aveva portato la Banca mondiale nel campo della condizione delle donne in medio oriente (confermati dal presidente palestinese dell’università al Quds di Gerusalemme). A quel punto, il comitato etico della Banca ha scritto a Wolfowitz per comunicargli che il suo coinvolgimento diretto per risolvere la questione non avrebbe violato alcuna regola della Banca, data anche la situazione senza precedenti che si era venuta a creare. Secondo Wolfowitz, i dirigenti avevano paura ad affrontare Riza, per cui gli è stato esplicitamente chiesto un aiuto. La questione è stata risolta con un aumento di stipendio di 50 mila dollari, a compensazione della fine della carriera, e l’assegnazione al dipartimento di stato. L’accusatore di oggi, il capo delle risorse umane Xavier Coll, allora scrisse in un memo che la scelta di Wolfowitz era “un modo ragionevole per andare avanti e trovare una soluzione”. Con l’accordo, Riza ha raggiunto il livello retributivo di un migliaio di altri dipendenti della Banca nella sua posizione. E’ trascorso il 2005 e nessuno ha avuto niente da dire. E’ passato anche il 2006, idem.
Nel frattempo, le politiche anticorruzione intraprese da Wolfowitz – per cui la Banca ha posto come condizione per i suoi prestiti un livello minimo di correttezza nella gestione dei soldi – hanno scatenato l’opposizione europea e di parte dello staff interno, contrari a usare gli strumenti della Banca per inseguire obiettivi politici, ma soprattutto sospettosi che Wolfowitz non avesse abbandonato le sue idee di promozione della democrazia. La crescita del sentimento anti Iraq – una guerra di cui Wolfowitz è stato lo stratega – nelle settimane scorse ha fatto riesumare il caso Riza e a fornire l’occasione buona per liberarsi di Wolfowitz e umiliare la Casa Bianca. Secondo il Wall Street Journal, la vicenda Riza potrebbe essera stata fin dall’inizio una trappola tesa dallo staff liberal della Banca, dagli europei anti Bush e da ambienti vicini al finanziere George Soros. Il polemista di sinistra Christopher Hitchens sostiene che le accuse contro Riza sono “la più disgustosa e disonesta e volgare campagna di character assassination che abbia mai visto”. I 24 membri del board della Banca si sono riuniti ieri per decidere del futuro del presidente, ma le anticipazioni del rapporto, l’ostilità europea e un certo raffreddamento della Casa Bianca sembrano non lasciare scampo a Wolfowitz.
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