mercoledì 30 maggio 2007

La lettera di Daniele Capezzone in risposta alle critiche di Pannella.

Roma, 29 maggio 2007

Carissime compagne, carissimi compagni, care amiche e cari amici radicali,
da sette mesi, con zelo forse degno di miglior causa (dopo che, per cinque anni consecutivi, 26 mozioni da me presentate sono state sempre – e pressoché unanimemente - votate dal gruppo dirigente radicale, Marco Pannella in testa!), vengo sottoposto ad un fuoco di fila di attacchi, con punte di comicità ai limiti del surreale (ancora domenica mattina, Marco mi ha …sobriamente paragonato al Mussolini anni '20).
Entro breve, di questo passo, temo che possano essermi addebitati anche il programma nucleare iraniano, la violazione del trattato di Kyoto, il rischio-Vesuvio e i fatti di Rignano Flaminio. E apposito dossier (si capisce: con documenti inediti e prove schiaccianti!) vi sarà tempestivamente inviato via email.
Cerco di sdrammatizzare, come vedete, ma credo che non vi sfugga l'amarezza anche personale, intima, che questa situazione mi procura, a maggior ragione se penso agli sforzi di moderazione, di pazienza, di responsabilità che ho cercato di compiere in tutto questo periodo, imponendo a me stesso di "non vedere", di "non sentire", insomma di non alimentare una telenovela stucchevole e non di rado piccina.
L'ho fatto (e continuerò a farlo) anche per la stima e la riconoscenza che provo per Marco, a cui debbo moltissimo -e lo ringrazio per questo-, e la cui storia per tanti versi gigantesca meriterà di essere conosciuta ed apprezzata, e per decenni: ed è questo un impegno a cui mi sento vincolato per la mia futura vicenda politica e civile.
Quindi, non mi avventurerò (avrei pena di me stesso) a compilare improbabili "dossier", a fare sapienti "collazioni" di dichiarazioni (significherebbe maramaldeggiare, come ciascuno intuisce...), o a giudicare l'altrui attività parlamentare passata o presente.
Da questo punto di vista, trovo avvilente il tentativo di colpire la mia azione politico-parlamentare: siedo alla Camera da alcuni mesi e, avendo avuto l'onore di presiedere una Commissione, ho ritenuto essenziale dedicarmi pressoché integralmente ad essa (anche per …“imparare un mestiere delicato”, per sbagliare il meno possibile, e per studiare dossier di grande rilevanza), con un'attività intensissima, e sacrificando consapevolmente il momento dell'Aula.
Ciononostante, o forse proprio grazie alla buona semina in Commissione, sono titolare di una della pochissime proposte di iniziativa parlamentare approvate dalla Camera in questo avvio di legislatura, e oggi in iter già avanzato in Senato: si tratta, anche per i suoi contenuti, di una piccola rivoluzione antiburocratica e per la libertà di impresa, e speravo che almeno questo potesse essere motivo di soddisfazione comune; invece, vedo che diviene pretesto per un'ulteriore occasione di piccineria.
Pazienza, poco male. Prendo atto, come si dice. Certo, però, fa una certa impressione constatare che un nuovo frutto dell'albero radicale, anziché essere visto come una opportunità, sia vissuto come un'insidia.
Ma poiché non conosco risentimenti e rancori; poiché ho passione di costruire e non di distruggere, cestino immediatamente le pagine scure, le occasioni di negatività, e guardo avanti. Continuerò a farlo.
Il dramma, però, è che buona parte della leadership politica italiana (e temo, a questo punto, della stessa leadership radicale) sembra non comprendere quanto accade nel paese.
Abbiamo il terzo debito pubblico del mondo; un sistema pensionistico che fa acqua da tutte le parti; una pubblica amministrazione troppo spesso nemica dei cittadini e delle imprese; una pressione fiscale che opprime il paese e lo metterà sempre più fuori competizione; una macchina istituzionale complessivamente inservibile; trasporti aerei e ferroviari che trasformano i viaggiatori in altrettanti sequestrati, e mi fermo qui per carità di patria...
Bene (cioè: male!), dinanzi a tutto questo, con i radicali che rientrano in Parlamento dopo 10 anni e vanno al Governo per la prima volta in 30 anni, possibile che la priorità delle priorità sia occuparsi delle nefandezze del “perfido Capezzone”? Dove non soccorre il senso della misura, dovrebbe aiutare almeno il senso dell'umorismo...
Per conto mio, ho pochissime cose da aggiungere:
1. Nel prossimo novembre, in occasione del Congresso di "Radicali italiani", non ho intenzione di candidarmi alla segreteria. Sono sollecitato in quel senso da moltissimi compagni, ma, allo stato, credo proprio che non lo farò.
Se questo fosse stato il mio obiettivo, mi sarei comportato ben diversamente a Padova, come non pochi dovrebbero ricordare...
Io non voglio "contendere" nulla a nessuno, non ho smanie né ansie, e -visto il clima che da qualche parte si vuol creare- non intendo alimentare né un reality-show né un sudoku né uno psicodramma.
2. Certo, se mi si chiede un'opinione, considero ricco di errori il nostro cammino di questi mesi, e mentirei se dicessi di pensarla diversamente. E’ forse un reato di opinione?
Il "problema", secondo me, non è il nostro stare nella maggioranza (o nell'opposizione, se lì ci trovassimo: e il discorso sarebbe lo stesso), ma il nostro starci così, troppo spesso anchilosati, subalterni, silenziosi e rinunciatari (perfino dinanzi a operazioni di potere opache e discutibili).
Se applicassimo a noi stessi i severissimi parametri di giudizio che abbiamo tante volte usato per valutare i comportamenti delle altre forze politiche, ne uscirebbe un quadro molto duro, mi pare.
E credo che gli attuali responsabili dei soggetti dell'area radicale, ma in primo luogo Marco Pannella ed Emma Bonino, sappiano che (ben al di là delle mie valutazioni) questo è un punto politico centrale, e difficilmente eludibile. Anche perché il naufragio elettorale di ieri dell’Unione (ben al di là -lo sottolineo- della sorte dei vincitori e dei vinti di giornata) parla a chiunque abbia orecchie per intendere.
3. "Rinnovarsi o perire", diceva un grande socialista del secolo scorso. La mia convinzione è che, dinanzi ad una crisi strutturale del paese, occorrano parole, cose, "varchi", strumenti, progetti, leadership rinnovate.
L'Italia (come i radicali, e come ogni altro, del resto) ha bisogno di progettare il futuro, di "pensieri lunghi" e non di sterili e rancorose dispute sul passato. Lavorerò per questo, e credo proprio che non soffrirò di solitudine...Tante e tanti radicali (e non radicali) avranno senz'altro modo di farsi una opinione e una valutazione propria.
Le idee e le speranze liberali, liberiste, libertarie, radicali, hanno un grande terreno da conquistare, cioè da far fiorire.
E’ una sfida appassionante, e -come potrò, come mi riuscirà- cercherò di fare la mia piccola parte per animarla, e per consentire a tante e tanti altri di compiere, insieme, la stessa buona fatica.

Daniele Capezzone

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