mercoledì 23 maggio 2007

Guerra inter-palestinese. Stefano Magni

La violenza dei palestinesi non è una reazione all'occupazione israeliana. Se questa affermazione era considerata come una bestemmia durante la prima e la seconda intifadah, adesso è una verità evidente a tutti. La prima intifadah scoppiò nel 1987 sotto forma di sollevazione popolare, guidata dall'Olp. I difensori della causa palestinese avevano buon gioco ad affermare che si trattava di una reazione all'occupazione dei Territori da parte di Israele, trascurando il fatto che l'Olp stessa era un'organizzazione eterodiretta, capitanata da un egiziano (Yassir Arafat), voluta e armata per volontà della Lega Araba nel 1964 con lo scopo di distruggere Israele. Prima di allora non esisteva alcuna Palestina, né alcuna coscienza nazionale palestinese: Gaza era un pezzo di Egitto, la Cisgiordania era sotto la monarchia di Amman.
La seconda intifadah scoppiò nel settembre del 2000, sempre guidata da una fazione dell'Olp, Al Fatah. Di popolare non aveva nulla: era un'operazione militare a cui parteciparono le nuove forze dell'ordine palestinesi e soprattutto le nuove formazioni di terroristi suicidi, come le Brigate Martiri Al Aqsa e le Brigate Ezzadin Al Qassam. I difensori della causa palestinese, tuttavia, insistettero con la loro tesi: ci dissero per milioni di volte che si trattava di una reazione popolare alla «passeggiata di Sharon» nella Spianata delle Moschee. Dimenticando il particolare che la «passeggiata» era stata concordata con le autorità religiose palestinesi e che i preparativi per la campagna terroristica, iniziata nel settembre del 2000, erano in corso da anni. Dal 1993 la Palestina araba era autonoma a tutti gli effetti e amministrata dall'Autorità Nazionale Palestinese. Nell'estate del 2000, nel corso delle trattative a Camp David, il governo di Gerusalemme (allora guidato dal laburista Ehud Barak) aveva accettato di cedere ai Palestinesi il 98% dei Territori. Ma, soprattutto, chi continuava a sostenere che la violenza palestinese fosse solo difensiva dimenticava un altro particolare macroscopico: che oltre alla guerra tra Palestina e Israele si combatteva una guerra parallela tra palestinesi, con centinaia di vittime. Gli scontri tra fazioni divennero particolarmente gravi (e arrivarono all'attenzione dei media internazionali) nel 2004 e poi alla vigilia della morte di Yassir Arafat.
L'ultimo scontro che si sta combattendo nei Territori è tutto interno alla Palestina: i primi morti della lotta fratricida fra Hamas e Al Fatah sono stati fatti ben dopo il ritiro dei coloni israeliani dalla Striscia di Gaza. Se si prestasse maggiore attenzione alla violenza interna a Gaza, si potrebbe scoprire anche la causa della guerra combattuta nel 1987-1993, di quella del 2000-2004 e di quella in corso: la determinazione a distruggere Israele. Al Fatah, guidata da Abu Mazen, ha «tradito» il suo fine: che è letteralmente quello di ributtare a mare gli ebrei, come sancito dalla prima Carta dell'Olp. In realtà lo ha «tradito» fino a un certo punto, perché anche Abu Mazen, sostenendo il diritto al rientro dei profughi palestinesi, intende distruggere lo Stato ebraico: demograficamente e non militarmente. Inoltre Al Fatah non ha mai rinnegato esplicitamente il suo «piano a fasi», secondo il quale prima si deve costituire uno Stato palestinese indipendente e sovrano e poi si deve procedere all'annientamento del vicino ebraico. Hamas attacca gli uomini di Al Fatah perché intende distruggere Israele subito, senza passare attraverso fasi intermedie, con una campagna militare e terroristica che dissangui il nemico.
Queste sono le ideologie, violentissime, nel nome delle quali si sta combattendo l'attuale guerra civile palestinese. Hamas, oltre a colpire i «traditori» di Al Fatah, non dimentica il suo obiettivo: è per questo che, tra un'imboscata e l'altra contro i nemici interni, non risparmia lanci di razzi Qassam contro il sud di Israele. Con queste azioni spera di attirare la reazione militare israeliana. Hamas spera che i carri armati con la stella di David attacchino in mezzo alle viuzze e alle case popolari di Gaza, per ripetere il successo degli Hezbollah in Libano e per unire il popolo palestinese sotto le insegne della jihad. Finora Israele ha risposto solo con raid aerei mirati. Se rispondesse con un'invasione di Gaza, schiere di giornalisti e intellettuali sono pronti a dichiarare che «la causa della violenza palestinese è l'occupazione israeliana». Perché già lo dicono.

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