La visione libertaria dell’America su Birmania, Darfur, Cuba e Zimbabwe.
Con il discorso di ieri all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, in cui ha annunciato nuove sanzioni contro la giunta militare che opprime la Birmania con il suo “regime di terrore”, il presidente degli Stati Uniti George W. Bush ha messo di nuovo sotto il naso degli antibushisti irrevocabili il solito problema. Il presidente mantiene quello che promette, e quello che promette e mantiene sono cose buone e necessarie, nel vecchio senso filosofico “che non potrebbero essere altrimenti”. Al momento della sua seconda investitura, nel gennaio del 2005, tutti si attendevano da lui un discorso di accettazione giocato su uno schema di funzionamento sicuro, metà retorica buona per ogni stagione e metà rivendicazione prudente dei risultati raggiunti fino ad allora (suffragio universale in Iraq e in Afghanistan, reti inviolate sul fronte della sicurezza interna). Poteva tenersi al riparo di una linea difensiva inattaccabile. Il presidente scelse invece il rilancio, con un discorso d’inizio mandato che è diventato il più radicale manifesto libertario degli ultimi decenni. Un discorso che secondo Peggy Noonan, ex speechwriter di Ronald Reagan, sarà ricordato come “The liberty speech”, il discorso della libertà. Questo fu il passaggio più impegnativo, che fece rizzare i capelli sulla nuca dei cosiddetti realisti: “La politica degli Stati Uniti è quella di cercare e di sostenere la crescita dei movimenti democratici in ogni nazione e in ogni cultura, con l’obiettivo finale di porre fine alla tirannia nel mondo”. Capito il presidente petroliere, conservatore, figlio di papà? “Sostenere la crescita dei movimenti democratici in ogni nazione”. Premio finale: la fine della tirannia nel mondo. Due anni e mezzo dopo, Bush procede sullo stesso binario. Stesso mandato, stessa visione, stessa marcia condivisa idealmente con le colonne di monaci rasati che guidano la protesta in Birmania, come l’ha chiamata il presidente con il vecchio nome cancellato dalla giunta militare. Un paese dove i dissidenti politici consumano il tempo della loro pena ai lavori forzati, sul ciglio delle strade e sugli argini in terra dei fiumi o chiusi in gabbie per cani nella prigione di Insein (secondo il rapporto di Amnesty International). Dove la pena per i reati di pensiero parte dai dieci anni di carcere, solo per avere scritto una lettera con contenuto non autorizzato o per avere fatto volantinaggio. Dove l’esercito costringe la popolazione a fuggire dai villaggi, brucia le case e uccide chi tenta di farvi ritorno. Dove la maggioranza degli pseudoministri appartiene alle forze armate. Ora, dice il presidente americano, arrivano sanzioni più dure contro il regime e contro chi lo sostiene finanziariamente e anche un bando sui visti dei responsabili delle violazioni più plateali dei diritti umani. Avviso per la militanza antibushista. Il presidente della libertà George W. Bush ha citato anche Darfur, dove il suo pressing è già decisivo, Cuba e Zimbabwe.
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2 commenti:
VUOI SCOMMETTERE CHE QUALCUNO, QUI, DARA' TORTO AI MONACI?
necessita di verificare:)
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