Caro Direttore, troppo spesso i temi legati alla «microcriminalità», cioè alla situazione di degrado e illegalità diffusa nelle nostre Città, tornano alla ribalta per situazioni che possono apparire paradossali.
Come quella creatasi con l’ordinanza del Comune di Firenze sui lavavetri. Non serve stroncare o applaudire un provvedimento come quello adottato a Firenze a seconda di convenienze politiche o, peggio, di reazioni emotive. Occorre, invece, capire cosa realmente chiedono i nostri concittadini e quali risposte dare per evitare di agire costantemente inseguendo l’emergenza.
È ormai evidente la necessità di un’azione che riguarda tutti i livelli dello Stato, al di là degli schieramenti politici, per mettere a punto strumenti normativi certi ed efficaci. Strumenti che da un lato ci mettano in condizione di far rispettare le regole e, dall’altro, di combattere strutturalmente e non episodicamente il degrado e il disagio favorendo al tempo stesso il rispetto della legalità, l’integrazione e la coesione sociale.
Perché questo sia possibile bisogna innanzitutto superare l’incoerenza tra normative nazionali e provvedimenti delle amministrazioni locali, anche per non lasciare i Sindaci soli ad affrontare, ciascuno secondo le proprie possibilità e inclinazioni, problemi di illegalità che tutti i cittadini italiani ci chiedono di risolvere.
Il caso di Firenze è, da questo punto di vista, emblematico: il Comune di quella città interviene sul problema dei lavavetri mentre a livello nazionale non ci si è posti il tema di come regolare l’afflusso dei romeni, oggi cittadini europei, ricorrendo – come hanno fatto tanti altri Paesi – a una moratoria del loro ingresso.
Ecco la prima incoerenza: il ddl Amato-Ferrero sull’immigrazione esprime una visione «buonista» e «aperturista» verso l’immigrazione che rischia di accrescere e aggravare situazioni come quelle denunciate dall’iniziativa dell’Amministrazione di Firenze. La precedente legge Bossi-Fini stabiliva, invece, un collegamento chiaro tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro e avrebbe evitato che si producesse un esercito di immigrati senza occupazione e quindi in balia di un mercato che li spinge verso il lavoro nero, quando non addirittura direttamente nella trappola delle organizzazioni criminali. Sono queste le contraddizioni che dividono oggi la maggioranza di centro-sinistra e che fanno apparire iniziative come quelle di Firenze come eccessivamente repressive o, al contrario, tardive.
Il secondo tema che intendo sollevare è quello che ho posto fin dal 26 marzo scorso, quando, accogliendo l’invito di 50 mila cittadini milanesi a scendere in piazza con loro contro il crescente degrado urbano, chiesi al Governo strumenti e norme adeguate a consentire a tutte le città di affrontare i problemi posti dai lavavetri come dai writers, dai racket della prostituzione come da chi sfrutta i minori o truffa gli anziani.
Da quando chiesi, insieme ai miei colleghi delle altre grandi città italiane, la revisione delle normative necessarie a intervenire coerentemente e strutturalmente su questi problemi, sono passati diversi mesi e il senso d’insicurezza e di crescente diffusione della microcriminalità sembra aumentare. È necessario che a questo punto il Governo superi le contraddizioni e i continui ripensamenti che impediscono di arrivare a una decisione. Considero fino a oggi la risposta del Governo molto debole e inadeguata ad affrontare il futuro delle nostre città, il nostro benessere, la nostra convivenza civile.
Milano, da sola, sta lavorando con impegno – e con risultati positivi – su questo fronte: penso al Patto di Legalità con i rom, un accordo rigoroso ma non razzista, che subordina il rispetto delle regole da parte dei rom alla possibilità di vivere nei campi nomadi regolari della città. I rom accettano così le nostre leggi, mandando i figli a scuola, facendo i controlli igienico-sanitari previsti, non sfruttando i minori, in cambio di una accoglienza che è anch’essa un dovere, un valore morale e civile. Abbiamo fatto tutto questo puntando sulla collaborazione con il privato sociale, che a Milano è costituito da organizzazioni come quella di don Colmegna, la cui esperienza e competenza nella solidarietà devono essere considerati un modello per tutti.
Spero che le polemiche di questi giorni e l’atto estremo a cui il Sindaco di Firenze è stato costretto contribuiscano ad aprire gli occhi al Governo e a produrre leggi adeguate.
Sindaco di Milano (La Stampa)
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