Con sadico compiacimento i giornali (in particolare il Corriere, con Marisa Fumagalli, imprecisa anche nell’indicare le presenze degli esponenti del centrodestra ai funerali di Pavarotti, anche se forse non riesce a riconoscermi in questa categoria, bontà sua), riferiscono della brutta avventura occorsa a Lele Mora, fischiato e insultato dalla folla. Non si può negare che sia andato a cercarsela, con quella storia dell’invito concesso per sussiegosa benevolenza («ha fatto un po' di numeri e, alla fine, gli abbiamo dato il cartoncino per entrare - spiegano allo sportello dell'ufficio stampa del Comune di Modena -. In certi casi è meglio non infierire»). Ma la brutta avventura dimostra che a nulla è servita la lezione della improvvisa morte di un altro personaggio, travolto prima da un’inchiesta giudiziaria, e poi dal fragoroso riscontro della morte di Pavarotti: il povero Gigi Sabani, mortificato, umiliato, e anche fisicamente indebolito da un’inchiesta per vicende insignificanti e alle quali era assolutamente estraneo. Ricordo che, esattamente 11 anni fa, fui il solo a difenderlo, ravvisando il vero reato nella inchiesta. Come in numerosi altri casi, nonostante la rabbia inumana dei vari Grillo, Travaglio e, in un certo periodo, Di Pietro, l'azione della magistratura, imprudente, aggressiva, priva di riscontri si è trasformata in una vera e propria diffamazione legalizzata. E mentre io ho ricevuto infinite querele per aver parlato, spesso dicendo la verità, i magistrati hanno rovinato vite, come quella di Sabani, senza mai rispondere dei loro errori. E quando le vittime, riconosciute innocenti, hanno preteso il dovuto risarcimento per una ingiusta detenzione (ricordo che andai a visitare Valerio Merola nella stessa cella di Regina Coeli dove era stato fino a qualche giorno prima Erich Priebke), non hanno pagato i magistrati colpevoli, ma lo Stato, cioè i cittadini, cioè noi. E i diffamatori, spesso sono stati promossi. Questo amore del popolo per la giustizia sommaria, e, ovviamente, contro i privilegi, le immunità, e i politici, ha trovato in questi giorni una ulteriore conferma nel Vaffa-day di Beppe Grillo, grande sostenitore delle cause facili.
Ma, tornando a Lele Mora, il linciaggio verbale della folla, non è forse frutto di una delle inchieste più inutili e sprecone degli ultimi anni? Oltre al danno personale per Lele Mora, i cui comportamenti possono essere anche antipatici e non condivisibili, la Procura di Potenza, per farci conoscere le vicende sentimentali di Elisabetta Gregoraci e Flavia Vento, le marchette di Vittorio Emanuele ed i gossip fotografici di Fabrizio Corona «sventati», talvolta per puro buonsenso, dallo stesso Lele Mora, ha speso 7 milioni di euro dei contribuenti che potevano essere utilmente indirizzati al restauro di edifici storici di proprietà del ministero degli Interni (il FEC, fondo edifici di culto).
Questo mi pare il vero scandalo, che non interessa Grillo, ma che è aggravato dagli effetti misurati ieri su Lele Mora. Diffamazione legalizzata, e una conseguente commiserazione per Lele Mora, che potrà adesso cominciare a preparare una causa per danni contro Woodcock, nella certezza che a risarcirlo sarà anche Marisa Fumagalli, che pure ha contribuito ad amplificare la diffamazione. Mi conforta che queste riflessioni siano condivise da una gentile signora di Borgali, Tina Pira, proprietaria del ristorante Il Querceto, che cerca di spiegare ad un ospite tedesco che legge sul Corriere il resoconto dei funerali di Pavarotti, chi è Lele Mora. L'ospite non capisce bene perché abbia tanto spazio sul giornale e perché sia stato fischiato. Tina Pira non è convinta. Pensa, me lo dice, a Gigi Sabani e pensa anche a un grande giudice in Sardegna, Luigi Lombardini che dopo essere stato diffamato da una inchiesta dei suoi colleghi magistrati palermitani, che gli rimproveravano di avere contribuito alla liberazione di Silvia Melis, si è ucciso. Sabani, Lombardini. C'è da augurarsi che, perché non faccia la stessa fine, Lele Mora sia colpevole. (il Giornale)
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