domenica 16 dicembre 2007

America amara. Raffaele Iannuzzi

L'articolo di Ian Fisher, pubblicato il 13 dicembre sul New York Times, e, come al solito, celebrato dai nostri massmedia, nel solito peloso «discontento» italiota, è una paccottiglia banale e superficiale, zeppa di stereotipi mutuati dalla pubblicistica di sinistra. Cioè, dai soliti noti. La stampa anglosassone, sia inglese che americana, soprattutto liberal, cioè progressista (ovvero, di sinistra), è la prova del nove che smonta la presunta superiorità di quel modo di fare giornalismo. La rivista-partito The Economist è il non plus ultra in materia: ricordo di sfuggita i due report sull'Italia e gli indecenti articoli-sermone contro Berlusconi, non su Berlusconi, ma dichiaratamente contro Berlusconi. Tana de Zulueta, giornalista di questa rivista, è finita al parlamento europeo per aver ben servito la causa dell'antiberlusconismo militante. Oggi, il New York Times ripercorre la stessa strada e scodella un'articolessa di 7 pagine, scaricabile on line che, alla fine, fa rimpiangere il tempo perso nella lettura, che sarebbe stato assai meglio impiegato in qualche altra meritoria attività.

Vengo al merito del pezzo di Fisher. Allora, udite udite, il prestigioso quotidiano newyorkese scopre che l'Italia sta attraversando un periodo di crisi strutturale. Caspita che novità stratosferica, soprattutto per noi che in questo Paese ci viviamo e lavoriamo. Bene, dopo questa straordinaria scoperta, ci vien detto che Walter Veltroni - che dovrebbe essere il segretario del Pd, se non vado errato... - è certo che l'Italia abbia perso gran parte del suo slancio verso il futuro, chiudendo questa profondissima analisi con una massima alla Rouchefoucauld: «There is more fear than hope». Letteralmente: c'è più paura che speranza. Meno male che ci sono Veltroni e Diamanti a ricordarcelo, c'era quasi sfuggito il bandolo della matassa. Dunque, prima fonte del giornalista americano: Veltroni, segretario del Pd, sinistra. Dopo, a seguire, le solite banalità sul declino italiano, e guarda caso, facendo riferimento all'annus mirabilis, il 1987, in cui l'Italia eguagliò la Gran Bretagna, non si richiama neppure en passant che ciò fu dovuto in larga misura ad un certo Bettino Craxi, presidente del Consiglio dell'epoca. Non c'entrerà mica il politically correct, per caso? Ma superiamo la nostra malizia e torniamo al merito. L'altra fonte del giornalista è nientemeno che Beppe Grillo, anche qui, il dubbio di obiettività è quantomeno lecito. A seguire Gomorra di Saviano. Niente male come riferimento, sinistra chiaramente. Infine, dopo una sbrodolatura di citazioni raffazzonate e messe giù con un paio di citazioni a sostegno (la ricerca di un'economista italiana di Roma, Luisa Corrado, che sostiene la tesi di Fisher, ma non c'è nessun altra prova che la metta a confronto, dunque siamo alla propaganda), si chiude con Montezemolo, che dice «now it's time to change», è tempo di cambiare, signori e signore, infatti, vorremmo cambiare i capitalisti italiani, a cominciare da lui, e Alexander Stille, autore di un brillante saggio «Citizen Berlusconi», che crede di affondare Berlusconi, in realtà ne fa l'apologia indiretta, mettendolo a capo del populismo democratico, cioè dei cittadini comuni, la common people, che Lasch sapeva essere il cardine dell'America, almeno fino alla vittoria delle élites progressiste, che poi hanno tradito la loro missione storica.

Ecco, questo è l'articolo di Fisher, che ha meritato, ovvio, una due giorni mediatica continua. In queste sette lunghe e farraginose pagine non si nomina Prodi che una volta, con aplomb, si dice che ha sì qualche problemino, con quella coalizione di nove partiti che è solo un cartello elettorale anti-berlusconiano, ma insomma cosa volete che sia, il problema è un altro. Mentre Fisher si decide a trovare il cuore di questo fantomatico problema italiano, vorremmo sapere come ha fatto a scrivere un pezzo sull'Italia, senza neanche mai nominare una volta Silvio Berlusconi, il suo progetto politico attuale, il popolo della libertà e il fatto che il tanto decantato Veltroni è alla mercè del leader della destra e non viceversa. Veltroni oggi dialoga con Berlusconi perché si trova in stato di minorità nella sinistra ed è figlio di un dio minore, Prodi. Ma questo Fisher non lo sa o, meglio, finge di non saperlo. Capita anche nelle peggiori famiglie, quella dei progressisti americani. Stampelle dei nuovi partiti democratici in nome dei vecchi. (Ragionpolitica)

3 commenti:

polis ha detto...

Vi segnalo il blog Polis dedicato alla politica e all'attualità all'indirizzo: www.polisfs.blogspot.com

Anonimo ha detto...

Ti ricordo che quando vuoi puoi segnalare i tuoi post sull’aggregatore a sostegno del Partito della Libertà:
http://www.perilpartitodellaliberta.com/
Ciao
http://www.camelotdestraideale.it/

Anonimo ha detto...

Post illuminante.
Resta il fatto che di bugie ce ne sono poche in ciò che ha scritto il NYTimes.
E noi lo sappiamo.

www.dillatutta.com