Nota per i professionisti della lotta al conflitto di interessi: l’ex sindaco di New York, Rudy Giuliani, oggi candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti, in caso di elezione alla Casa Bianca non taglierà i legami con la sua azienda di consulenze internazionali nel campo della sicurezza e nemmeno renderà noti tutti i nomi dei clienti a cui fornisce consulenze non nel settore della produzione di noccioline, ma della sicurezza nazionale.
Giuliani è stato ospite domenica di Meet the Press, la più importante trasmissione politica condotta su Nbc da Tim Russert. L’intervista è stata di quelle toste, con il giornalista che per un’ora intera ha contestato al favorito dei repubblicani parecchie cose pubbliche e private della sua vita e con Giuliani sempre sulla difensiva, ma pronto a rispondere a tono.
C’è stato però un passaggio, intorno a metà dell’intervista, che al di là dei racconti che se ne fanno in Italia spiega molto bene come funziona la questione del conflitto di interessi in America, cioè nel paese al mondo dove c’è più attenzione al tema della trasparenza e della correttezza. Come è noto in America non esiste una legge sul conflitto di interessi e Rudy Giuliani in diretta televisiva ha detto senza alcun problema che continuerà a mantenere le sue quote nell’azienda che ha fondato subito dopo aver lasciato la carica di sindaco di New York. Il potenziale conflitto di interessi, in questo caso, non è soltanto economico (le consulenze ad aziende e governi stranieri hanno consentito a Giuliani Partners di fatturare intorno ai cento milioni di dollari), ma arriva a coinvolgere la sicurezza nazionale degli Stati Uniti.
Tra le poche cose note, si sa infatti che l’azienda di Giuliani fornisce consulenze al governo del Qatar. L’emirato del Qatar è un alleato degli Stati Uniti ma, hanno ricordato prima il Wall Street Journal e domenica Tim Russert, alcuni suoi esponenti governativi sono accusati di aver aiutato uno degli ideatori dell’11 settembre, Khalid Sheikh Mohammad, a scappare mentre era ricercato dagli Stati Uniti. Il Qatar, inoltre, finanzia la televisione Al Jazeera, esprime grande soddisfazione per la vittoria di Hezbollah in Israele e così via. Giuliani ha difeso il lavoro della sua azienda, spiegando che l’America ha bisogno di farsi nuovi amici in medio oriente e che, al di là della retorica, l’emirato è un solido alleato impegnato nella lotta comune ad al Qaida e al punto da ospitare nel suo territorio un’ampia base militare americana.
Il giornalista di Meet the Press ha ricordato i legami tra il ministro degli Interni qatarino e al Qaida, citando addirittura un ex agente della Cia convinto che il fondo governativo che paga le fatture alla Giuliani Partners sia lo stesso che finanziò la fuga dell’ideatore degli attacchi dell’11 settembre. Non solo. Giuliani è titolare anche di una società di consulenze legali che fino a poco tempo fa difendeva la Citgo, un’azienda del Texas direttamente legata al presidente venezuelano Hugo Chávez. Un costruttore di Las Vegas con cui Giuliani ha lavorato ha avuto una partnership con un miliardario di Hong Kong vicino al dittatore comunista della Corea del Nord, Kim Jong-Il. Giuliani ha una risposta per ciascuna di queste accuse, che giudica false e ingiuste, ma l’elenco dei rapporti a rischio per il potenziale conflitto di interessi si arricchisce giorno dopo giorno con nuove rivelazioni dei giornali. Sicché Tim Russert gli ha chiesto perché non fornisce agli americani l’elenco di tutti i suoi clienti in modo da rassicurare il pubblico e fermare una volta per tutte lo stillicidio di sospetti.
Giuliani ha risposto che non lo può fare, perché in alcuni casi sono stati firmati accordi di segretezza che la sua società non potrà violare. Il giornalista di Meet the Press gli ha ricordato, però, che continua a ricevere soldi dalla sua società. E Giuliani ha replicato con il piglio tipico del mero proprietario: “Non sono coinvolto nella gestione quotidiana della mia azienda. Sono solo un proprietario della società”.
Russert ha provato a spiegare che se Giuliani continuasse a ricevere soldi dalla sua azienda, non farebbe altro che invogliare chiunque abbia interesse a influenzare la sua presidenza a richiedere la consulenze della Giuliani Partners: “Perché non taglia ogni rapporto finanziario con la sua società?”. Giuliani ha risposto così: “Sono il proprietario… Non farò più di quanto sia assolutamente richiesto”. E la legge, appunto, non lo richiede, nemmeno se in gioco c’è addirittura la sicurezza nazionale del paese.
Russert ha provato ad attaccare su un altro punto: “Quando si è candidato a sindaco, lei ha reso pubbliche le sue dichiarazioni dei redditi. Farà lo stesso anche adesso?”. Giuliani: “Al momento giusto prenderò in considerazione la cosa”. Russert: “Qual è il momento giusto?”. Giuliani: “Il momento giusto non è questo. Quando arriverà vedrò quali saranno le cose appropriate da svelare, sulla base di ciò che faranno gli altri. Ovviamente farò tutto ciò che richiede la legge e se sarà il caso anche qualcosa di più”.
Giuliani ha detto “sulla base di ciò che faranno gli altri”. Uno dei suoi concorrenti potrebbe essere l’attuale sindaco di New York, Mike Bloomberg, che, secondo molti osservatori politici, potrebbe usare parte del suo ingente patrimonio, sborsare mezzo miliardo di dollari per evitare il lungo e fastidioso processo di raccolta fondi a cui sono obbligati tutti gli altri. Da sindaco, Bloomberg non rende nota la sua dichiarazione dei redditi, perché se lo facesse – ha detto – danneggerebbe il business delle sue società. E quando ha chiesto all’organo comunale nominato da lui stesso di valutare se una piccola quota del suo patrimonio, circa 50 milioni di dollari su un totale, allora, di 4 miliardi, fosse in potenziale conflitto di interessi, non li ha messi in un blind trust, ma li ha venduti dando in beneficenza il ricavato. (il Foglio)
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