lunedì 10 dicembre 2007

I furbetti delle riforme. Luca Ricolfi

Parlare di legge elettorale non mi piace: non sono uno specialista dell’argomento e inoltre penso sia un tema troppo tecnico, troppo difficile, una di quelle questioni su cui la maggioranza delle persone normali non ha né intende avere convinzioni assolute e incrollabili. Però da un po’ di tempo sento anch’io il bisogno di dire qualcosa. Da un po’ di tempo, quasi tutto quel che leggo sulla riforma della legge elettorale mi fa venire il nervoso, o una certa «flin-a», per usare un’intraducibile espressione piemontese. È l’inquietudine che ti viene quando hai l’impressione di essere preso in giro, ma non capisci bene come e perché.

Riflettendoci, però, credo di sapere che cosa mi dà tanto fastidio. Quel che non mi piace sono i due messaggi che, in modo più o meno palese, vengono indirizzati all’opinione pubblica attraverso l’astruso dibattito sulle riforme elettorali e istituzionali.

Il primo messaggio dice più o meno così: cari italiani, questo Paese è ingovernabile perché la legge elettorale non funziona, quindi cambiamo la legge elettorale e vedrete che le cose andranno a posto. E qui mi prendo la prima arrabbiatura. Eh no, cari politici, se l’Italia è ingovernata, se da anni tutti i grandi problemi attendono vanamente qualcuno che li affronti sul serio, la responsabilità è innanzitutto vostra.

Una nuova legge elettorale può solo rendervi il mestiere leggermente più facile (o leggermente più difficile, se sbagliate legge), ma non trasformerà mai un mediocre ceto politico in una vera classe dirigente. Se litigate continuamente fra di voi, se rimandate ogni volta le scelte difficili, se non ci spiegate mai che cosa vorreste fare e chi ve lo impedisce, è innanzitutto colpa vostra. Il problema centrale dell’Italia non è la legge elettorale, ma siete voi. Non riuscivate a governare con il proporzionale. Non ci siete riusciti con il mattarellum, non ci state riuscendo con il porcellum. Non ci riuscirete neanche con il vassallum, né con qualsiasi altra diavoleria vi sarete inventata nel frattempo. Insomma, il «dibattito» sulla legge elettorale sta diventando l’alibi che permette a questi politici di non guardarsi allo specchio: dando la colpa alle regole, implicitamente assolvono se stessi. È questa la risposta della «casta» al libro di Stella e Rizzo?

Ma veniamo al secondo messaggio che, sempre più spesso, martella l’opinione pubblica. Esso non arriva dal ceto politico nel suo insieme, ma dai difensori a oltranza del sistema maggioritario. Il messaggio dice: coloro che vogliono tornare al sistema proporzionale, e in particolare Berlusconi e Veltroni, stanno tradendo la volontà di milioni di cittadini che - con il voto nei vari referendum sulla legge elettorale - si erano espressi a favore del sistema maggioritario. Anche questo è un messaggio obliquo e insincero. Se lasciamo per un momento da parte gli intellettuali e i circoli illuminati, che sanno sempre con implacabile sicurezza qual è il bene dell’Italia, ma parliamo invece della gente normale, la realtà è che sono in pochissimi ad avere idee precise e motivate sui sistemi elettorali. È molto ingenuo credere che fra il 1991 e il ’93, ai tempi dei referendum Segni, gli italiani avessero compiuto una scelta meditata e irrevocabile a favore di una tecnica elettorale piuttosto che di un’altra. Allora come oggi la gente non ne poteva più del ceto politico, e allora come oggi l’unico mezzo che le veniva offerto per (provare a) liberarsene era un cambiamento della legge elettorale. Se l’Italia della prima Repubblica fosse stata governata con il maggioritario, forse avremmo puntato sul proporzionale. Così come oggi, visti i risultati del maggioritario, siamo tentati di fare macchina indietro e di tornare a qualche forma di sistema proporzionale. È inutile nasconderlo: il ritorno di simpatia per il proporzionale puro, senza premio di maggioranza, è prima di tutto l’effetto di un quindicennio di speranze deluse, la presa d’atto della fine di una stagione. È da vent’anni che gli italiani vogliono liberarsi di questa classe politica, ma poiché sono persone educate e pacifiche non trovano mezzi migliori che firmare referendum e sperare in un cambiamento delle regole.

Anch’io ho firmato il referendum di Guzzetta e Segni, anch’io penso che la legge elettorale attuale - il cosiddetto porcellum - non sia una buona legge, anch’io credo che l’Italia funzionerebbe meglio se cambiassimo in modo oculato regole elettorali e istituzionali. Ma se sento parlare di proporzionale non mi scandalizzo e tanto meno mi sento tradito. In tanti abbiamo creduto nel maggioritario illudendoci di voltar pagina e di guadagnarne un ceto politico migliore. Oggi, di nuovo, ci piacerebbe voltar pagina, ma almeno dovremmo aver imparato che nessuna legge elettorale - proporzionale o maggioritaria che sia - renderà migliore il ceto politico che ci ritroviamo. (Corriere della Sera)

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