Ieri l’Istat ha reso pubbliche le sue stime sull’andamento dei prezzi al consumo nel mese di novembre. I dati provvisori indicano che c’è stata una brusca accelerazione nella dinamica dei prezzi. Trainati dall’incremento dei prezzi dell’energia, sono aumentati soprattutto i prezzi dei trasporti (quasi un punto in più del mese precedente). Sono passate poche ore e puntuale è arrivata la richiesta da parte dei tre sindacati, Cgil, Cisl e Uil, di interventi del governo per ridurre le accise sulla benzina, onde evitare un «effetto domino» di rincorsa ai rincari. Mentre il presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, ha tracciato foschi scenari di stagnazione e inflazione per l’economia italiana. In realtà non possono essere certo gli incentivi fiscali a risolvere i problemi originati dal caro petrolio ed è proprio la bassa crescita della nostra economia a scongiurare il rischio di un protratto e sostenuto aumento dei prezzi in Italia.
Si tratta di un fenomeno molto probabilmente destinato a rivelarsi transitorio, anche perché alimentato dalla domanda mondiale, dalla forte crescita di Cina e India, e da fenomeni speculativi anziché da una riduzione strutturale della produzione di energia. A un prezzo del petrolio destinato comunque a rimanere più alto che in passato bisognerebbe semmai reagire accelerando il passo delle liberalizzazioni nel settore energetico e dei trasporti in Italia e facendo investimenti su energie alternative con orizzonti lunghi. Proprio come in Cina, un paese in cui la produzione è oggi ad altissima intensità di petrolio, si sta investendo in produzioni di energia pulita che entreranno a regime non prima di vent’anni. Riducendo le accise sulla benzina si finirebbe, invece, unicamente per sussidiare i consumi di carburante, allontanando ulteriormente la risoluzione del problema. Le nostre città sono oggi fortemente congestionate. Siamo passati da 5 auto a quasi 60 auto per ogni 100 abitanti in quarant'anni. Quattro spostamenti in città su cinque sono in auto. C'è quasi solo la gomma in Italia. Ogni nostro cittadino percorre ogni anno 15.000 Km in macchina, il 22 per cento in più della media europea, il 44 per cento in più che in Germania. Paradossale se gli italiani, ieri costretti a lunghe code e salti mortali dallo sciopero dei trasporti pubblici, che a Roma ha seguito a ruota il blocco dei taxi, si vedessero domani consegnare da un governo alla ricerca di consenso immediato una ricetta sicura per far aumentare ulteriormente l'utilizzo dei mezzi di trasporto privati. Sarebbe bene anche evitare di allarmare ulteriormente gli italiani, che già oggi attribuiscono all’inflazione ogni male possibile. L’Italia oggi soffre principalmente di bassa crescita. È questo il nostro problema principale, non l’inflazione. Gli italiani attribuiscono ai prezzi troppo alti problemi che in realtà sono legati all’andamento deludente dei loro redditi, ai bassi salari. Bene, allora, spostare l’attenzione di tutti verso la necessità di aumentare la produttività e il lavoro. Siamo sempre più un popolo di pensionati e le quiescenze oggi cambiano solo in base all’andamento dei prezzi al consumo.
Se invece di indicizzare le pensioni ai prezzi al consumo, le legassimo all’andamento del monte salari, avremmo una fetta consistente della nostra popolazione disposta a sostenere riforme che facciano aumentare l’occupazione e la produttività, dunque i salari, al tempo stesso. Ridurremmo anche il problema delle cosiddette «pensioni d’annata» che variano in modo significativo tra generazione e generazione di pensionati. Questo dovrebbero chiedere oggi sindacato e Confindustria, invece di terrorizzare gli italiani e spingere un governo già miope a fare politiche ancor più a corto raggio. E forse qualcuno dovrebbe ricordarsi di dire grazie all’Euro. Senza di lui, gli effetti del caro petrolio sui nostri prezzi sarebbero di almeno un terzo più rilevanti. (la Stampa)
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