mercoledì 16 settembre 2009

Case, rifiuti e clandestini non chiamiamoli miracoli ma sicuramente sono successi. il Foglio

"Sono stato nelle grotte di Stille, dove domani consegnano nove casette... e mi sono chiesto se abbia senso occuparsi di grotte quando mancano i tetti. Ha senso, se arrivi a capire che nulla sarà mai più come prima, e devi inventarti un futuro", ha scritto Toni Capuozzo sul Foglio del 23 agosto. Poiché la bacchetta magica non esiste, ha senso partire dai fatti. Ma poiché esiste anche la buona e persino ottima capacità del fare, le prime novantaquattro abitazioni in legno che Silvio Berlusconi ha consegnato ieri ai terremotati di Onna sono qualcosa più di una buona politica del fare: sono una scommessa che molti volevano perdente e invece è vinta. Quasi un miracolo. 0 come dice Guido Bertolaso a chi gli ricorda che "cinque mesi fa sembrava una promessa folle": "Abbiamo dato l’anima". Entro fine settembre saranno consegnati altri 350 prefabbricati dei progetto "Case", l’acronimo made in Bertolaso che significa "complessi antisismici sostenibili ed ecocompatibili". E per dicembre le altre "Case" e prefabbricati. Quasi seimila. Dunque si può anche polemizzare che siano state fabbricate in Trentino e montate da uomini della provincia autonoma di Trento. 0 lamentarsi, come da lenzuolo degli abitanti di Tempera, frazione di Paganica: "Dove andremo a settembre? No alla deportazione". 0 accusare la "ricostruzione che procede a macchia di leopardo", dimenticando però la vastità del sisma e un centro storico distrutto al 60 per cento di una città d’arte. O infine cavillare come la presidente della provincia dell’Aquila, Stefania Pezzopane, che "questa case non erano previste, sono state individuate dopo una mobilitazione dei cittadini di Onna, non è merito del governo". Ma intanto è un dato che, sotto la supervisione della Protezione civile e il lavoro di programmazione del governo, le prime case ci sono. E "il 21 settembre le scuole apriranno", come ha detto Berlusconi. Ed "entro la fine del mese saranno smontate tutte le tendopoli (undicimila persone, ndr) e gli sfollati saranno sistemati". Case in legno o antisismiche per 25-30 mila persone, spiega Bertolaso: "Non baracche, non container, non roulotte: sono vere e proprie case". Non sono miracoli, ma assomigliano. E non sono nemmeno gli unici di questi mesi a testimoniare che la "cultura del fare", tanto cara al premier, in certi casi è pura funzionalità. Ci sono stati anche i rifiuti in Campania. Lo stato di emergenza, secondo quanto disposto dalla legge 123/08, terminerà il 31 dicembre. Ma già a fine luglio Bertolaso poteva dire: "Per noi l’emergenza rifiuti è finita. Il nostro problema era di trovare le discariche, avviare il termovalorizzatore di Acerra e la raccolta differenziata. Oggi potenzialmente la Campania si pone meglio di altre regioni". E spiegava, da puro tecnico: "Dato che la Campania ogni anno produce due milioni e 200 mila tonnellate di rifiuti, vuol dire che ci saranno due anni di autosufficienza". Più il termovalorizzatore di Acerra, che finalmente funziona. E va bene che, anche qui, Antonio Bassolino, abbia rivendicato il proprio ruolo, perché "sarebbe stato semplicemente e tecnicamente impossibile costruire in otto mesi un termovalorizzatore". Ma anche qui il risultato c’è, dove prima era il caos. Tanto che Silvio Berlusconi è passato all’attacco di Calabria e Lazio, dove la sua cultura del fare non è ancora arrivata e tra pochi mesi "potrebbe esplodere la questione dei rifiuti".
Gli ultimi dati del Viminale
Ma la coppia Berlusconi-Bertolaso non è la sola addetta alle scommesse impossibili, se qualche giorno fa il ministro dell’Interno Roberto Maroni ha potuto annunciare che "la politica dei respingimenti funziona, dal 1° maggio al 31 agosto gli sbarchi di clandestini sono diminuiti del 90 per cento, passando da oltre 15 mila a 1.400". E che il Cie, il Centro di identificazione ed espulsione di Lampedusa, è ormai (miracolosamente?) vuoto. Un’operazione forse simbolica, ma certo hanno sbagliato simbolo anche Magistratura democratica e il Movimento per la giustizia, che hanno scelto Lampedusa per il loro convegno sui diritti dei migranti conclusosi l’altro giorno. I Cie, se non si svuotano, non sono però più in emergenza da sovraffollamento. Anche se nessuno lo dice. I dati del Viminale aggiornati in tempo reale al 15 settembre 2009, sono sorprendenti: Bari 193 clandestini su 196 posti, Brindisi 30 su 83, Crotone 83 su 124, Torino 76 su 90. Per un totale di 1.285 su 1.752 posti. Non significa che i problemi non esistano (Lamezia, Milano, Torino), e lo stesso Maroni non li ha negati, imputandoli soprattutto all’allungarsi dei tempi di trattenimento. Ma la situazione migliora. L’8 settembre i radicali Massimiliano Iervolino ed Elisabetta Zamparutti, reduci da una visita al Cie di Ponte Galeria a Roma, hanno raccontato a Radio Radicale di una situazione dura ma non certo emergenziale, in cui "non c’è sovraffollamento", non ci sono scioperi della fame in corso, si è verificato un solo caso di violenza e c’è "un buon rapporto degli ospiti con il direttore". Miracoli, o quasi.

19 commenti:

Anonimo ha detto...

Il miglior presidente del Consiglio che l’Italia abbia mai avuto negli ultimi 150 anni va ripetendo in giro che la consegna di 47 chalet a 200 dei trentamila sfollati per il terremoto d’Abruzzo dopo appena 162 giorni rappresenta “il cantiere più grande del mondo”, nonché l’opera di ricostruzione più rapida e imponente della storia dell’umanità. Anche meglio della muraglia cinese e della piramide di Cheope. Non parliamo poi della bonifica delle paludi pontine e della battaglia del grano, che gli fanno un baffo. A tenergli bordone c’è l’eccellentissimo Guido Bertolaso, il gran ciambellano della Protezione civile nonché “uomo della Provvidenza” che tutto il mondo ci invidia perché senza di lui non sapremmo proprio come fare: anche lui si loda e si imbroda a proposito della ricostruzione più rapida e imponente eccetera. La stampa al seguito registra e rilancia.

Peccato che non sia più in vita Indro Montanelli, che dopo il terribile sisma del 1980 in Campania e Basilicata, raccolse tra i lettori del suo Giornale (quello vero, non la tetra parodia oggi in edicola) un bel po’ di quattrini e consegnò ai terremotati di Castelnuovo di Conza un intero villaggio di nuove case, il “Villaggio Il Giornale”, inaugurato insieme all’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini 170 giorni dopo il sisma. Cioè soli 8 giorni dopo l’attuale ricostruzione più imponente e più rapida eccetera. Ma ci fu anche chi arrivò molto prima: lo staff di Giuseppe Zamberletti, democristiano lombardo concreto ed efficiente, che senza essere sottosegretario a nulla, ma in veste di commissario straordinario di governo, mise a frutto l’esperienza maturata nel 1976 in Friuli e riuscì a consegnare 150 chalet (identici ai 45 inaugurati ieri dal premier, anche se a pagarli è stata la provincia autonoma di Trento, governata da Lorenzo Dellai, centrosinistra) alla popolazione di Ariano Irpino, che aveva appena pianto 300 morti, riuscendo a seppellirli solo tre settimane dopo. Quando avvenne la consegna? Qualcuno, sentita la premiata ditta B&B, nel senso di Berlusconi & Bertolaso, dirà: sicuramente non prima di 170 giorni, altrimenti gli annunci del presidente del Consiglio e del capo della Protezione civile sarebbero nient’altro che balle. E i giornali che le registrano senza batter ciglio sarebbero nient’altro che uffici stampa. Bene, tenetevi forte: Zamberletti consegnò ad Ariano i primi prefabbricati appena 60 giorni dopo il terremoto e le 150 casette con giardino dopo soli 122 giorni, dando un tetto permanente a 450 persone: la metà dei superstiti. Cioè impiegò ben 40 giorni in meno della ricostruzione più imponente e rapida eccetera, per fare il triplo del migliore presidente del Consiglio degli ultimi 150 e del capo della Protezione civile che tutto il mondo ci invidia.

Con tre lievissime differenze, fra il 1980 e oggi. Primo: il terremoto in Campania e Lucania si estese per quasi due regioni intere, fece 3 mila morti (10 volte quelli d’Abruzzo), 9 mila feriti e 300 mila sfollati. Secondo: all’epoca la Protezione civile non esisteva: i soccorsi erano coordinati dalla radio della Rai, con le telefonate in diretta degli amministratori e dei cittadini. Terzo: scalcinata fin che si vuole, l’Italia era ancora una democrazia. E anche il politico più infame avrebbe esitato un po’, prima di pavoneggiarsi a favore di telecamera su un red carpet di cadaveri.

Anonimo ha detto...

Quest articolo è disgustoso .
Apparte il fatto .
Pur di attaccare Berlusconi e la protezione civile si rovescia la realtà.
Su zamberletti:

Zamberletti si è trovato a gestire emergenze derivanti dai terremoti in Friuli nel 1976 e in Irpinia nel 1980 quale Commissario del Governo incaricato del coordinamento dei soccorsi, che furono gestiti male e poco incisivi, nonostante la valanga di fondi . Zamberletti rimase persino coinvolto nell'inchiesta Mani sul terremoto, avviata nel 1994 dalla Commissione parlamentare d'inchiesta riguardo le irregolarità e le speculazioni nell'uso del denaro pubblico durante il processo di ricostruzione in Irpinia. Una volta nominato Ministro per il Coordinamento della Protezione civile, cercò di incidere profondamente sul sistema di coordinamento delle strutture operative e delle risorse possedute dallo stato.

Anonimo ha detto...

Le mani della politica su 58.000 miliardi di lire stanziati per la ricostruzione dopo il sisma dell'80
Migliaia di miliardi stanziati dallo Stato, una catena di illegalità e di scandali, aste truccate, pagamenti per lavori mai effettuati, un intreccio tra malavita e politica

. È questa la fotografia del terremoto dell'Irpinia come è rimasta nella storia della Repubblica; un'immagine che si sovrappone a quella di interi paesi rasi al suolo, di monconi di edifici, di persone in lacrime, di barelle, tende e bare. Su questa catastrofe piovono miliardi che si disperdono in mille rivoli, risucchiati dalla voracità di una classe politica che proprio sulle macerie dell'Irpinia costruisce il proprio potere. L'Irpinia è diventa l'emblema di un Mezzogiorno, sinonimo dello spreco, delle ruberie, del malaffare, della cattiva amministrazione. È il 23 novembre 1980, una lunghissima scossa della durata di un minuto e venti secondi, di magnitudo 6,8 della scala Richter, rade al suolo 36 paesi situati al confine tra la Campania e la Basilicata. 2.735 i morti, 8.850 i feriti. Il disastro naturale è di proporzioni gigantesche. Le scosse che seminano morte e distruzione a Lioni, Sant'Angelo, Caposele, Calabritto, Conza, mettono a nudo l'arretratezza e la fragilità di quei paesi-presepe antichi e abbandonati, senza piani regolatori e senza piani di fabbricazione che ne preservassero la bellezza e tutelassero la vita di chi li abitava. La storia della ricostruzione dell'Irpinia comincia qui. Su quelle macerie proliferarono vari politici democristiani prima e socialisti dopo, si alternarono commissariati straordinari, commissioni e sottocommissioni ex articolo qualcosa, allargando a dismisura l'area di intervento del terremoto e, soprattutto, la spesa per la ricostruzione.

Anonimo ha detto...

Nel 1988 un'inchiesta di Indro Montanelli per Il Giornale, querelato dal presidente del Consiglio Ciriaco de Mita, definito «padrino», solleva il velo sulle numerose appropriazioni indebite di denaro pubblico e apre il caso. L'inchiesta avrà come conseguenza la costituzione di una Commissione parlamentare d'inchiesta presieduta da Oscar Luigi Scalfaro che nel 1990 concluderà che i 58.600 rotti miliardi di spese già effettuate (su 70.000 stanziati) sono «finiti nel nulla» o sperperati ivi inclusa quella parte proveniente dal Fondo europeo per lo sviluppo regionale. Dalla relazione della Commissione emerge che dopo 10 anni 28.572 persone vivono ancora nella roulotte e nei containers e 4.405 negli alberghi. Ma c'è anche una scia di sangue. Nel decennio che va dal 1980 al 1990, in Campania sono stati feriti magistrati (il procuratore di Avellino Antonio Gagliardi), uccisi consiglieri comunali di opposizione (Mimmo Beneventano ad Ottaviano), assessori e consiglieri regionali (Amato e Delcogliano), minacciati giornalisti ed eliminati funzionari di polizia come Antonio Ammaturo, che aveva capito tutto sul sequestro Cirillo. In una intervista rilasciata pochi mesi prima di essere ucciso sotto casa, al giornalista che gli chiedeva dei rapporti tra camorra e politica così Cirillo rispose: «Ci sono gli appalti del dopoterremoto. Il politico ha bisogno di voti e spesso si rivolge al capobastone». Più volte Oscar Luigi Scalfaro è stato visto sbiancare e trasalire ogni volta che eccellenti testimoni della «sua» Commissione parlamentare d'inchiesta sul terremoto di Campania e Basilicata, gli parlavano di «imprevisti geologici» per giustificare la costruzione di strade costate all'erario centinaia di miliardi a chilometro, o di improbabili aziende di barche da diporto collocate nelle aree industriali di montagna. Nell'inchiesta della Commissione parlamentare presieduta da Scalfaro, denominata «Mani sul terremoto» avviata nel 1994, furono coinvolte 87 persone tra cui Ciriaco de Mita, Paolo Cirino Pomicino, Vincenzo Scotti, Antonio Gava, Antonio Fantini, Francesco de Lorenzo, Giulio Di Donato e lo stesso commissario Zamberletti che aveva coordinato i soccorsi. L'epilogo della vicenda si è tradotto con la prescrizione della maggior parte dei capi d'imputazione mentre per altri reati è stata decisa l'assoluzione.Tra i tanti sprechi e spese gonfiate ci sono alcuni casi eclatanti: la Fondovalle Sele, costata 24 miliardi di lire al chilometro, lo stadio comunale di San Gregorio Magno ( paese di circa 3mila abitanti in provincia di Salerno), costato più dello stadio San Paolo di Napoli. Alcuni giornalisti riuscirono a dimostrare che Avellino era la provincia italiana dove si vendevano più Mercedes e Volvo e dove, dopo il sisma, i possessori di yacht erano passati da 4 a oltre 100. Inoltre negli anni l'area degli interventi si allarga a macchia d'olio. I comuni effettivamente colpiti erano relativamente pochi: qualche decina i disastrati, un centinaio i danneggiati in modo più o meno grave. Nel maggio dell'81 però un decreto dell'allora presidente del Consiglio Arnaldo Forlani classifica come «gravemente danneggiati» (con un grado di distruzione dal 5 al 50% del patrimonio edilizio) oltre 280 comuni: viene ricompresa tutta la provincia di Avellino, Napoli e la popolosissima area metropolitana, 55 comuni del salernitano, 34 del potentino. Entrare o meno nella lista significa soprattutto essere o no destinatari di sontuosi contributi statali. Due intere regioni, la Campania e la Basilicata, e un pezzetto di una terza, la Puglia, risultano «terremotate»: in totale i comuni ammessi alle provvidenze sono 687. Il groviglio inestricabile di leggi e leggine che a vario titolo hanno regolamentato l'opera di ricostruzione ha oggettivamente favorito una richiesta di investimenti sproporzionata alla realtà dei fatti. Il Parlamento ha sfornato trentadue provvedimenti legislativi.

Anonimo ha detto...

Sul terremoto dell irpinia

I mancati soccorsi :

« Non vi sono stati i soccorsi immediati che avrebbero dovuto esserci. Ancora dalle macerie si levavano gemiti, grida di disperazione di sepolti vivi »

(Sandro Pertini, edizione straordinaria Tg2, 27 novembre 1980)

Al di là del patrimonio edilizio, già fatiscente e datato a causa dei terremoti del 1930 e 1962, un altro elemento che aggrava gli effetti della scossa è il ritardo dei soccorsi. I motivi principali sono due: la difficoltà di accesso dei mezzi di soccorso nelle zone dell'entroterra, dovuta al cattivo stato della maggior parte delle infrastrutture, e la mancanza di un'organizzazione come la Protezione Civile che fosse capace di coordinare risorse e mezzi in maniera tempestiva e ottimale. Il primo a far presente questa grave mancanza è il presidente della Repubblica Sandro Pertini. Il 25 novembre, nonostante il parere contrario del presidente del Consiglio Forlani e altri ministri e consiglieri[16], il capo dello Stato si reca in elicottero sui luoghi della tragedia, ritrovando l'allora Ministro degli Esteri e potentino Emilio Colombo. Di ritorno dall'Irpinia, in un discorso in tv rivolto agli italiani, denuncia con forza il ritardo e le inadempienze dei soccorsi che arriveranno in tutte le zone colpite solo dopo cinque giorni[17]. Le dure parole del presidente della Repubblica causano l'immediata rimozione del prefetto di Avellino Attilio Lobefalo, e le dimissioni dell'allora Ministro dell'Interno Virginio Rognoni[18].

Anonimo ha detto...

Al contrario grazie al lavoro della protezione civile in abruzzo i soccorsi sono stati rapidi

Anonimo ha detto...

La ricostruzione fu, però, anche uno dei peggiori esempi di speculazione su di una tragedia[. Infatti, come testimonia tutta una serie di inchieste della magistratura, per le quali sono state coniate espressioni come Irpiniagate, Terremotopoli o il terremoto infinito durante gli anni si sono inseriti interessi loschi che hanno dirottato i fondi verso aree che non ne avevano diritto, moltiplicando il numero dei comuni colpiti: 36 paesi in un primo momento, che diventano 280 in seguito a un decreto dell'allora presidente del Consiglio Arnaldo Forlani nel maggio 1981[24], fino a raggiungere la cifra finale di 687[25].

Più di 70 centri sono stati integralmente distrutti o seriamente danneggiati e oltre 200 hanno avuti consistenti danni al patrimonio edilizio. Centinaia di opifici produttivi e artigianali sono stati cancellati con perdita di migliaia di posti di lavoro e danni patrimoniali per decine di migliaia di miliardi[26].

Il numero dei comuni colpiti, però, è stato alterato per losche manovre politiche e camorristiche lievitando nel corso degli anni. Alle aree colpite, infatti, venivano destinati numerosi contributi pubblici (stime del 2000 parlano di 58.640 miliardi nel corso degli anni), ed era interesse dei politici locali far sì che i territori amministrati venissero inclusi in quest'area. La ricostruzione, nonostante l'ingente quantità di denaro pubblico versato, è stata per decenni incompleta. A Torre Annunziata esistono due quartieri, Penniniello e il Quadrilatero delle Carceri, distrutti dal terremoto del 1980, ma malgrado le ingenti somme di denaro che si continuano a stanziare – 10 milioni di euro per il primo nel 2007[7], 1,5 milioni di euro per il secondo nel 2009 – ancora non è stata completata la loro ricostruzione. Questi quartieri oggi sono diventati un cancro che ha contaminato l'intera città, divenendo la principale roccaforte della camorra (il Quadrilatero delle Carceri è ancora oggi il quartier generale del clan Gionta) ed una delle più agguerrite piazze di spaccio della regione Campania.

Anonimo ha detto...

La Commissione Scalfaro
Oscar Luigi Scalfaro

Il 7 aprile 1989, con la Legge n.128, Oscar Luigi Scalfaro viene messo a capo della Commissione parlamentare d'inchiesta sull'attuazione degli interventi per la ricostruzione e lo sviluppo dei territori colpiti dai terremoti del novembre 1980 e del febbraio 1981 della Campania e della Basilicata[34]: è un organismo bicamerale con gli stessi poteri della magistratura, costituito da venti deputati e altrettanti senatori con il compito di accertare quanto realmente lo Stato ha speso, sino a quel momento, per la ricostruzione delle aree terremotate[35]. Nella "relazione conclusiva" che verrà stilata, la somma totale dei fondi stanziati dal Governo italiano raggiungerà la cifra di 50.620 miliardi di lire, così suddivisi: 4.684 per affrontare i giorni dell'emergenza; 18.000 per la ricostruzione dell'edilizia privata e pubblica; 2.043 per gli interventi di competenza regionale; 8.000 per la ricostruzione degli stabilimenti produttivi e per lo sviluppo industriale; 15.000 per il programma abitativo del comune di Napoli, e le relative infrastrutture; 2.500 per le attività delle amministrazioni dello Stato; 393 residui passivi[36].

Le inchieste successive [modifica]
L'on. Ciriaco de Mita

Circa l'inchiesta del filone Mani Pulite denominata "Mani sul terremoto", pubblicata su Panorama nel 1992, Daniele Martini scrive: «in Irpinia la Guardia di Finanza scoprì fienili trasformati in piscine olimpiche mai ultimate, o in ville. Individuò finanziamenti indirizzati a imprenditori plurifalliti e orologi con brillanti regalati con grande prodigalità ai collaudatori dello Stato»[37]. Nel marzo del 1987 alcuni giornali, tra cui l'Unità e L'Espresso, rivelarono che le fortune della Banca Popolare dell'Irpinia erano strettamente legate ai fondi per la ricostruzione dopo il terremoto in Irpinia del 1980[38]. Tra i soci che traevano profitto dalla situazione c'era la famiglia di De Mita con Ciriaco proprietario di un cospicuo pacchetto di azioni che si erano rivalutate grazie al terremoto. I titoli erano posseduti anche da altri parenti. Seguì un lungo processo che si concluse nell'ottobre del 1988 con la sentenza: «Secondo i giudici del tribunale romano chiamato a giudicare sulla controversia, era giusto scrivere che i fondi del terremoto transitavano nella banca di Avellino e che la Popolare è una banca della Dc demitiana». Appresa la sentenza, l'Unità pubblicò il 3 dicembre un articolo in prima pagina dal titolo eloquente: «De Mita si è arricchito con il terremoto»[37]. Nell'inchiesta Mani sul terremoto saranno coinvolte 87 persone tra cui l'on. Ciriaco de Mita, l'on. Paolo Cirino Pomicino, il sen. Salverino De Vito, l'on. Vincenzo Scotti, l'on. Antonio Gava, l'on. Antonio Fantini, l'on. Francesco De Lorenzo, l'on. Giulio Di Donato e il commissario on. Giuseppe Zamberletti. Sul coinvolgimento di politici e di vari amministratori si sono levate numerose denunce e promosse alcune inchieste che hanno portato a diversi arresti].

Anonimo ha detto...

Tra l altro il giornale, come altri ha fatto delle sottoscrizioni a favore dell Abruzzo.
Quindi il signor Travaglio lasci stare Montanelli e il giornale che non c entrano nulla.
La cosa più disgustosa è che si critica gente che fa,che lavora, come Bertolaso,
mentre a lui interessa criticare e non gliene frega un cazzo.

Anonimo ha detto...

"Quest articolo è disgustoso .
Apparte il fatto ." che dovresti tornare sui banchi di scuola , la nazione te ne sarebbe grata

ma a parte la forma sono i contenuti che proponi che fanno rabbrividire:

Travaglio mette in luce le bugie di Berlusconi e Bertolaso sull’opera di ricostruzione più rapida e imponente della storia dell’umanità.

e il vecchio rincoglionito mette in luce i soldi rubati col terremoto dell'irpinia(cosa c'entra? è colpa di Zamberletti?) la inefficenza di Zamberletti (benissimo stiamo parlando del 1980 idiota quando non esisteva neanche la protezione civile idiota! c'è anche scritto nell'articolo)



Pur di attaccare Berlusconi e la protezione civile si rovescia la realtà.

Esatto il contrario mio caro idiota: Berlusconi le palle le sa raccontare ad arte (vedi 162 giorni contro 122 giorni)mentre tu annuisci come un mulo

le critiche sono rivolte alle merde che dicono cazzate ogni giorno da anni


Quindi il signor Travaglio lasci stare Montanelli e il giornale che non c entrano nulla.

e dove c'è scritto che lo attacca, non sai neanche leggere

acchiappabufale ha detto...

L idiota sei tu.

Travaglio ha praticamente copiato dall articolo di Antonello Caporale su Repubblica del 15 settembre 2009
"Terremoto all Irpinia le case furono consegnate prima".

Poi se andiamo a vedere lo stesso Caporale il 13 dicembre 2004 scrisse un articolo "Irpinia, 20 anni dopo: un cantiere aperto da 60 mila miliardi
Il terremoto infinito"
dove diceva l esatto contrario.

Una bufala bella e buona a cui puoi credere solo tu.

acchiappabufale ha detto...

Terremoto, all'epoca dell'Irpinia le case furono consegnate prima

Di Antonello Caporale
15 settembre 2009

"Non credo che siano possibili paragoni al mondo". Così Guido Bertolaso ieri al Tg1 delle otto. Tempi da record, meraviglia mondiale per le casette di Onna, i prefabbricati in legno costruiti dalla Provincia di Trento.
15 settembre 2009. 162 giorni trascorsi dal sisma 47 casette in legno tipo chalet consegnate. Circa 200 persone ricoverate.

25 aprile 1981. 122 giorni trascorsi dal sisma, 150 casette in legno tipo chalet (Rubner costruzioni) consegnate a Laviano, Salerno. 450 persone ricoverate.
Un paragone, almeno uno è dunque possibile. E trent'anni fa non esisteva nemmeno la Protezione civile, non esistevano strade decenti, erano crollati i ponti. Per raggiungere l'Irpinia si impiegarono giorni. Il coordinamento dei soccorsi fu affidato, diciamo cosi, al radiogiornale della Rai. Chi poteva telefonava e dava le indicazioni, urlava il luogo del disastro.

Si ascoltava la radio per capire dove ci fosse bisogno. "A Balvano, a Balvano! La chiesa è crollata, 80 fedeli sepolti, urlò il conduttore". L'autocolonna prese la direzione di Balvano, ma si scordò di Baragiano, di Ricigliano. Da lì (altri trenta seppelliti) nessuno aveva chiamato...

Solo i morti di Laviano (300 su 1500 abitanti) sono stati pari a quelli sofferti in tutto il territorio abruzzese. E, per dire del tempo e dell'organizzazione, a Laviano riuscirono a consegnare dopo quasi una settimana tutte le bare occorrenti, e le ultime furono ammassate ai lati di due tornanti di montagna. A dirigere le operazioni di soccorso da Roma fu incaricato Giuseppe Zamberletti. Da solo, quasi a mani nude.

"Eppure al mio paese le prime case in legno arrivarono già a febbraio, una ventina di alloggi con tutti i servizi - ricorda il sindaco Rocco Falivena - A marzo la metà della popolazione era al caldo, negli stessi chalet che sono sorti ad Onna. Per dire: alcuni di questi ora, anno 2009, li abbiamo trasformati in albergo. A maggio dell'81 tutti gli sfollati, nessono escluso, riuscirono ad avere il salottino, la camera da letto riscaldata, il piccolo patio con giardino. In tutta franchezza quella di Onna mi sembra una zingarata".

Per capirci. Trent'anni fa ci furono quasi tremila morti, trecentomila senzatetto e un'Italia divisa in due. Alcuni villaggi furono raggiunti e assistiti dai militari ai primi di dicembre dell'80 (il sisma ci fu il 23 novembre), gli ultimi morti furono seppelliti dopo 21 giorni. Malgrado tutto, il sistema di prefabbricazione pesante fu realizzato in trecento comuni e in tempi che, l'avesse saputo, Bertolaso avrebbe definito incredibili, stratosferici, supercosmici.

acchiappabufale ha detto...

Irpinia, 20 anni dopo: un cantiere aperto da 60 mila miliardi
Il terremoto infinito
dal nostro inviato ANTONELLO CAPORALE
13 dicembre 2004

AVELLINO - La sera del 23 novembre del 1980 una lunghissima scossa della durata di un minuto e venti secondi, di magnitudo 6,8 della scala Richter, rase al suolo 36 paesi situati al confine tra la Campania e la Basilicata. 2735 furono i morti, 8850 i feriti. Il disastro naturale fu di proporzioni gigantesche: il paesaggio aspro e bellissimo dell'Irpinia venne sfregiato dagli scuotimenti, ripetuti e dolorosi, della terra. Case inghiottite, viadotti spezzati, frane dappertutto. L'Italia si mosse come mai è capitato nella storia della Repubblica. Dall'estero l' aiuto si manifestò attraverso robusti assegni in dollari. Nella lista delle sottoscrizioni figurano, accanto agli Stati Uniti (70 milioni di dollari) e alla Germania (32 milioni), persino paesi come l'Iraq (3 milioni e 100 mila dollari) e l'Algeria (500 mila dollari). Da oltre frontiera giunsero quasi cinquecento miliardi. I morti però restarono sotto le travi spezzate delle misere abitazioni di montagna per giorni e giorni, in una confusione di ruoli e responsabilità che provocò la più dura delle denunce di un presidente della Repubblica sulle inefficienze dello Stato. Le parole di Sandro Pertini causarono la rimozione del prefetto di Avellino e la presentazione delle dimissioni, poi ritirate, del ministro dell'Interno dell'epoca. Nessun dubbio che quel filo che teneva unita l'Italia oggi si è spezzato. Perchè è successo? Cento quintali di documenti raccontano quegli anni. Un fiume di danaro (la commissione d'inchiesta stimò in 50.902 miliardi, ma nel corso del tempo la cifra è lievitata a 58.640 miliardi) si diresse verso un'area delimitata agli estremi dalle città di Napoli, Avellino Potenza e Salerno.

I comuni effettivamente colpiti erano relativamente pochi: qualche decina i disastrati, un centinaio i danneggiati in modo più o meno grave. Nel maggio dell'81 però un decreto dell'allora presidente del Consiglio Arnaldo Forlani classifica "gravemente danneggiati" (con un grado di distruzione dal 5 al 50 per cento del patrimonio edilizio) oltre 280 comuni: viene ricompresa tutta la provincia di Avellino, Napoli e la popolosissima area metropolitana, 55 comuni del salernitano, 34 del potentino. Risultano "gravemente danneggiati" anche 50 paesi in provincia di Benevento, 8 in provincia di Caserta, 9 in provincia di Matera. Sei mesi dopo, il disastro viene ulteriormente allargato sulla carta: altri 312 comuni sono considerati "danneggiati", 14 dei quali in Puglia, in provincia di Foggia. L'area colpita dal sisma muta ancora una volta: la punta più avanzata a nord diviene Teano, ai confini con il Lazio, la linea si chiude a sud con Sapri, sul golfo di Policastro, e a est con Ferrandina, nella piana che finisce sullo Jonio. Entrare o meno nella lista significa soprattutto essere o no destinatari di sontuosi contributi statali. Due intere regioni, la Campania e la Basilicata, e un pezzetto di una terza, la Puglia, risultano "terremotate": in totale i comuni ammessi alle provvidenze sono 687.

acchiappabufale ha detto...

La corsa verso la ricostruzione inizia male, il piede inciampa al primo passo. Non è solo questione di rispetto della verità o di soldi. Alcuni sindaci spiegano che sono quasi stati "costretti" a chiedere che il loro municipio venisse incluso nella lista. Il primo cittadino di Castellabate, un paese cilentano che si affaccia sul mare, spiega in quei giorni al Mattino: "Ci accusano di sciacallaggio sostenendo che non abbiamo avuti danni dal sisma. Facciamo conto che ciò sia vero, per comodità di discorso. Mi dica lei però chi ci avrebbe salvato dall'accusa di omissione di atti di ufficio per non aver fatto ottenere al paese quello che la legge gli concede".

E' stato il governo a riconoscere per primo che il "gonfiamento" del numero dei terremotati è stata la causa di un gonfiamento a dismisura della spesa. L'allora presidente del Consiglio Ciriaco De Mita ammise in Parlamento "il deteriore fenomeno del progressivo allargamento dell'area geografica originaria in cui si è verificata la sciagura". "Accade infatti - spiegò - che le pressioni politiche e sociali, che si appuntano sui governi e sul Parlamento conducano a successivi allargamenti dei comuni beneficiari delle provvidenze disposte dalle leggi di emergenza. In tal modo la ricognizione geografica dei disastri naturali risulta diversa dai reali confini della zona colpita. Sarebbe estremamente facile - concluse De Mita - andare a rileggere in atti parlamentari e in dichiarazioni ufficiali, le posizioni di persone e partiti. I nomi di quelli favorevoli, nel 1980, all'allargamento dell'area di intervento e di quelli che capivano invece che la delimitazione geografica avrebbe reso più efficace l'azione, oltre a rispettare la verità naturale dei fatti". Quella verità non fu dunque rispettata. In effetti il sisma danneggiò in misura più o meno grave 100mila abitazioni. Nove anni fa le case da "riparare" o da "ricostruire", già finanziate dal governo, erano 146mila. Era stata decisa la ricostruzione di 31.542 abitazioni nei comuni classificati disastrati, tremila in più delle case precedentemente dichiarate distrutte o gravemente danneggiate (28.274). E nei centri classificati "gravemente danneggiati" o solamente "danneggiati" il finanziamento statale aveva permesso l'edificazione di 115.121 abitazioni, quasi il doppio di quelle (69.140) dichiarate distrutte, gravemente danneggiate o soltanto lesionate.

acchiappabufale ha detto...

Il groviglio inestricabile di leggi e leggine che a vario titolo hanno regolamentato l'opera di ricostruzione ha oggettivamente favorito una richiesta di investimenti sproporzionata alla realtà dei fatti. Il Parlamento ha sfornato trentadue provvedimenti legislativi. Alcuni hanno finito per stravolgere la prima, organica legge-quadro. E' la legge 219 e risale al 1981: essa è esssenzialmente una legge di "refusione del danno". Chi ha perso la casa ottiene di vedersela ricostruita dallo Stato. Punto. Ma a Montecitorio e a palazzo Madama si fa presto a formare uno schieramento trasversale - parte dalla Dc e arriva al Pci - che un bel libro di Isaia Sales definisce il "partito degli occasionisti". "Esso - si legge - è erede di quella cultura che per secoli ha governato con il teorema: grandi calamità, leggi speciali, ciclo edilizio e controllo politico su tutto. Gli occasionisti a loro volta si dividono in due correnti: quelli che considerano le emergenze naturali o artificiali un canale privilegiato di trasferimento di risorse pubbliche sulla base del principio che il Sud deve essere "risarcito" attraverso forme di integrazioni di reddito; e quelli che ritengono che le tragedie o le emergenze possono rappresentare "occasioni" di sviluppo".

Il partito trasversale, tutto meridionale, è guidato da esponenti di primo piano della classe dirigente nazionale: ci sono i democristiani De Mita, Gava, Scotti, Cirino Pomicino, De Vito e Fantini, i socialisti Conte e Di Donato, il liberale De Lorenzo, tutto (o quasi) il potente gruppo del Pci napoletano. Alberta De Simone, una deputata irpina che ha vissuto quei giorni nel municipio di Atripalda, ricorda: "Ho chiesto ai governanti dell'epoca perchè si mise insieme, nella legge, l'area del disastro con zone dove il danno fu assai più modesto, come Napoli. Mi è stato spiegato che per noi, che non eravamo il Mezzogiorno ma "l'osso" del Mezzogiorno, la parte più interna, più povera, meno popolata, proprio l'aggiunta dei problemi di Napoli fece diventare la questione davvero di interesse politico nazionale. In altri termini, non bastavano i nostri morti per avere tutte le provvidenze necessarie! La più grande ingiustizia è stata poi "targare" le pagine nere con il nome di Irpiniagate". Dopo la legge 219, che pure prevedeva forti investimenti per l'industrializzazione delle zone di montagna, viene approvata nell'84 la legge 80. Padrino politico è il senatore Salverino De Vito, avellinese come De Mita, a quel tempo ministro per il Mezzogiorno. De Vito lavora in tandem con il socialista Carmelo Conte, salernitano. La legge è destinata a sconvolgere il precedente quadro di riferimento. La richiesta per il contributo di ricostruzione diventa proponibile non soltanto dal capofamiglia. Anche i figli, "discendenti in linea retta", sono ammessi al contributo. Fin troppo facile prevedere la moltiplicazione delle domande. E delle case. E' una vera cuccagna che fa la fortuna di una categoria: i tecnici progettisti. I quali, spesso, sono gli stessi chiamati dai sindaci a costituire le commissioni comunali che devono verificare l' ammissibilità del contributo. Ogni domanda che passa l'esame significa l'ottenimento di sontuose parcelle professionali. Per ogni progetto ingegneri, architetti e geometri ottengono una compenso che mediamente si aggira sul venti per cento dell'intero importo. E un contributo, è sempre una media, non è mai inferiore ai 120 milioni.

Ora è forse più facile capire perchè dopo vent'anni e dopo 150 mila abitazioni ricostruite, ci sia ancora qualche migliaio di persone, le più disgraziate, costrette a vivere nelle baracche. Oggi il Parlamento nega a questa gente il dovuto. Il marchio dell'infamia questa volta ha sfregiato gli innocenti.

Anonimo ha detto...

Travaglio ha praticamente copiato dall articolo di Antonello Caporale

e chi se ne strafrega

almeno travaglio e Caporale non dicono puttanate come Berlusconi

l'esatto contrario non lo leggo come dici: in un articolo parla di tempi record per le prime case, nell'altro parla di sprechi infiniti...embè mio caro idiota dove sarebbe l'esatto contrario ??

sono 2 verità che non vanno in conflitto, riesci a sfruttare i pochi neuroni che ti sono rimasti?

ti sei acchiappato da solo acchiappabufale

maurom ha detto...

* Anonimo
Se leggo ancora una volta la parola idiota o un'offesa qualsiasi, ti cancello.

Anonimo ha detto...

"Ho troppa stima dell'intelligenza degli italiani per pensare che ci siano in giro così tanti coglioni che possano votare contro i propri interessi".
Berlusconi, 4/4/06

Anonimo ha detto...

cancella pure questa, waiter