sabato 26 settembre 2009

Dizionario del santorismo tra Gramsci e Celentano. Massimiliano Parente

Mio caro lettore di sinistra o di destra, mon frère, ipocrita eppure mon semblable, come scriveva Baudelaire nell’introduzione ai Fiori del male, ecco un piccolo dizionario del santorismo, utile sia a riconoscerlo nelle sue varianti infettive (alcune voci valgono anche per il gabanellismo), sia per riprodurlo in casa per gli amanti del fai-da-te non solo nel sesso (benché, malgrado qualità scadente, sempre pornografia sia), sia per gli storici dei decenni a venire, quando si chiederanno di cosa stavamo parlando quando parlavamo di Annozero.

Il vittimismo da censura

È uno strumento tipico del santorismo, variante gramsciana del celentanismo anni Novanta, e che si sta diffondendo come un virus (il savianismo ne è una prova, dove ti giri c’è Saviano, vai in libreria e ci sono pile di Saviano, apri un giornale e c’è un articolo di Saviano, ricomincia la Bignardi ieri sera e c’è Saviano, ed è proprio il Saviano che firma appelli per la libertà di stampa). Il funzionamento è elementare: si grida alla censura da un mese prima fino a un giorno prima e perfino durante, quando è evidente che non c’è stata. Santoro nasce già censurato, come un feto che per nascere meglio e strillare più forte e strozzare i genitori in culla gridi all’aborto e nel frattempo ha già cinquantotto anni (sarà per questo che si chiama Annozero?). La retorica della censura è il tema, lo spot, la linfa vitale, l’hybris, l’humus, l’habitat, il trogolo di Michele. Quando infine va in onda si parla, per tre ore di trasmissione, di quello di cui non si può parlare «in Italia», come se fosse Radio Londra e non la solita Rai 2 in prime time. Qualche volta viene invitato Enrico Mentana, che fa la parte del saggio e dice «Beh, ne stiamo parlando no?».

Travaglio, I: il quadernino

All’inizio, quando guarda il quadernino, dà l’impressione del bambino che legge la poesia davanti agli ospiti dei genitori o alla recita scolastica, invece è uno scioglilingua a funzionamento ipnotico-subliminale, almeno questo è l’intento. (Il surrealismo lo chiamava “cadavre exquis”, cadavere squisito). Ricetta per preparare in casa un monologo di Travaglio: andate su Google, inserite la chiave di ricerca «Berlusconi processi», stampate una cinquantina di pagine, tagliatele in quattro parti ciascuna, mischiatele, cucitele insieme e leggetele senza interruzione e a velocità sostenuta. Per servire a cena, in diretta, condite con un paio di battute apparentemente contro la sinistra, qualcosa di irrilevante ma che faccia pensare voi siate imparziali, tipo «anche D’Alema è stato una volta a una cena con Tarantini, chissà che ci faceva...». Dopo potete portare tutto alla Rizzoli e farne un libro, il genere letterario è il «cut and paste» e Travaglio più che da Nanni Balestrini o William Burroughs è figlio della Microsoft Word Generation.

Travaglio, II: il sorrisino

Lo inquadrano quando parlano gli altri, non ho mai capito se gli fanno un segno e lui accende il sorrisino o se viceversa quando parlano i nemici tiene sempre d’occhio la lucina rossa della telecamera per fare il sorrisino. Quando inquadrano il sorrisino di Travaglio significa che Travaglio la sa lunga e l’altro è un impostore. Credo che il sorrisino sia preceduto, per esempio mentre parlano Belpietro o Ghedini o la Santanché o qualsiasi pezzo di m... fascista del centrodestra, da un cenno di Santoro (per esempio un occhiolino) a Travaglio che guarda il cameraman che inquadra Travaglio che fa il sorrisino.

Servizietto esterno I

Caposaldo del santorismo, il servizietto esterno è riservato a coloro che devono risultare brutti, sporchi, cattivi, fascistissimi. L’inviato modello deve avere una faccetta da Studentello Secchione e Moralista, si presenta con una cartellina piena di appunti, tabelle, diagrammi di flusso, articoli sottolineati. Chiunque faccia entrare l’inviato modello è fottuto in partenza: se lo sbatti fuori fai la figura del colpevole, se lo fai entrare e rispondi alle domande ti fa girare le scatole finché non lo mandi a quel paese e fai la figura del colpevole, se rimani calmo come il Mahatma Gandhi ti inquadrano in modo tale da farti sembrare, al cospetto dello Studente Secchione e Moralista, come minimo Adolf Hitler nella tana del lupo. I montatori e tagliatori della postproduzione fanno il resto.

Servizietto esterno II

È il contraltare del servizietto esterno negativo, teso a dimostrare la tesi santoriana e far sembrare lo Studente Secchione e Moralista davvero obiettivo e a far sì che il telespettatore santorizzato ti dica «Eh beh, ma allora è proprio obiettivo». La tecnica è far finta di contestare quello che si vuole far dire, per poi lasciarlo dire senza ulteriori contestazioni. A Giorgio Bocca, tanto per citarne uno, lo Studente Secchione chiede qualcosa del tipo «Non penserà davvero che è in pericolo la democrazia in Italia e siamo in un regime berlusconiano e Berlusconi è un terribile figlio di..., vero? Ce lo dica lei, che è così autorevole e noi le crediamo tutti».

L’invocazione alle oppresse

Nel corso di un dibattito, quando si è a corto di argomenti, l’invocazione alla minoranza funziona a meraviglia per distogliere l’attenzione e creare una cortina fumogena edificante. Esempio: mandano in onda un’intervista a Patrizia D’Addario e Concita De Gregorio si erge in difesa delle donne sfruttate e trattate come merce, segue applauso. Se l’avesse detto la Binetti sarebbe stata fischiata come moralista. Viceversa qualcosa di analogo tentata dalla Santanchè, magari in difesa di una figlia sgozzata dal padre musulmano, risulterebbe razzista e non rispettosa delle minoranze islamiche.

La giovane «zero»

Chiamata a rappresentare i giovani della «Generazione zero» e dunque a porre le domande dei «giovani» e a rappresentare i giovani, qualcuno si chiede dove Santoro trovi queste zero (d’estate? tra Capalbio e Cortina?), e perché le scelga sempre così fighettine «radical shaggy chic» e perché parlino tutte nello stesso modo, un italiano basic scandito quasi sintetizzato, come se fossero programmate, e come se avessero tutte la erre moscia (nobile ma di sinistra) anche se non ce l’hanno. Il modello di base è una Barbie acqua e sapone che abbia letto solo Uomini e no, di Elio Vittorini. Non credo che le ragazze zero di Santoro esistano realmente, sono ologrammi, software, intelligenze artificiali al contrario. La Borromeo, per esempio, una notte mi pare di essermela scaricata anche sull’iPhone, la mia però diceva «Ancova, ancova».

Servizione esterno

Chiunque può farlo anche da casa, istruzioni per realizzare anche voi un perfetto servizione esterno santoriano. Partite da una tesi qualsiasi, per esempio quella secondo cui la maggior parte della popolazione ritiene che Berlusconi sia cattivo. Uscite con una telecamera, e intervistate chiunque vi capiti. Una volta a casa tagliate tutti quelli che non lo pensano, tranne quelli che sembrano più idioti, e lasciate gli altri che confermano la vostra tesi.

Servizietto interno

Poiché ogni ospite di destra sporco e cattivo sa che Santoro, oltre a inquadrare a tradimento i sorrisini di Travaglio, ti toglie la parola proprio quando stai per dire quello che stai cercando di dire, ormai accade questo: l’ospite sporco e cattivo, continuamente interrotto chiede «Lasciatemi parlare!», Santoro può ben rispondere «Ehhhh, ancora con questa storia che non vi lascio parlare, sta parlando, parli!». Gli irriducibili del centrodestra ancora ci provano con dei «Mi consenta» vintage.

Vaurismo

Stessa tecnica del travaglismo, a fine trasmissione l’ultimo comunista rimasto (il dinovauro) sforna le sue vignette. Si dovrebbe ridere, ma la satira e i contenuti della trasmissione sono indistinguibili, quindi l’effetto è quello di un riassunto della puntata illustrato. Perché è fondamentale Vauro? Perché se da una parte ha una funzione didascalico-riassuntiva, dall’altra serve da parafulmine: il giorno dopo tutti si arrabbieranno con la vignetta di Vauro (esempio: Berlusconi per il terremoto abruzzese realizzerà solo l’aumento della cubatura dei cimiteri) e non per la puntata che ha teorizzato per tre ore esattamente quello che Vauro ha disegnato. (il Giornale)

6 commenti:

Maurizio ha detto...

Ahò, per fortuna che questo è un blog di centro destra e il centro destra in Italia ha la strastrastrastragrande maggioranza dei voti: qui non scrive più nessuno!

Anonimo ha detto...

Vittorio Feltri ha lo stile che ha, ma noi pensiamo che perfino lui, ieri mattina, abbia provato un moto di ribrezzo leggendo sul Giornale che dirige, in un pezzo firmato Massimiliano Parente la seguente
frase: “La Borromeo, per esempio, una notte mi pare di essermela scaricata anche sull'iPhone, la mia però
diceva “Ancova, ancova”. Per quanto lo conosciamo siamo sicuri che Feltri avrà convocato il suo redattore dicendogli qualcosa del genere: “Caro Parente sei veramente un poveretto perché credi che basti scrivere qualcosa di stomachevole per farti
apprezzare da me. E invece con il tuo spirito da latrina tu mi danneggi gravemente perchè tutti adesso penseranno che io sia il mandante e tu lo scherano. Io so essere duro e perfino feroce con i miei avversari ma
non mi abbasserei mai a usare il giornale in cui lavoro per certe vigliaccate da represso. E adesso
sparisci”

maurom ha detto...

Come hai giustamente rilevato, Maurizio, la strastragrande maggioranza rimane... silenziosa.

In compenso abbiamo visite di concorrenti e "avversari" che riescono a spaccare il capello in quattro.

Anonimo ha detto...

"Mi sono lasciato prendere la mano, dal clima del comizio. Posso aver commesso una leggerezza, avrei dovuto specificare che mi riferivo alla sinistra extraparlamentare. Però quei fatti che ho denunciato erano veri, ero in assoluta buona fede. Ad ogni modo, vedete? Il Quirinale non me ne lascia passare una, pronto a intervenire alla prima occasione".

l'ANTITALIANO n°1

Anonimo ha detto...

La contessina Borromeo
piange i clandestini dallo yacht

Non bisogna oscurare gli immigrati. La contessina Beatrice Borromeo, ex pasionaria di Santoro e oggi giornalista d’assalto nella repubblica travagliesca del “Fatto”, fa bene ad indignarsi a cinque colonne con vibrante articolo pubblicato sotto la maxi dicitura «inchiesta scomoda». Scomodissima, perbacco. E infatti finalmente abbiamo capito che cosa ci faceva quest’estate con il principe Pierre Casiraghi scomodamente a bordo del Pacha III, il 36 metri della famiglia reale di Monaco, uno dei più lussuosi yacht del mondo: scrutava l’orizzonte per avvistare i barconi dei clandestini. Ostriche, champagne e cannocchiale: non voleva lasciarsene scappare nemmeno una di quelle maledette carrette del mare. E per evitare che fossero oscurate cercava di illuminarle con il riflesso del suo collier. Brillanti e migranti, con gli occhi bagnati di lacrime e le labbra bagnate dal don Perignon.

I paparazzi, sciocchini, si sono affannati a seguirla da Montecarlo alle Isole Eolie, dal mar di Sicilia a Ponza, pensando di riuscire a immortalare la favola dell’estate, la contessa e il principe, un apostrofo di smeraldi fra le parole “t’amo”. Invece lei, no: lei era lì, sul Pacha III, solo per solidarietà con gli immigrati. E stava scomoda, scomodissima, come la sua inchiesta: sembrava felice mentre si faceva palpeggiare dal principe Pierre, sembrava rilassata mentre prendeva il sole in colorati bikini, ma in realtà stava male, perché si preoccupava dei clandestini. Era lì per loro. Non smetteva di pensarci un attimo, fra una tartina e una scomodissima flute.

Per questo ieri ci ha dato dentro con l’indignazione. Ne aveva ben diritto, con tutto quello che ha sofferto quest’estate sul Pacha. Come si permette il governo Berlusconi di applicare la severa politica dei respingimenti degli irregolari? Perché non fa come il Principato dell’amato Pierre dove gli irregolari sono notoriamente accolti tutti a braccia aperte? E come si permette Mediaset di rinviare un servizio delle Iene che indagava su dieci immigrati dispersi? Insomma come si fa, come recita il titolo, ad «oscurare i migranti morti»? Per fortuna a vigilare c’è lei, la contessina democratica, figlia di Carlo Ferdinando Borromeo, discendente di San Carlo Borromeo, nipotina della contessa Marzotto, sorella di Lavinia, sposata con John Elkann e fidanzata con il principe Pierre Casiraghi; lei, passata da Chanel all’impegno sociale, dai diritti d’immagine ai diritti umani, dall’Elite Model Look ai problemi dei clandestini, finalmente in grado di capire che le carrette del mare non sono una sottomarca di Blumarine. Per fortuna c’è lei, appunto con sua protesta che si leva forte dal “Fatto” e fa vibrare l’aria, quasi come quando sullo yacht salta il tappo del Krug.

Anonimo ha detto...

Del resto, è evidente, la ragazza si deve impegnare assai. Deve dimostrare che trova così facilmente lavoro, dalla Rai al “Fatto”, per le sue capacità, mica per il casato. Si capisce. Se corre voce che il figlio di Bossi (“la trota”) prende un contrattino di consulenza al Parlamento europeo, tutti s’indignano; se il figlio di Mastella collabora col padre si aprono le lagne sul solito familismo amorale. Ma se la contessa Borromeo scavalca fior di precari, viene assunta prima come volto Tv e poi come redattrice in un quotidiano, è solo perché è molto brava. Ha fatto sicuramente tanta gavetta. E, soprattutto ha molto a cuore i clandestini: dicono che quando ne parli si scaldi e diventi focosa. Quasi focosa come nelle celebri foto con il fidanzato reale al Montecarlo Beach Club.

«Ribelle, atea, di sinistra», la definiscono le biografie ufficiali. Qualche tempo fa al “Corriere della Sera” confidò di voler sposare un metalmeccanico. Purtroppo le è andata male: ha incontrato un principe. Per consolarsi scrive libri con Travaglio e riesce persino a passare come martire per un’intervista dalla Bignardi. Non è meraviglioso? Rocco, Barocco e Tarocco, la sua carriera di giornalista è assicurata. Se non sarà mai una redattrice modello, può sempre dire di essere una modella redattrice. Con lei come protettrice nessun immigrato avrà più nulla da temere: un tozzo di pane e un bicchiere di Veuve Clicquot non si negano a nessuno. Clandestini sì, ma trattati scomodamente da Pacha.

Bi.M.