venerdì 4 settembre 2009
Il nuovo martire dell'antiberlusconismo. Dimitri Buffa
C’era da aspettarselo: alla fine Dino Boffo, da oggi ex direttore dell’Avvenire, non ha potuto fare altro che dimettersi. Con una coda polemica a metà tra l’auto commiserazione l’auto esaltazione: adesso farà per professione il martire dell’idea. Anti-berlusconiana, ovviamente. Tanto già la cosa aveva trovato terreno fertile in giornali come "La Repubblica", abituati a dare ai propri lettori le notizie secondo la categoria dello spirito del "cui prodest", che poi è una variante dell’indicare il dito che addita la luna. A Radio Radicale, l’ex segretario Geppi Rippa ora dice che il vecchio vaticanista della gloriosa Agenzia radicale, Salvatore Di Giacomo, già nel 2005 aveva scritto tutta questa storia paventando quello che oggi tutti sanno: una differenza di vedute, leggi uno scontro senza esclusione di colpi, tra Cei e Santa Sede. Insomma avrebbe ragione Feltri, dopo tutto: il documento e lo scandalo vengono da ambienti vaticani in perenne lotta tra loro per chi sia deputato a tenere la barra dei rapporti con la genuflessa politica italiana. Intorno tutto il mondo se la ride. E ieri Bagnasco non ha potuto rifiutare le dimissioni di Goffo dopo avere letto i giornali che riportavano le "anticipazioni" di "Panorama" oggi in edicola che ha rintracciato tutti i protagonisti della vicenda, la donna Anna Bo., il vecchio fidanzato, ex Stewart Alitalia e oggi direttore di una filiale di banca, il padre della ragazza, Giovanni, presidente di una radio diocesana a Terni, la madre, la gente di un paese come Terni dove tutti sanno tutto di tutti. E anche di più. Boffo, lungi dall’essere un martire della libertà di stampa come vorrebbero farlo passare ora gli interessati odiatori di professione del Cav, e come vorrebbe ovviamente passare lui stesso, ha semplicemente constatato che la sua versione dei fatti non poteva reggere un minuto di più. L’altro ieri, fra l’altro, il padre del ragazzo su cui ha scaricato la colpa delle molestie telefoniche che venivano dal suo telefonino aziendale lo aveva sbugiardato in un’intervista a "Libero", implicitamente trattandolo da vile e da spergiuro. Ieri sono arrivati sui giornali tanti e tali elementi della sua vita privata e di questa strana relazione con Anna Bo., l’ex fidanzato e la curia di Terni, da indurlo, finalmente, a lasciare il posto di direttore dei quotidiano della Cei "per il bene della Chiesa". In realtà, qualcuno diceva che se l’avesse fatto il giorno dopo la pubblicazione dello scoop del "Giornale " di Feltri avrebbe limitato i danni che questa inutile settimana di resistenza gli ha portato. A lui e al suo amato clero. Ieri ovviamente ha potuto incassare l’interessata solidarietà di Bagnasco, l’altro grande sconfitto di questa lotta interna con la Segreteria di Stato della Santa Sede (almeno a sentire il su citato vaticanista di ‘Agenzia radicale"), ma a Roma tutto ciò lo definiscono così: "consolarsi con l’aglietto". Alla fine un po’ tutti i protagonisti della storia non hanno dato grande prova di sé: lui, Boffo, è passato da "sepolcro imbiancato" , da vile per avere scaricato la colpa su un povero ragazzo morto, e da omosessuale cachè e omofobo, stile Santa Romana Chiesa. Feltri, pubblicando una cosa che non era un atto giudiziario vero e proprio ma un estratto di straforo del casellario giudiziale che qualche manina complice, nella polizia di Stato, ha passato sottobanco ai servizi vaticani, ha fatto la figura di quello che pubblica veline per conto del terribile Cav. Farina, poveraccio, è passato da suggeritore per via dei propri precedenti betulleschi, senza entrarci un beneamato e Bagnasco, nell’impossibile tentativo di difendere l’indifendibile, ha fatto la figura di chi non accettando un’onorevole resa va incontro alla propria Waterloo. Possiamo aggiungere anche il capo della Polizia Manganelli che, per eccesso di zelo politically correct - e sentendosi chissà perché chiamato in causa per quell’interrogazione illegittima al terminale dei Ced, occultata con un tratto di pennarello nero sul numero dell’operatore - ha tenuto a raccontare a "La Repubblica" che "non sia mai che la polizia scheda gli omosessuali". Anzi, ha aggiunto facendo ridere mezza Italia, "da noi è pieno di poliziotti che sono diventate poliziotte e di poliziotte diventati poliziotti". Cosicché la prossima volta che qualcuno verrà fermato per un controllo potrà sempre essere preso dal dubbio se l’agente che lo sta controllando non sia per caso un trans. Insomma roba da commedia all’italiana stile Alvaro Vitali. O se si preferisce, una pochade da pellicola di Almodovar che la metà sarebbe bastata. Con tutti gli ingredienti da film del Monnezza: il giornalista moralista e molestatore, la famiglia timorata di Dio che cerca un’impossibile privacy, i vescovi che difendono non si sa bene quale virtù dello stesso molestatore, i giornali progressisti che cercano di rovesciare la frittata e tanta, ma tanta, disinformazione e mistificazione mediatica della verità che farebbe venire voglia di restituire la nazionalità italiana al Capo dello Stato. Mentre tutto il mondo arranca per la crisi, l’ltalia post ferragostana, non avendo un cavolo da fare ha cercato di auto-affondarsi così, con un’opera da tre soldi. Anzi, una telenovela. Perché già da ora saremo facili profeti nel dirvi che non è ancora finita. (l'Opinione)
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