lunedì 28 settembre 2009

Il paradosso dell'agenda rossa. Lino Jannuzzi

C’è un infame paradosso nella tesi di quanti sostengono, in buona o in cattiva fede, che Paolo Borsellino aveva con sé nel momento in cui fu ucciso, diciassette anni fa, l’"agenda rossa" che sarebbe stata fatta sparire perché conterrebbe i segreti delle stragi di mafia,i nomi dei "mandanti politici",a cominciare dal mandante dell’assassinio di Giovanni Falcone,e i nomi dei responabili della presunta "trattativa" tra lo Stato e la mafia, sicchè, come ha scritto il nuovo giornale di Marco Travaglio, questa agenda sparita sarebbe la "scatola nera" della seconda Repubblica. Il paradosso è questo: sono proprio loro, che si presentano come i più gelosi custodi della memoria dell’eroe trucidato a via D’Amelio e scendono in piazza agitando agendine rosse per invocare e pretendere la verità sulla strage, sono proprio loro che lo denigrano e lo infamano. Il giudice Paolo Borsellino, secondo la loro tesi sull’agenda rossa, sarebbe venuto a conoscenza dei più spaventosi segreti sulle stragi e sui mandanti e sulla “trattativa” tra lo Stato e la mafia,e non ne avrebbe mai fatto parola non solo con i suoi più stretti e fidati collaboratori, poliziotti e carabinieri, ma anche con i suoi colleghi magistrati inquirenti, e specialmente quelli preposti a indagare sulle stragi.

Peggio, secondo costoro, in buona sostanza, il giudice Paolo Borsellino avrebbe appreso dai “pentiti”, e in particolare dall’ultimo “pentito” che ha interrogato, Gaspare Mutolo, poco più di due settimane prima della strage, i segreti delle stragi e delle trattative e i nomi dei “traditori”, come quello del più famoso poliziotto di Palermo, Bruno Contrada, e non li avrebbe verbalizzati, non li avrebbe trascritti nel verbale dell’interrogatorio del “pentito”, e solo li avrebbe annotati nella sua personale e segretissima agenda rossa. Non è un’infamia il solo ipotizzare che questo eroe dell’antimafia abbia potuto far questo, violando la legge e i più elementari doveri di un giudice?

E non basta questa sola considerazione, questo paradosso infame, se mancassero altri più che convincenti e contrastanti elementi (e ce ne sono tanti), a dimostrare che in questa polemica tutto è artefatto e strumentale e falso, che nel mistero dell’agenda scomparsa tutto ci può essere meno che i terribili “segreti” delle stragi e dei “mandanti politici” e del “traditori” dello Stato complici della mafia? Ed è possibile che non ci si renda conto che credere alle “rivelazioni”di Gaspare Mutolo (il “pentito” più sbugiardato e più sputtanato di vent’anni di antimafia,quello che riuniva a casa sua gli altri mafiosi per concordare con loro le “rivelazioni” da fare ai giudici) significa automaticamente denigrare e infamare Borsellino? E bisogna credere a Mutolo, infamando Borsellino che avrebbe tenute nascoste le sue "rivelazioni", e non a Vittorio Aliquò, a quel tempo procuratore aggiunto a Palermo, e al vice questore Francesco Gratteri, che erano presenti all’interrogatorio di Mutolo e che hanno dichiarato e deposto che niente rivelò Mutolo a Borsellino di segreti delle stragi e di nomi di mandanti e di politici e tutto di quanto fu detto invece Borsellino fece correttamente mettere a verbale?

Del resto, questo dell’agenda rossa contenente chissà quali segreti e sparita per nascondere o ricattare i politici mandanti dell’assassinio di Paolo Borsellino non è il solo falso strumentalmente accreditato nella vicenda della strage di via D’Amelio: già all’indomani stesso della strage tentarono di coinvolgervi Bruno Contrada accreditando la leggenda che l’ex capo della squadra mobile di Palermo, e al momento alto dirigente del Sisde, il servizio segreto civile,fosse presente in via D’Amelio al momento dell’esplosione o immediatamente dopo, e che fosse stato lui a impadronirsi dell’agenda rossa e a farla sparire.Tentarono di inquisirlo e processarlo per la strage e come tramite tra i politici e la mafia, e soltanto quando fu irrimediabilmente provato che in quel momento Contrada era su una nave al largo della Sicilia con altre dieci persone, tra cui esponenti delle forze dell’ordine, ci rinunciarono, ripiegando sul sempre facile e comodo concorso esterno all’associazione mafiosa e alle solite sempre puntuali accuse dei “pentiti” (gli stessi mafiosi che Contrada nel tempo aveva perseguito e arrestati).

E dai tempi dell’inchiesta per strage a carico di Marcello Dell’Utri e di Silvio Berlusconi a quelli ultimi del processo per concorso esterno a Dell’Utri gira ancora una favola, parallela a quella della agenda rossa, la favola della “ultima” intervista di Paolo Borsellino, una specie di testamento che Borsellino avrebbe consegnato, appena due giorni prima della strage di Capaci, dove fu assassinato Giovanni Falcone, a un giornalista francese e dove il giudice per primo avrebbe denunciato i rapporti di Berlusconi con la mafia. Borsellino aveva effettivamente ricevuto a casa sua a Palermo il 21 maggio del 1992 un certo Fabrizio Calvi, accompagnato da un operatore televisivo, e aveva parlato con lui per un paio d’ore. Ma dell’intervista non si era più sapito niente né in Italia né in Francia, finchè due anni dopo, l’8 aprile del ’94,in coincidenza con le prime accuse di mafia insinuate da Luciano Violante contro Dell’Utri, era comparso sull’Espresso un “resoconto” della “conversazione” tra Borsellino e questo Calvi, e dovevano passare ancora sette anni prima che, nell’aprile del 2001, proprio alla vigilia delle elezioni politiche, Michele Santoro in una puntata del “Raggio verde” trasmettesse un filmato della durata di soli dieci minuti: una “sintesi” dell’intervista realizzata arbitrariamente con un sistema di tagli e cuci, dove il giornalista francese insiste con le domande, partendo dal solito caso dello “stalliere” Vittorio Mangano, e cerca di strappare qualcosa di bocca al giudice, che ostinatamente nega e si sottrae. Risponde Borsellino: ”Non sono a conoscenza di questo episodio...probabilmente non si tratta della stessa intercettazione...Dell’Utri non è stato imputato nel maxi processo, che io ricordi...non ne conosco i particolari...si tratta di atti processuali dei quali non mi sono personalmente occupato, quindi sui quali non potrei rivelare nulla...non mi dovete fare queste domande su Dell’Utri...che Mangano e Dell’Utri sono di Palermo tutti e due non è una considerazione che induce alcuna conclusione...questa vicenda che riguarderebbe i rapporti con Berlusconi è una vicenda che non mi appartiene, quindi non mi sento autorizzato a dirle nulla...”

E nulla in effetti Borsellino dice in proposito, nonostante ciò che cercano di far risultare con il trucco del taglia e cuci. Ma il falso principale, il punto sul quale i professionisti dell’antimafia e i loro epigoni nel giornalismo e in tv insistono, l’elemento più emozionale ed emozionante, è quello di far passare questa intervista taroccata come “l’ultima” di Borsellino, il suo testamento. E’ invece un mese dopo, trenta giorni dopo la strage di Capaci e la morte del suo amico Falcone e un mese prima di essere ucciso a sua volta, che Borsellino riceve nello studio di casa sua, in via Cilea a Palermo, un altro giornalista, un giornalista italiano, e si racconta. E questa è un’intervista veramente drammatica e può essere considerato il suo testamento. C’è persino il presagio di ciò che sta per succedergli: ”Dalla morte di questo mio vecchio amico e compagno di lavoro-dice Borsellino-la mia vita è cambiata...mi sento un sopravvissuto...ricordo che mi disse Ninni Cassarà (il questore anche lui ucciso dalla mafia) allorchè ci stavamo recando insieme sul luogo dove era stato ucciso il dottor Montana...mi disse: "Convinciamoci che noi siamo dei cadaveri che camminano….’”.

E ha chi l’ha data Borsellino questa intervista, veramente la sua ultima intervista, il suo testamento? L’ha data al vicedirettore di Canale 5, la televisione del “mafioso” Silvio Berlusconi, quello che secondo i professionisti dell’antimafia e i cronisti loro epigoni, che ancora lo scrivono negli articoli e nei libri, lo ripetono in televisione, Borsellino per primo avrebbe denunciato, insieme a Dell’Utri, come amico e complice della mafia. Un altro paradosso, infame come quello dell’agenda rossa. (il Velino)

24 commenti:

Anonimo ha detto...

dove il giornalista francese insiste con le domande, partendo dal solito caso dello “stalliere” Vittorio Mangano, e cerca di strappare qualcosa di bocca al giudice, che ostinatamente nega e si sottrae.

naturalmente BALLE DI JANNUZZI. ecco la versione integrale dove non si sottrae nè nega
leggetela e confrontate le balle di questo pseud giornalista che fa il copia e incolla legando tutto con i puntini di sospensione


L'intervista integrale di Paolo Borsellino ai due giornalisti francesi Fabrizio Calvi e Jean-Pierre Moscardo di Canal Plus, rilasciata il 21 maggio 1992 e pubblicata da l'Espresso l'8 aprile 1994.

Tra queste centinaia di imputati ce n'è uno che ci interessa: tale Vittorio Mangano, lei l'ha conosciuto?
«Sì, Vittorio Mangano l'ho conosciuto anche in periodo antecedente al maxiprocesso, e precisamente negli anni fra il '75 e l'80. Ricordo di avere istruito un procedimento che riguardava delle estorsioni fatte a carico di talune cliniche private palermitane e che presentavano una caratteristica particolare. Ai titolari di queste cliniche venivano inviati dei cartoni con una testa di cane mozzata. L'indagine fu particolarmente fortunata perché - attraverso dei numeri che sui cartoni usava mettere la casa produttrice - si riuscì rapidamente a individuare chi li aveva acquistati. Attraverso un'ispezione fatta in un giardino di una salumeria che risultava aver acquistato questi cartoni, in giardino ci scoprimmo sepolti i cani con la testa mozzata. Vittorio Mangano restò coinvolto in questa inchiesta perché venne accertata la sua presenza in quel periodo come ospite o qualcosa del genere - ora i miei ricordi si sono un po' affievoliti - di questa famiglia, che era stata autrice dell'estorsione. Fu processato, non mi ricordo quale sia stato l'esito del procedimento, però fu questo il primo incontro processuale che io ebbi con Vittorio Mangano. Poi l'ho ritrovato nel maxiprocesso perché Vittorio Mangano fu indicato sia da Buscetta che da Contorno come uomo d'onore appartenente a Cosa Nostra».

Uomo d'onore di che famiglia?
«L'uomo d'onore della famiglia di Pippo Calò, cioè di quel personaggio capo della famiglia di Porta Nuova, famiglia della quale originariamente faceva parte lo stesso Buscetta. Si accertò che Vittorio Mangano, ma questo già risultava dal procedimento precedente che avevo istruito io e risultava altresì da un procedimento cosiddetto procedimento Spatola, che Falcone aveva istruito negli anni immediatamente precedenti al maxi-processo, che Vittorio Mangano risiedeva abitualmente a Milano, città da dove come risultò da numerose intercettazioni telefoniche, costituiva un terminale del traffico di droga, di traffici di droga che conducevano le famiglie palermitane».

Anonimo ha detto...

E questo Vittorio Mangano faceva traffico di droga a Milano?
«Il Mangano, di droga... (Borsellino comincia a rispondere, poi si corregge, ndr), Vittorio Mangano, se ci vogliamo limitare a quelle che furono le emergenze probatorie più importanti, risulta l'interlocutore di una telefonata intercorsa fra Milano e Palermo nel corso della quale lui, conversando con altro personaggio delle famiglie mafiose palermitane, preannuncia o tratta l'arrivo di una partita d'eroina chiamata alternativamente, secondo il linguaggio convenzionale che si usa nelle intercettazioni telefoniche, come "magliette" o "cavalli"».

Comunque lei in quanto esperto, lei può dire che quando Mangano parla di cavalli al telefono vuol dire droga?
«Sì. Tra l'altro questa tesi dei cavalli che vogliono dire droga è una tesi che fu asseverata nella nostra ordinanza istruttoria e che poi fu accolta in dibattimento, tant'è che il Mangano fu condannato al dibattimento del maxiprocesso per traffico di droga». (Il Mangano è stato sottomesso al processo dibattimentale ed è stato condannato per questo traffico di droga. Credo che non venne condannato per associazione mafiosa - beh, sì per associazione semplice - riporta in primo grado una pena di 13 anni e 4 mesi di reclusione più 700 milioni di multa... La sentenza di Corte d'Appello confermò questa decisione di primo grado..., ndr).

Anonimo ha detto...

Quando ha visto per la prima volta Mangano?
«La prima volta che l'ho visto anche fisicamente? Fra il '70 e il '75».

Per interrogarlo?
«Sì, per interrogarlo».

E dopo è stato arrestato?
«Fu arrestato fra il '70 e il '75. Fisicamente non ricordo il momento in cui l'ho visto nel corso del maxiprocesso, non ricordo neanche di averlo interrogato personalmente. Si tratta di ricordi che cominciano a essere un po' sbiaditi in considerazione del fatto che sono passati quasi 10 anni».

Dove è stato arrestato, a Milano o a Palermo?
«A Palermo la prima volta (è la risposta di Borsellino; ai giornalisti interessa capire in quale periodo il mafioso vivesse ad Arcore, ndr)».

Quando, in che epoca?
«Fra il '75 e l'80, probabilmente fra il '75 e l'80».

Ma lui viveva già a Milano?
«Sicuramente era dimorante a Milano anche se risulta che lui stesso afferma di spostarsi frequentemente tra Milano e Palermo».

E si sa cosa faceva a Milano?
«A Milano credo che lui dichiarò di gestire un'agenzia ippica o qualcosa del genere. Comunque che avesse questa passione dei cavalli risulta effettivamente la verità, perché anche nel processo, quello delle estorsioni di cui ho parlato, non ricordo a che proposito venivano fuori i cavalli. Effettivamente dei cavalli, non "cavalli" per mascherare il traffico di stupefacenti».

Ho capito. E a Milano non ha altre indicazioni sulla sua vita, su cosa faceva?
«Guardi: se avessi la possibilità di consultare gli atti del procedimento molti ricordi mi riaffiorerebbero...».

Ma lui comunque era già uomo d'onore e negli anni Settanta?
«... Buscetta lo conobbe già come uomo d'onore in un periodo in cui furono detenuti assieme a Palermo antecedente gli anni Ottanta, ritengo che Buscetta si riferisca proprio al periodo in cui Mangano fu detenuto a Palermo a causa di quell'estorsione nel processo dei cani con la testa mozzata... Mangano negò in un primo momento che ci fosse stata questa possibilità d'incontro... ma tutti e due erano detenuti all'Ucciardone qualche anno prima o dopo il '77».

Anonimo ha detto...

Volete dire che era prima o dopo che Mangano aveva cominciato a lavorare da Berlusconi? Non abbiamo la prova...
«Posso dire che sia Buscetta che Contorno non forniscono altri particolari circa il momento in cui Mangano sarebbe stato fatto uomo d'onore. Contorno tuttavia - dopo aver affermato, in un primo tempo, di non conoscerlo - precisò successivamente di essersi ricordato, avendo visto una fotografia di questa persona, una presentazione avvenuta in un fondo di proprietà di Stefano Bontade (uno dei capi dei corleonesi, ndr)».

Anonimo ha detto...

Mangano conosceva Bontade?
«Questo ritengo che risulti anche nella dichiarazione di Antonino Calderone (Borsellino poi indica un altro pentito ora morto, Stefano Calzetta, che avrebbe parlato a lungo dei rapporti tra Mangano e una delle famiglie di corso dei Mille, gli Zanca, ndr)...».
A quanto pare Rapisarda e Dell'Utri erano in affari con Ciancimino, tramite un tale Alamia (Francesco Paolo Alamia, presidente dell'immobiliare Inim e della Sofim, sede di Milano, ancora in via Chiaravalle 7, ndr).
«Che Alamia fosse in affari con Ciancimino è una circostanza da me conosciuta e che credo risulti anche da qualche processo che si è già celebrato. Per quanto riguarda Dell'Utri e Rapisarda non so fornirle particolari indicazioni trattandosi, ripeto sempre, di indagini di cui non mi sono occupato personalmente».

Si è detto che Mangano ha lavorato per Berlusconi.
«Non le saprei dire in proposito. Anche se, dico, debbo far presente che come magistrato ho una certa ritrosia a dire le cose di cui non sono certo poiché ci sono addirittura... so che ci sono addirittura ancora delle indagini in corso in proposito, per le quali non conosco addirittura quali degli atti siano ormai conosciuti e ostensibili e quali debbano rimanere segreti. Questa vicenda che riguarderebbe i suoi rapporti con Berlusconi è una vicenda - che la ricordi o non la ricordi -, comunque è una vicenda che non mi appartiene. Non sono io il magistrato che se ne occupa, quindi non mi sento autorizzato a dirle nulla».
Ma c'è un'inchiesta ancora aperta?
«So che c'è un'inchiesta ancora aperta».

Su Mangano e Berlusconi? A Palermo?
«Su Mangano credo proprio di sì, o comunque ci sono delle indagini istruttorie che riguardano rapporti di polizia concernenti anche Mangano».

Concernenti cosa?
«Questa parte dovrebbe essere richiesta... quindi non so se sono cose che si possono dire in questo momento».

Come uomo, non più come giudice, come giudica la fusione che abbiamo visto operarsi tra industriali al di sopra di ogni sospetto come Berlusconi e Dell'Utri e uomini d'onore di Cosa Nostra? Cioè Cosa Nostra s'interessa all'industria, o com'è?
«A prescindere da ogni riferimento personale, perché ripeto dei riferimenti a questi nominativi che lei fa io non ho personalmente elementi da poter esprimere, ma considerando la faccenda nelle sue posizioni generali: allorché l'organizzazione mafiosa, la quale sino agli inizi degli anni Settanta aveva avuto una caratterizzazione di interessi prevalentemente agricoli o al più di sfruttamento di aree edificabili. All'inizio degli anni Settanta Cosa Nostra cominciò a diventare un'impresa anch'essa. Un'impresa nel senso che attraverso l'inserimento sempre più notevole, che a un certo punto diventò addirittura monopolistico, nel traffico di sostanze stupefacenti, Cosa Nostra cominciò a gestire una massa enorme di capitali. Una massa enorme di capitali dei quali, naturalmente, cercò lo sbocco. Cercò lo sbocco perché questi capitali in parte venivano esportati o depositati all'estero e allora così si spiega la vicinanza fra elementi di Cosa Nostra e certi finanzieri che si occupavano di questi movimenti di capitali, contestualmente Cosa Nostra cominciò a porsi il problema e ad effettuare investimenti. Naturalmente, per questa ragione, cominciò a seguire una via parallela e talvolta tangenziale all'industria operante anche nel Nord o a inserirsi in modo di poter utilizzare le capacità, quelle capacità imprenditoriali, al fine di far fruttificare questi capitali dei quali si erano trovati in possesso».

Anonimo ha detto...

Dunque lei dice che è normale che Cosa Nostra s'interessi a Berlusconi?
«E' normale il fatto che chi è titolare di grosse quantità di denaro cerca gli strumenti per potere questo denaro impiegare. Sia dal punto di vista del riciclaggio, sia dal punto di vista di far fruttare questo denaro. Naturalmente questa esigenza, questa necessità per la quale l'organizzazione criminale a un certo punto della sua storia si è trovata di fronte, è stata portata a una naturale ricerca degli strumenti industriali e degli strumenti commerciali per trovare uno sbocco a questi capitali e quindi non meraviglia affatto che, a un certo punto della sua storia, Cosa Nostra si è trovata in contatto con questi ambienti industriali».

E uno come Mangano può essere l'elemento di connessione tra questi mondi?
«Ma, guardi, Mangano era una persona che già in epoca ormai diciamo databile abbondantemente da due decadi, era una persona che già operava a Milano, era inserita in qualche modo in un'attività commerciale. E' chiaro che era una delle persone, vorrei dire anche una delle poche persone di Cosa Nostra, in grado di gestire questi rapporti».

Però lui si occupava anche di traffico di droga, l'abbiamo visto anche in sequestri di persona...
«Ma tutti questi mafiosi che in quegli anni - siamo probabilmente alla fine degli anni '60 e agli inizi degli anni '70 - appaiono a Milano, e fra questi non dimentichiamo c'è pure Luciano Liggio, cercarono di procurarsi quei capitali, che poi investirono negli stupefacenti, anche con il sequestro di persona».

(A questo punto Paolo Borsellino consegna dopo qualche esitazione ai giornalisti 12 fogli, le carte che ha consultato durante l'intervista) «Alcuni sono sicuramente ostensibili perché fanno parte del maxiprocesso, ormai è conosciuto, è pubblico, alcuni non lo so...». Non sono documenti processuali segreti ma la stampa dei rapporti contenuti dalla memoria del computer del pool antimafia di Palermo, in cui compaiono i nomi delle persone citate nell'intervista: Mangano, Dell'Utri, Rapisarda, Berlusconi, Alamia.

E questa inchiesta quando finirà?
«Entro ottobre di quest'anno...».

Quando è chiusa, questi atti diventano pubblici?
«Certamente...».

Perché ci servono per un'inchiesta che stiamo cominciando sui rapporti tra la grossa industria...
«Passerà del tempo prima che...», sono le ultime parole di Paolo Borsellino.

(Palermo, 21 maggio, 1992)

Anonimo ha detto...

Questa intervista non smentisce nulla di quanto scritto da jannuzi.
Tra l Altro è singolare che l intervista sia scomparsa per 2 anni.

Infine non è l ultima intervista di Borsellino, come si vuole sostenere, dato che l ultima fu concessa a sposini.

Anonimo ha detto...

questo articolo è una vergogna, fossi il reggimicrofono che l'ha concepito mi vergognerei, ma dato che chi scrive queste CALUNNIE non ha probabilmente un minimo di etica professionale non riuscirebbe neanche a vergognarsi....

la legalità é la premessa del dibattito politico nei paesi democratici, qua il centrodestra pensa che sia una cosa della "sinistra" chiediamoci perchè

Anonimo ha detto...

Questa intervista non smentisce nulla di quanto scritto da jannuzi


dimostra invece quanta strada ha da fare la Gelmini per riformare la scuola:
i cognomi si scivono con le maiuscole e i cognomi non si deformano jannu"z"i

vergogna

Anonimo ha detto...

Ma guarda quello che scrivi tu :

ecco la versione integrale dove non si sottrae nè nega
leggetela e confrontate le balle di questo pseud giornalista

Manca il punto dopo nega , la maiuscola ne Leggetela e pseud giornalista non significa nulla ,
semmai pseudogiornalista

a te invece dovrebbero impare un po di disciplina e di rispetto , ma ci vorrebbero tanti di quei calci nel culo...

Anonimo ha detto...

scusa, hai ragione tu.
finiamola.

Anonimo ha detto...

a te invece dovrebbero impare un po di disciplina e di rispetto , ma ci vorrebbero tanti di quei calci nel culo...

non mi attribuire frasi che non ho scritto

e poi "po" si scrive con l'accento

ritorna a scuola pardon "SQUOLA"

che inferiore...

Anonimo ha detto...

te invece dovrebbero impare un po di disciplina e di rispetto , ma ci vorrebbero tanti di quei calci nel culo...

non mi attribuire frasi che non ho scritto

e poi "po" si scrive con l'accento
PS
Imparare - avresti dovuto scrivere: "insegnare".
"po" non si scrive con l'accento, ma con l'elisione: es:
Non pò, ma po'.
Non per criticare, ma a titolo di chiarimento.

Anonimo ha detto...

Prima ti scusi e poi attacchi di nuovo.

mi sembri un po' confuso
solo un po'

Anonimo ha detto...

sbaglio o c'è una persona di troppo?

Anonimo ha detto...

Per l'anonimo che ha messo l'intervista dell'Espresso:

pare che l'intervista che hai riportato non sia la "trascrizione integrale" del video. Ma la trascrizione del taglia e cuci, al massimo. Tagliato proprio delle parole che ha scritto Jannuzzi. Chissa' perche'. Successivamente pare l'abbia storpiata e modificata anche Travaglio (che strano!).

Qui una sintesi:
http://cronachedallimbecillario.splinder.com/post/20594426#20594426

e qui il sinottico:
http://cronachedallimbecillario.splinder.com/post/16479495

Cio' non scagione ne' Mangano ne' Berlusconi. Solo dice che certi "giornalisti" tagliano e cuciono le parole dei morti come vogliono loro.
Luigi

Anonimo ha detto...

Corrige: volevo dire "trascrizione integrale" dell'intervista, non del video. Sorry
Luigi

maurom ha detto...

Grazie Luigi.
Il vero giornalismo è mettere a disposizione di tutti le informazioni che servono per formare un opinione.
Continua a darci una mano: ne abbiamo bisogno.

Anonimo ha detto...

Luigi, hai ragione tu !

In effetti di questa intervista ne girano di diverse , per esempio questa dal quale il taglia e cuci è ancora più evidente:

http://www.disinformazione.it/intervistaborsellino.htm

Bisognerebbe capire poi perchè è sparita per 2 anni ed è stata riproposta successivamente dall espresso, ma a rispondere a questo ci ha già pensato il buon Jannuzzi.

Grazie Luigi !!

Anonimo ha detto...

Grazie ma volevo specificare due cose:
1)l'autore di Cronachedallimbecillario non sono io, ma un blogger di nome "Enrix", e il merito del sinottico va a lui.
Io ho solo letto il suo lavoro e l'ho riportato qui per farlo conoscere anche a voi.
2)L'anonimo ha messo la trascrizione dell'intervista che l'Espresso ha presentato, che non e' quella del video, ma e' manipolata anch'essa per quel poco che si puo' sapere, e sara' ancora piu' manipolata da Travaglio. Copio e incollo da Enrix:
"La cosa divertente, è che su Voglioscendere quella domanda e quella risposta vengono infilate in un punto dell'intervista non pertinente, perchè la sua collocazione originale la si può leggere nel sinottico qui sotto. Ma non solo. Il testo è modificato. Infatti la seconda parte della risposta viene sostituita con la seconda parte di una risposta precedente, e messa fra parentesi con la noticina finale "ndr", come se fosse un commento del giornalista dell'Espresso. In realtà si tratta di un gran pasticcio, perchè fra le parentesi, per distrazione del manipolatore di turno, rimane un "io credo che" che dimostra che si tratta di parole di Borsellino, e non di una nota di redazione. Inoltre, la manipolazione è incredibilmente maldestra e la gaffe è evidente, poichè siccome un pezzo di quella risposta ("Sì. Tra l'altro questa tesi dei cavalli che vogliono dire droga è una tesi che fu asseverata nella nostra ordinanza istruttoria e che poi fu accolta in dibattimento, tant'è che il Mangano fu condannato") veniva appiccicato dall'Espresso ad un'altra domanda che non era la sua, ora nella versione di "Voglioscendere", che è un "collage" delle due cose, compaiono due domande con la stessa identica risposta (!)."
Cio' non toglie che effettivamente, neanche dell'intervista dell'Espresso si puo' sapere che tagli sono stati fatti per le parti di cui non c'e' la trascrizione nella sentenza, e che comunque quello che scrive Jannuzzi e' vero: i giornalisti insistono ogni cinque minuti su Berlusconi, e Borsellino nelle risposte non lo nomina mai...puzza di un altro copia incolla. Il sospetto e' piu' che lecito vedendo che razza di stravolgimento hanno fatto un po' tutti.
Buona giornata!
Luigi

Anonimo ha detto...

ALtro sinottico di Enrix, piu' completo:
http://cronachedallimbecillario.splinder.com/post/17222860#17222860
Luigi

maurom ha detto...

Grazie ancora Luigi.
Sono curioso di vedere se gli amici di Travaglio sono ancora in grado di (s)mentire.

LE MEZZE VERITA' ha detto...

incredibile..caro Lino Jannuzzi, nello stesso giorno abbiamo pensato la stesa cosa. Io l'ho però riferita a Contrada, il cui caso conosci molto bene. Ci sono molti punti oscuri, checchè ne dicono i commenti offensivi al tuo articolo; e come al solito, chi offende è sempre anonimo. Ti prego, di non dimenticarti di Bruno Contrada, ho il pregio di essere il medico che gli ha fatto ottenere i domiciliari scovando nella carte gravi omissioni in violazione dei suoi diritti di detenuto malato. Ti saluto con affetto profondo e stima. Ciao Agnesina Pozzi

Anonimo ha detto...

Un altro paradosso: i famigliari di Paolo Borsellino, che evidentemente lo conoscono meno bene di te, sono anch'essi convinti che l'agenda sia stata sottratta il giorno della strage, e che contenesse informazioni importanti. Mi sfugge come possano avere un'opinione cosi' bassa del povero Paolo.