Usiamo lo stile di Travaglio. E’ così di moda e di successo. Chissà che non si riesca anche noi, nel nostro piccolo, a diventare tanto famosi da guadagnarci un bel contratto in Rai. Un sogno che inseguiamo fin da bambini.
A proposito di puttane e puttanopoli. Alcuni giornalisti italiani lanciano il ricorrente allarme: “siamo in un regime”. Non c’è libertà di espressione, c’è la censura, le nostre idee sono minacciate. Poveretti. Come li capisco.
Vorrebbero scrivere che il popolo italiano paga una tangente chiamata “interesse sul debito pubblico” di oltre 70 miliardi di euro, e la paga ad una associazione a delinquere fatta di banche e banche centrali, “criminali che andrebbero processati per crimini contro l’umanità, tra i quali Draghi (parole di Elio Lannutti dell’Italia dei Valori)”.
Ma nessun editore permette ai valorosi giornalisti italiani di scrivere su questi temi così importanti. Così le nostre migliaia di “penne libere”, gli alpini della verità, i Santoro, Travaglio, Floris, Colombo, Maltese, Giannini, Padellaro, Mauro, Beha e compagnia cantando, sono costretti a negare il giusto risalto a notizie come quella sull’assoluzione di Angelo Rizzoli, depredato dalla solita banda di banchieri, pescecani, affaristi, malavitosi ed alti prelati. I nostri eroi, impegnati nella crociata contro Silvio il Saladino, schierati sul fronte opposto, ovvero a favore della lobbie che gli contende il potere, cioè il sottopotere, hanno ignorato la notizia sulla vera storia del gruppo Rizzoli-Corriere della Sera, che oggi appartiene ai soliti noti parassiti, e che secondo giustizia non dovrebbe essere loro, perché è stato illegalmente e con modalità truffaldine sottratto ad Angelo Rizzoli. Il quale, giusto per continuare a parlare di puttane, puttane vecchie, navigate ma ancora in servizio, è stato incarcerato dai soliti magistrati al servizio dei potentati economici, al fine di distruggerlo, nel fisico e nella mente, al solo scopo di sottrargli il patrimonio di famiglia. In quei giorni, Gianni Agnelli, con la freddezza tipica dei rettili e la finezza di uno scaricatore di porto, chiamò Rizzoli appena uscito dal carcere per dirgli: “Siamo nel mondo degli affari dove vale la legge della giungla: il più forte vince il più debole. E lei, dottor Rizzoli, in questo momento è il più debole”. Questo era il raffinatissimo “principe” dell’aristocrazia piemontese: un magliaro (definizione estratta da Dagospia)! Lo stesso magliaro che fu l’idolo dei giornalisti italiani per mezzo secolo, il Papi ante litteram, visto che anche lui “cantava canzoni napoletane” alla diciottenne (e chissà da quanto tempo, forse da quando era minorenne) Monica Guerritore, come sapevano in tanti anche se mai nessuno osò scriverlo. “Con la vicenda Corriere ho perso 26 anni di vita - prosegue Rizzoli”. “Mio padre ci è morto d’infarto nel 1983, mia sorella Isabella, la più piccola, si è suicidata nel 1986. Mi hanno incarcerato tre volte e portato in cinque carceri diverse. Porto i segni sulla pelle di quello che mi hanno fatto”.
Ma non state in pensiero, amici miei. Ora arriva Padellaro e sistema tutto, con l’aiuto di Colombo e Travaglio, e a quanto sembra anche Massimo Fini. Cosa ci farà in mezzo a queste scarpe vecchie è un mistero, è ovvio che li lega solo l’odio per Berlusconi. Tuttavia, mentre quella di Fini è un’avversione ideale e culturale, quella dei soliti noti ha il suo nucleo negli interessi di parte, la sponda di De Benedetti e della finanza vampirica italiana ed internazionale, la stessa che sussurrava all’orecchio di Ciampi, Amato e Prodi, e che non vede l’ora di liberarsi di Berlusconi e Tremonti e di quei cafoni dei leghisti. Credo che Massimo Fini durerà poco in questa compagnia di vecchie combattenti del marciapiede, giusto il tempo di farsi censurare qualcosa sull’Afghanistan e sull’Iraq, vista la presenza dei filo-israeliani e filo-americani Colombo e Travaglio. Ciò non di meno attendiamo con trepidazione di poter leggere che il comparto bancario italiano (insieme a tutto quello occidentale) impedisce autentiche indagini per conoscere le vie finanziarie del riciclaggio del mondo della droga. Scopriremo che alcune multinazionali vendono inspiegabilmente medicine cancerogene, che il latte artificiale è dannoso per i nostri bambini, che l’Europa paga la tangente agli USA per non volere autorizzare il commercio di carne agli estrogeni.
A proposito di puttane, puttane di lunga carriera, travestite da verginelle, questi non scriveranno niente di tutto questo, se non nella solita maniera generica, pavida ed alibistica con la quale si sono creati la fama di “Ernesti sparalesti” della verità, senza mai e dico mai scrivere qualcosa contro i veri poteri. D’altronde sono gli stessi cresciuti e pasciuti all’epoca del consociativismo, della spartizione delle tre reti Rai, una alla Chiesa, una ai socialisti ed una ai compagni e compagnucci. A proposito di vecchie zoccole e delle loro notti accanto al fuoco, questi sono gli stessi che si sono scaldati per decenni accanto ai fuochi del clientelismo, delle raccomandazioni, delle lobbie, degli amici degli amici. La loro ennesima, squallida, povera campagna di terz’ordine contro Berlusconi non è degna di passare per battaglia per la libertà. La libertà di stampa in Italia non esisteva prima di Berlusconi e non esisterà dopo. E quando si potrà tornare a scrivere liberamente, non sarà certo per merito loro. A proposito di puttane, quelle di Berlusconi, al cospetto di queste vecchie baldracche, sono delle educande dodicenni che studiano in un collegio di orsoline. (Arianna Editrice)
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20 commenti:
Autogol di F. De Marcosolite piccole figure di merda di cialtroni con una penna in mano
"...Ben altra copertura mediatica ha avuto l’annullamento in Cassazione della condanna dell’editore Angelo Rizzoli, arrestato 26 anni fa per bancarotta per aver «occultato, dissipato e distratto dalla loro destinazione beni per un totale di 85,2 miliardi di lire» dalle casse della Rizzoli in amministrazione controllata. Stando ai tg e alle lacrimose interviste di Rizzoli alla stampa compiacente (quasi tutta), pare che il sant’uomo sia stato perseguitato per 26 anni con accuse infondate. «Esco pulito», «26 anni di persecuzione», «il marchio d’infamia del bancarottiere era tutto fumo», «han distrutto la mia vita», «chiedo allo Stato un risarcimento morale, economico, esistenziale». Parole dell’uomo che rovinò la Rizzoli e il Corriere, coprendoli di debiti e consegnandoli alla P2, cui era affiliato. Piccolo particolare: la Cassazione non l’ha assolto perché non avesse commesso il reato, ma perché la «bancarotta patrimoniale societaria in amministrazione controllata» è stata depenalizzata nel 2006. Era reato quando Rizzoli lo commise, ora non lo è più. E lui se ne vanta. E vuole pure i nostri soldi. E tv e giornali gli danno una mano. Vergogniamoci per loro."
Marco Travaglio
LUNEDI’2 MARZO 2009
Ha parlato il megafono di cappio&manette.
rosica rosica
"il fatto" di padellaro travaglio &C. ha venduto+di 130mila copie il primo giorno (non tenendo conto dei lettori online che leggono gratis il quotidiano girato dagli abbonati online)senza un euro di contributi statali
mentre il cavaliere pur di mantenere il Giornale si piange 22milioni di perdite l'anno
rosica rosica
ps:se ti è cara la libertà di stampa riporta le parole di Filippo Facci dette a proposito delle notizie sulla Carfagna non pubblicate dal Giornale
ROSICA
Riportale tu.
se le riporto e tu le le pubblichi sull'homepage volentieri
sono anche su Youtube dopo l'intervento di Bocca
http://www.youtube.com/watch?v=hSqw4_grf4o
Volta...Facci
ROSICA
Ancora una volta Travaglio dimostra qual è il suo mestiere : fare da copertura alla grande finanza parassitaria e corrotta dei grandi giornali e delle grandi banche, dei de benedetti dei montezemolo dei profumo dei passera dei draghi.
Piuttosto i parassiti che hanno scippato rizzoli attraverso le procure amiche restituiscano la rizzoli corriere della sera al legittimo propietario, cui peraltro porta il nome.
angelo RIZZOLI Chiede 650 milioni € a coloro che gli portarono via le azioni Rizzoli - atto di citazione DIRETTO A Bazoli, Zaleski, Marchetti, Zuccoli e Giovanni Arvedi - pagarono 10 miliardi qualcosa che valeva 140 - COME FU "STRANGOLATO" ANGELONE - Agnelli mi telefonò: “Siamo nel mondo degli affari dove vale la legge della giungla: il più forte mangia il più debole. E lei in questo momento è il più debole”
«Prendere un uomo malato di sclerosi multipla, sapendolo innocente, tenerlo in carcere, distruggergli la vita, perseguitare e devastare lui e la sua famiglia e portargli via tutto quello che avevano, fare tutto questo al solo scopo di mettere le mani sul "Corriere della Sera", è giusto e legittimo? Tutti questi comportamenti come si conciliano con l'etica promossa dalla Chiesa Cattolica e tanto sbandierata dagli esponenti della finanza?
Oggi che si parla tanto di libertà di stampa, vorrei far notare che nemmeno Mussolini fece arrestare Albertini del "Corriere" o Frassati della "Stampa", che gli erano ostili, per metterli in riga. Io sono stato arrestato ingiustamente, tenuto in carcere e poi assolto da tutto, al solo scopo di portarmi via il Corriere della Sera. Qualcuno deve pagare per le ingiustizie che ho subito».
Zaleski Bazoli
Angelo Rizzoli, 65 anni, ex proprietario del grande gruppo editoriale milanese e del "Corriere della Sera", oggi produttore televisivo affermato e stimato, sta per scatenare la "guerra". Chiede 650 milioni di euro a coloro che gli portarono via le azioni della Rizzoli, che non gliele pagarono, gli impedirono la ricapitalizzazione, lo strangolarono, gli portarono via l'azienda.
Martedì 15 settembre alla riapertura degli Uffici Giudiziari, i suoi avvocati, professori Romano Vaccarella e Achille Saletti, presenteranno al Tribunale Civile di Milano un atto di citazione contro Giovanni Bazoli (nella sua qualità di rappresentante legale di Intesa SanPaolo e di Mittel Spa, per quest'ultima insieme a Roman Zaleski), Piergaetano Marchetti (presidente di Rcs Mediagroup), Giuliano Zuccoli (presidente Edison Spa) e Giovanni Arvedi (imprenditore siderurgico di Cremona).
Angelo Rizzoli, non potendo avere la restituzione delle sue vecchie azioni del gruppo editoriale - a causa delle fusioni, incorporazioni, unificazione di marchi e modificazioni societarie - chiama in causa coloro che furono, o sono gli "eredi" societari, della cordata che si portò a casa il Corriere e una serie di altre prestigiose testate per un piatto di lenticchie. Quella cordata nel 1984 era composta da Gemina (50%), Meta (25%), Mittel e Arvedi (12,5% ciascuno).
Gli attuali responsabili societari di quelle iniziative che Rizzoli considera a suo danno, vengono fatti risalire agli "eredi" di quelle società. Primo fra tutti, il Banco Ambrosiano (poi diventato Nuovo Banco Ambrosiano, poi incorporato ne La Centrale, fino ad arrivare all'attuale Banca Intesa SanPaolo passando attraverso Banca Cattolica del Veneto, Banco Ambrosiano Veneto, Cariplo, Gruppo Intesa. Gruppo Intesa BCI, e ora Banca Intesa San Paolo). In secondo luogo, Gemina (poi diventata Hpi, poi Hdp-Holding di Partecipazione, poi Rizzoli Corriere della Sera MediaGroup, e ora Rcs Mediagroup).
E infine Mittel (oggi come allora guidata da Giovanni Bazoli), il Cav. Giovanni Arvedi e infine Iniziative MeTa (poi divenuta Fer.Fin. Ferruzzi Finanziaria, Compart, Montedison poi acquistata da Italenergia che ha incorporato varie società dando vita a Edison Spa).
Dottor Rizzoli è venuto il momento di fargliela pagare?
«Hanno rovinato la mia vita. Ho passato 26 anni infernali. Mi hanno depredato dei miei beni. Hanno distrutto la mia reputazione. Mi hanno mandato in galera per tre volte in cinque carceri diversi. Mi hanno dipinto come un incapace che ha dilapidato il patrimonio e il buon nome della famiglia e del Gruppo Rizzoli. Mi hanno portato via una grossa parte della mia vita. Ora che la Cassazione mi ha assolto definitivamente da tutte le imputazioni e ha riconosciuto che non ho commesso alcun reato, è venuto il momento che di fargliela pagare a tutti i responsabili».
Dottor Rizzoli, perché solo ora, dopo 26 anni?
«Ho dovuto aspettare di essere assolto anche dall'ultima vicenda penale ancora aperta su questa storia. Il 26 febbraio le Sezioni Unite della Cassazione, presidente Carbone, hanno accertato che il reato non sussisteva nella bancarotta impropria della Rizzoli. In un altro processo la Cassazione in precedenza aveva sentenziato che non era vero che avessi preso anch'io i fondi pagati da "La Centrale" di Roberto Calvi. In passato, nel 1989, ero già prosciolto in istruttoria dai giudici Pizzi e Brichetti che mi avevano fatto arrestare per la bancarotta del Banco Ambrosiano (anche qui vennero condannati Gelli, Ortolani e Tassan Din)».
L'ultima sentenza della Cassazione, oltre a cancellare la sua condanna a due anni e sei mesi, consente ora la sua imminente azione civile di risarcimento?
«Sì. Ha stabilito che la casa editrice aveva rischiato il crack non per la mia cattiva gestione ma perché nel 1981, quando ho venduto il 40% delle azioni alla "Centrale" (cioè al Banco Ambrosiano), il controvalore di 140 miliardi di lire non mi venne mai pagato. Fu questo che portò al mio "strangolamento" aprendo la strada ai nuovi compratori. E' quella l'origine dei miei guai, il fatto che aprì la porta all'affare del secolo: pagarono 10 miliardi qualcosa che valeva 140, cioè il 50,2% della Rizzoli».
Perché fu decisivo quel mancato pagamento?
«La somma doveva servire per l'aumento di capitale della Rizzoli. Quei 140 miliardi non sono mai arrivati perché si è voluta creare una situazione di non liquidità e far credere che la situazione fosse ormai fallimentare. Sapevano che avevamo 137 miliardi di perdite dovuti al capitale sottoscritto ma non versato da parte de La Centrale del gruppo Banco Ambrosiano. Hanno voluto mandarci gambe all'aria e hanno dato la colpa a me. Il reato di bancarotta impropria per me non è nemmeno ipotizzabile, ha stabilito la Cassazione».
E adesso viene il bello?
«Sì, perché io esco da tutta vicenda Rizzoli senza una sola condanna ed è venuto il momento di chiedere a tutti i responsabili di allora, che oggi sono ancora in sella più potenti che mai, che cosa ne hanno fatto di quei 140 miliardi della "Centrale" che sapevano benissimo di dover versare alla Rizzoli. Ci sono altri fatti che confermano le mie ragioni: la Corte Suprema d'Irlanda (i fondi sottratti alla Rizzoli arrivarono a Dublino attraverso il Banco Andino), e numerose testimonianze di dirigenti della "Centrale". L'avvocato Gennaro Zanfagna disse: "Sapevamo che i soldi erano stati dirottati. Avevamo l'ordine di non dirlo ad Angelo"».
Che cosa ha stabilito la magistratura irlandese?
«Quei fondi arrivati a Dublino erano parte della somma destinata all'aumento di capitale Rizzoli. Furono sottratti alla loro destinazione finale. Quel mancato pagamento creò volutamente un buco di pari entità. In sostanza La Centrale, controllata dall'Ambrosiano di Calvi, non mise mai materialmente i soldi dell'aumento di capitale che doveva servire a pagare il Corriere. Ed è per questo che siamo saltati in aria.
Il Banco i soldi non li ha messi quando c'era Calvi, ma neppure dopo, quando è diventato Nuovo Banco Ambrosiano, e neppure quando è diventato Ambroveneto e neppure quando è diventato Banca Intesa. Bazoli come potrebbe sostenere che non sapeva nulla? Come mai, oltre a non pagare il dovuto, non appena diventò presidente del Nba, come primo atto chiese alla Rizzoli il rientro di almeno 70 miliardi entro 15 giorni?».E poi?
«Dopo che Calvi era già morto e l'Ambrosiano fallito, la "Centrale" passò al Nuovo Banco Ambrosiano, ovviamente con crediti, debiti e partecipazioni. Tra i debiti c'erano quei 140 miliardi da versare alla Rizzoli, per il 40% non pagato delle mie quote. Invece venni accusato dai magistrati di essermi appropriato della somma. E fui anche arrestato per togliermi di mezzo e impedire che rovinassi le operazioni che Bazoli stava facendo».
Come sono stati calcolati i 650 milioni di euro della richiesta attuale di risarcimento?
«Dato che era impossibile riavere le azioni della mia casa editrice, i miei legali hanno calcolato il valore delle azioni di allora, lo hanno attualizzato con le varie rivalutazioni e hanno quantificato il danno. Il prezzo di allora è quello stabilito prudenzialmente dal professor Guatri, allora commissario giudiziale: 275 miliardi. Quindi il 50,2% valeva tra 140 e 150 miliardi».
Dunque lei chiede la nullità di quegli atti che hanno portato alla vendita illegittima del suo Gruppo, il danno alla sua immagine di imprenditore e di uomo, l'indennizzo per i pregiudizi non strettamente patrimoniali subiti a causa della feroce campagna di stampa, e soprattutto chiede il risarcimento, non essendo più possibile la restituzione delle azioni, agli "eredi" della cordata di allora che fece l'affare del secolo.
«Sì. Lo chiedo, primo fra tutti, a Banca Intesa SanPaolo, erede della "Centrale" che ha acquistato le azioni da me e non le ha mai pagate. E quindi lo chiedo a Giovanni Bazoli, il rappresentante di quelli che non hanno pagato né azioni né la partecipazione all'aumento di capitale. Fu quella vicenda a creare il "buco nero": lo ripeto, Bazoli aveva comprato il 40,2 ma non lo aveva pagato e non versò l'aumento di capitale pattuito, cioè 140 miliardi».
Dopo Bazoli ecco il notaio Marchetti, presidente di Rcs, l'attuale Gruppo Rizzoli che porta ancora il nome suo, dei suoi fratelli, di suo padre, di suo nonno, della sua famiglia?
«Chiamo in causa Rcs Mediagroup in quanto "erede" di Gemina, la finanziaria di Fiat e Mediobanca. Pur essendo a conoscenza del mancato rispetto di quei pagamenti e di quegli obblighi hanno approfittato della mia crisi e dei miei ingiusti arresti per estorcere a me, attraverso i custodi giudiziari nominati dai magistrati, il 50,2% della Rizzoli al prezzo ridicolo di 10 miliardi. Fiat e Cesare Romiti, attuale presidente d'onore di Rcs, sapevano perfettamente che quei soldi non erano stati versati. Lo stesso Gianni Agnelli mi telefonò: "Siamo nel mondo degli affari dove vale la legge della giungla: il più forte mangia il più debole. E lei, dottor Rizzoli, in questo momento è il più debole"».
Passiamo a Mittel: torna in campo il nome di Bazoli.
«Mittel è un'altra azienda attualmente presieduta da Bazoli. Lui era il "dominus" del Nuovo Banco Ambrosiano. Era entrato nella posizione di Calvi, mi è difficile credere che non sapesse che i soldi non erano stati versati. Comunque ha fatto finta di nulla, si è tenuto le azioni, ha organizzato la cordata-Gemina, si mise alla guida dei "Cavalieri Bianchi", comprandosi una quota insieme a Gemina».
E poi?
«C'erano "Iniziative MeTa", poi Ferruzzi Finanziaria Spa (oggi Edison Spa). E infine il cavalier Arvedi che vendette subito a Gemina, e venne messo nella cordata da Bruno Tabacci, allora potente demitiano, in rappresentanza di qualche corrente Dc».
Al vertice della cordata chi c'era, a parte Bazoli?
«L'immancabile professor Guido Rossi. Ma agiva in strettissima collaborazione con Cesare Romiti. Il quale nel libro con Giampaolo Pansa si chiamò fuori con parecchia spudoratezza: "Non so niente della questione Rizzoli, ha fatto tutto Bazoli"».
Mentre invece?
«A me anni dopo disse: "La sua malattia è stata un incentivo per noi. Sapevamo che era malato di sclerosi multipla e si pensava che non sarebbe uscito vivo dalla galera". Insomma, speravano che morissi, richiudendomi in carcere volevano impedirmi ogni azione, con me veniva bloccato l'intero gruppo, sono stati ferocissimi, hanno voluto distruggermi».
Quante volte l'hanno arrestata?
«Tre, per un totale di tredici mesi a San Vittore, Rebibbia, Como, Lodi, Bergamo. Mi hanno arrestato il 18 febbraio 1983 la mattina in cui si doveva tenere l'assemblea della Rizzoli per riconfermarmi presidente. Fui costretto a dimettermi, la seduta andò deserta e fecero il primo blitz. Dopo un paio di mesi mi rimandarono a casa. Dopo avermi scarcerato a novembre, mi fecero arrestare cinque giorni dopo.
Mi fecero capire: dobbiamo tenerti chiuso, così se sei isolato non puoi difenderti, non puoi fare nulla per impedire la vendita della tua casa editrice. Il 26 giugno ci fu il terzo arresto: mi sequestrarono i beni, comprese le azioni del Corriere, per poter mettere tutto nelle mani dei custodi giudiziari. È stato un inferno. Sono uscito di galera solo dopo aver ceduto il giornale agli Agnelli».
Diciamo bene le cifre dell'affare del secolo.
«La nostra quota era valutata almeno 140 miliardi, tutto il gruppo valeva 275: ne pagarono solo dieci (nella società erano stati immessi mezzi freschi per 100 miliardi). E i custodi giudiziari, gli avvocati Granata e Bongiorni, hanno accettato senza battere ciglio, a me non è stato chiesto niente.
Ho dovuto accettare quelle condizioni capestro solo per le continue minacce di tornare dietro le sbarre. Quell'enorme affare, per dio più basato su un precedente ed occulto illecito (la mancata ricapitalizzazione), arrecò vantaggi di dimensioni colossali ai compratori con conseguenti e ovvii effetti rovinosi, di dimensioni colossali per i venditori (uno dei quali, però, e cioè il Banco Nuovo Ambrosiano contentissimo)».
Ci racconti il giorno di quella vendita, dell'affare del secolo.
«5 ottobre 1984. Arrivai a Palazzo di Giustizia, davanti ai magistrati, al presidente del Tribunale fallimentare Mariscotti, e ai due custodi giudiziali. Mi misero davanti le carte da firmare, c'era perfino il testo di un comunicato già pronto da mandare all'Ansa. Era tutto preconfezionato: "O accetta queste condizioni o noi ne terremo conto...".
Significava un nuovo arresto. Capii che era chiaro l'accordo tra i magistrati e i nuovi acquirenti. In quel comunicato, a me sottoposto, avevano addirittura scritto: "Mio figlio quando sarà grande capirà il gesto di suo padre che ai miliardi ha preferito il futuro dell'azienda". Non mi restava che accettare».
Chi tirava le fila di tutto?
«Il ministro del Tesoro, Beniamino Andreatta. È stato lui a "inventare" Giovanni Bazoli, a scoprirlo quand'era socio nello studio Martinazzoli-Bazoli-Montini (il nipote di Papa Paolo VI). Poi da vicepresidente della Banca San Paolo, una banchetta di provincia, lo paracadutò a Milano all'Ambrosiano dei "nuovi e puri".
Andreatta cercò di bloccare Calvi, lo odiava, e quando emerse la possibilità di una liquidazione coatta, mise Bazoli a presidente del Nuovo Banco e prese il controllo gruppo. A quel punto doveva solo far fuori me. Anche Ciriaco De Mita, segretario della Dc, ce l'aveva con me, insieme a tutta la sinistra Dc.
C'era una lotta grandissima per il controllo dei media, allora le tv private non avevano alcun peso. De Mita si portò via "Il Mattino" di Napoli, lo diede a Romanazzi di Bari con Pasquale Nonno a dirigerlo. Facendo fuori me poterono spartirsi le spoglie: "Alto Adige", "Il Piccolo" di Trieste. "l'Eco di Padova".
Oltre al Corriere, presero il controllo di otto giornali, più i settimanali (tra cui "Sorrisi & Canzoni"), il settore libri, il cinema. Si sono spartiti tutto senza badare a quello che accadeva di me, massacrandomi senza ragione. Il loro obiettivo era portarmi via tutto, spogliarmi del patrimonio, darlo a chi faceva comodo a loro».
È una magra consolazione: lei non è stato l'unico.
«Guardate quello che hanno fatto a Raul Gardini e al gruppo Ferruzzi, ci sono molte analogie. Pensate, oltre alla Rizzoli, quanti altri gioielli del Gruppo Ambrosiano hanno preso la via di Torino a prezzi stracciati: ad esempio Toro Assicurazioni, la quarta società del settore, acquistata al costo di una frazione del valore delle sole proprietà immobiliari (un patrimonio immenso, che comprende anche gran parte degli edifici che circonda piazza San Babila)....».
Sempre nel suo atto di citazione racconta come cominciò l'avversione della Dc nei vostri confronti.
«Cominciò contro mio padre Andrea. Fanfani non voleva Piero Ottone alla direzione del "Corriere". Mio padre si impegnò con Fanfani, ma quando vide i risultati delle vendite, disse: "Come faccio a mandarlo via?". Ero contrario a Ottone ma allora non contavo nulla. Allorché mio padre confermò Ottone si attirò le ire della Dc. Fanfani ci fece bloccare tutti i finanziamenti dalle banche. Solo Calvi ci aiutò. è stato l'unico banchiere ad averci ascoltato quando abbiamo rilevato il Corriere. Ma anche questo faceva parte di un'operazione di potere. Il fiduciario di Calvi divenne Bruno Tassan Din che agiva d'intesa con Ortolani e Gelli. Quelli che i magistrati di Milano definirono i Blu (Bruno, Licio, Umberto)».
E ora?
«Con la vicenda del Corriere ho perso 26 anni di vita. Mio padre ci è morto d'infarto nel 1983, mia sorella Isabella, la più piccola, si è suicidata nel 1986: è stata indagata, incriminata, le hanno tolto il passaporto e sequestrato i beni, l'hanno minacciata di arresto se non avesse collaborato coi magistrati mettendomi nei guai. Io? Porto i segni sulla pelle di quello che mi hanno fatto. Hanno impiegato un quarto di secolo per dirmi che ero innocente. Sono stato vittima di clamorose ingiustizie e di una autentica truffa. Sono stato processato in sei distinti procedimenti.
E ho sempre vinto. Ho visto in faccia la P2, e lo Ior, sono stato con Calvi dal vescovo Marcinkus, e ho incontrato a casa mia il segretario di Stato Casaroli e Calvi a cena. Marcinkus e De Bonis li ho incontrati nella sede della banca Vaticana nel cortile di San Damaso. Poche sere a fa a Cortina, quando ho accennato alla mia azione giudiziaria, Antonello Perricone, amministratore delegato Rcs, mi ha avvicinato allarmato: "Dobbiamo fare quattro chiacchiere insieme al più presto". Era molto colpito dalle mie storie. Ma sono i suoi padroni e non lui a decidere. Da una parte c'è chi i soldi li ha rubati e li ha nascosti. Chi è stato? E avrà qualche crisi di coscienza, ammesso che ce l'abbia?».
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non dite a quello che mi precede che Silvio B. ha il patto di sindacato con la famiglia Doris su Mediolanum e che Marina B. siede in Mediobanca
altrimenti che figura gli fate fare a quello che mi precede?
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