Nella sua autorevole galleria di buone ragioni culturali, c’è un errore politico che Gianfranco Fini deve evitare di commettere. Consegnarsi all’impazienza, alla foga e sopra tutto al retropensiero di non essere compreso da amici e avversari se non in ragione - espressione sua - di un iperattivismo pubblico e mediatico sempre più compulsavo. Nessuno, a parte i soliti forsennati, nelle attuali condizioni gli negherà il diritto di occupare la presidenza di Montecitorio in omaggio a un merito personale condiviso con la coalizione uscita vincitrice dalle elezioni politiche del 2008. Né certo si vorrà rinunciare al suo prezioso ruolo di collegamento istituzionale con il presidente della Repubblica e con le figure meno faziose dell’opposizione democratica. Diversamente, sarebbe anzitutto il centrodestra a patirne le conseguenze in fatto di incomunicabilità e tensione generalizzata. Ciò detto, Fini dovrebbe ricordare prima di tutto a se stesso che l’indipendenza della propria carica è un bene da salvaguardare con un contegno impersonale e costruttivo. Sicché proprio non giova la sua recente inclinazione a improvvisarsi commesso viaggiatore televisivo in attrito permanente con il centralismo carismatico berlusconiano.
Che vale, infatti, rivendicare autonomia di giudizio e di pensiero se poi questa dote viene dissipata sbrigativamente nel cortile rissoso delle correnti interne al Popolo della libertà, o peggio ancora nel duello mal dichiarato con l’antipatizzante direttore del Giornale? Si sta insinuando nel comportamento finiano una frettolosa agitazione incompatibile con certe sue promesse cui vogliamo continuare a credere: non vuole scavare nel Pdl una galleria sotterranea per sé e per gli scontenti pronti alla diserzione; non intende sabotare un naviglio che fino a ieri sembrava destinato a copilotare nel mare aperto dei successi elettorali; non inquinerà il proprio diritto alla differenza d’opinione con il raggruppamento di nuovi colonnelli senza truppe. Ecco, se le cose stanno ancora così, Fini si calmi e magari imponga a se stesso ciò che ha appena inflitto ai suoi pensatori di FareFuturo: silenzio meditativo per almeno sette giorni. Sennò, a forza di controcanti, si guasta la voce.
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