La nube di cenere fuoriuscita dal vulcano islandese Eyjafjallajökull ha tenuto a piedi l’Europa per cinque giorni e ha fatto bruciare miliardi di euro portando le compagnie aeree del Vecchio continente a un passo dal collasso economico. Ma davvero la chiusura quasi totale dei cieli europei era l’unica soluzione per affrontare l’emergenza? In questi giorni abbiamo imparato a memoria lo schema della nube nera che piano piano copre la cartina dell’Europa e ci siamo messi il cuore in pace: se è così, volare non ha senso. Effettivamente – lo spiegano da giorni gli esperti – la cenere vulcanica è pericolosa per i motori degli aerei, ma a qualcuno è venuto il dubbio che quella del vulcano islandese non sia così diffusa come ci raccontano. “La chiusura dello spazio aereo è stata decisa sulla base di dati prodotti da una simulazione al computer del Volcanic Ash Advisory Centre di Londra”, ha detto Joachim Hunold di Air Berlin al domenicale tedesco Bild. “Neanche un pallone meteorologico è stato usato per misurare se e quanta cenere si trovi nei cieli”. Così sia Air Berlin che Lufthansa sabato hanno fatto volare aerei senza passeggeri. A Francoforte i tecnici hanno esaminato i velivoli: “Non c’era il minimo graffio sui vetri della cabina di pilotaggio, la carlinga o i motori”.
Le perdite per le compagnie aeree ora raggiungono i 250 milioni di dollari al giorno, con un impatto economico superiore a quello dell’11 settembre del 2001. Per questo ieri la Iata, l’Associazione Internazionale del Trasporto Aereo, ha chiesto di riaprire almeno alcuni corridoi di transito sopra l’Europa criticando il modo in cui i governi stanno rispondendo alla crisi provocata dalla nube di cenere vulcanica. Stesso concetto ribadito ieri da Assaereo, l’Associazione nazionale vettori e operatori del trasporto aereo di Confindustria, che ha definito “devastante” lo stop imposto ai voli: “A seguito dei test svolti in diversi paesi comunitari e dalle ispezioni condotte dalle Compagnie associate dopo i voli operati questa mattina tra le 8.00 e le 9.00 – ha scritto in un comunicato – non è emerso alcun danno da abrasione o altro problema originariamente temuto”. Come sempre più spesso succede quando si parla di meteo, clima e condizioni dei cieli, il metodo scientifico empirico viene completamente dimenticato: lo stop ai voli, per quanto precauzionale, non è basato su dati oggettivi, ma – continua Assaereo – “sulla base di teoriche previsioni di modelli matematici”.
Nemmeno la notizia di un aereo della Nato “danneggiato” dalle ceneri vulcaniche ha tolto il dubbio che l’Europa abbia scelto una soluzione troppo prudente per rispondere a un problema che non si pone certo per la prima volta: che cosa è successo di diverso dal 2004, quando l’eruzione del vulcano Grímsvötn causò l’interruzione dei voli ma in un’area limitata, e qualche cautela sul Mare del nord? D’altronde in Islanda ci sono 130 vulcani attivi che eruttano senza soluzione di continuità. Perché solo questa volta la “controffensiva” è stata così drastica? Queste sono le domande che le compagnie aeree hanno fatto in questi giorni ai governi europei senza ottenere risposte.
La nube prodotta dall’eruzione del vulcano filippino Pinatubo, per esempio, nel 1991 viaggiò per 8 mila chilometri fino all’Africa, arrecando danni non gravi a soli 20 aereoplani. Come spiega anche il portale Climatemonitor, il pericolo esiste, ma basarsi soltanto su modelli matematici per seguire lo spostamento di una cosa reale come una nube può portare a ingigantire il problema. Intanto l’isteria ha cominciato a farla da padrona: un piccolo aereo in Norvegia ha rotto il motore: “Forse è colpa della nube”. Ma qualcuno faceva notare che i computer su cui girano questi modelli sono quelli del Met Office inglese, noto per avere sballare spesso le previsioni.
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