Inutilmente andiamo supplicando una moratoria per alcune parole il cui uso e abuso ci sta affliggendo. Per il bene della politica e, in primis, della nostra lingua, sarebbe salutare che termini come territorio, identità, gente (il terno vinto al lotto dalla Lega) prendessero un anno sabbatico. Anche la parola casta, attribuita essenzialmente ai politici, dovrebbe andare in sonno, apparendo usurata al punto che per dire di uno dei tanti suoi privilegi “intollerabili” si cita (accade a Milano) l’esempio della élite (casta) dei consiglieri comunali - con gettoni irrisori, roba da paria, la casta di infimo livello - che godono del biglietto omaggio a San Siro. E si fanno pure i calcoli sul risparmio di questi omaggi, a livello di mancetta, fingendo d’ignorare che comunque quei biglietti sono omaggiati da un altro gruppo sociale privilegiato che conta davvero, la casta di patron di squadre, sponsor, banchieri, dirigenti da stock option....Sparlare della casta politica è come sparare sulla Croce Rossa. Parliamo invece della categoria degli intoccabili, aggettivo ben s’attaglia ad una (super) casta che non è politica ed eppure la fa, che non siede in parlamento ma è come se vi sedesse, che non è insediata a Palazzo Chigi ma spesso gli spara contro, come e più di un partito d’opposizione. Due nomi a caso: Saviano e Strada. Recentemente al centro di polemiche che hanno mostrato, in tutta la sua geometrica potenza, il peso dell’aggettivo intoccabili, che ben s’addice ai due seppur coraggiosi personaggi. In India, per intoccabili veri e propri si intendono gli appartenenti alle caste inferiori, i paria, appunto, ritenuti impuri (untouchable) perché si cibano di carne. Da noi l’aggettivo ha subito una metamorfosi all’insù, tanto che, sia Saviano (Gomorra) che Strada (Emergency) sono assurti a vette altissime, irraggiungibili, intoccabili. Altro che casta, una casta super. Di Saviano, buon autore mondadoriano - in effetti assai poco prolifico avendo scritto praticamente un unico bestseller, il libro-saggio sulla Camorra da cui l’omonimo film “Gomorra” - non è possibile avanzare una critica, sia di contenuto che di forma, altrimenti si rischia l’accusa di autoritarismo e/o di concorso esterno in associazione camorristica. Non è sempre colpa dei protagonisti, intendiamoci, finire iconizzati in una immaginetta, prigionieri del mito, tanto più che Saviano gira con la scorta da anni.
E tuttavia, il maltrattamento subito da Berlusconi - ben soccorso dalla figlia Marina di Mondadori - che aveva sottolineato come l’enfasi eccessiva su “Gomorra” rischiasse di promuove proprio la camorra (era la stessa tesi di Giovanni Falcone a proposito della “Piovra” sulla mafia), è una clamorosa conferma del teorema dell’intoccabilità. Ogni critica diventa un’offesa, ogni appunto si trasforma in censura. Cosicché, Saviano e i suoi amici possono gridare alla libertà concussa, al diritto di pensiero negato, al regime (berlusconiano) in corso. Il caso di Strada è ancor più emblematico e, se possibile, ancora più politico-ideologico. L’altro giorno un notissimo anchor man ha criticato su un giornale un nostro sottosegretario perché aveva fatto presente che alcune frasi “politiche” di Strada non aiutavano la vicenda dei tre arrestati, poi finita bene grazie soprattutto al nostro ministro degli esteri Franco Frattini, peraltro bistrattato dallo stesso Strada quasi come Karzai (“conta come il due di picche”). Strada, dunque, intoccabile, chi lo critica è subito bacchettato. Come icone ideologichee innalzate su un piedistallo da cui non riescono più a scendere, questi personaggi, ancorché coraggiosi, non trovano, né cercano, la forza di demitizzarsi, non riescono a fuoriuscire dall’aura mistica creatagli intorno dalla militanza antiamericanberlusconiana, nemmeno all’indomani di un’iniziativa decisiva dell’aborrito inquilino di Palazzo Chigi. Eppure, qualche critica, fuori dal coro mediatico, si sente, a proposito di “angoli inquietanti e strane circostanze”. Valga per tutte quella richiamata da un lucido e appassionato Toni Capuozzo (sul Foglio), a proposito dei rapporti dell’Ong Emergency, rimasta comunque in Afghanistan in pieno regime talebano (1999-2000), in una “Kabul da cui erano scappati persino il direttore del museo e dello zoo, in cui si nascondevano persino i cantanti e i fabbricanti di aquiloni”. (l'Opinione)
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