Il re è nudo. Per quattro mesi i governanti europei si sono illusi che bastassero le parole per convincere gli investitori a continuare a sottoscrivere i titoli di Atene. Hanno negato che i trattati europei, o più semplicemente i cittadini tedeschi, avrebbero, alla fine, reso impossibile un salvataggio. Non hanno avuto il coraggio di dare una risposta politica forte alla crisi.
Hanno impedito al Fondo monetario internazionale di intervenire ed organizzare una soluzione ordinata. Le loro bugie hanno fatto perdere quattro mesi, ma non hanno cambiato la realtà: ne hanno solo reso più traumatica la soluzione. Atene non rimborserà i propri debiti anche se un aiuto europeo potrebbe spostare in là il default. Rimane l’incertezza se sia preferibile che ciò avvenga con la Grecia dentro o fuori dall’euro. Perché Atene ha due problemi distinti: uno fiscale e uno di competitività che si manifesta in un disavanzo nei conti esteri pari al 10% del Prodotto interno lordo. Riportare in equilibrio i conti pubblici non basta; occorre anche abbassare i salari del 30% circa. Ciò che non è in dubbio sono invece le perdite delle banche francesi e tedesche che in questi anni hanno acquistato titoli greci per circa 100 miliardi di euro.
Berlino non salverà Atene, ma dovrà salvare (ancora una volta) le sue banche. L’Europa esce a pezzi da questa vicenda, altro che un modello per la governance del mondo! Le difficoltà vere cominciano ora. L’epilogo della crisi greca ha rotto un tabù, l’illusione che nell’Unione monetaria tutti i debiti fossero uguali, i titoli tedeschi e finlandesi identici a quelli greci e portoghesi. Non era colpa della miopia dei mercati, semplicemente del fatto che il maggior acquirente di titoli pubblici europei, la Bce, non ha mai distinto fra i titoli dei diversi Paesi. Così facendo ha illuso gli investitori che, se mai ci fosse stato un problema, qualcuno sarebbe intervenuto. Spezzato l’incantesimo, gli investitori hanno aperto gli occhi. Il declassamento, prima del Portogallo, poi della Spagna, gli spread sui titoli di Stato italiani saliti ieri oltre quota 100 ne sono il segnale.
La preoccupazione più grande, ciò che accomuna questi Paesi, è la mancanza di crescita, perché senza crescita è impossibile ripagare i debiti. Da qui bisogna cominciare. Chiedendosi che cosa si deve fare per far ripartire la crescita. La risposta è semplice: non andare in pensione a 60 anni, non proteggere le rendite di qualche corporazione potente che opprime i cittadini, aprire i mercati alla concorrenza per creare più occasioni di crescita alle imprese. Non mi sembrano le priorità del nostro governo. Chissà che lo spavento greco e il rischio che prima o poi gli investitori perdano fiducia anche nei nostri titoli, non ci aiuti a uscire dal torpore. (Corriere della Sera)
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