venerdì 8 giugno 2007

La fine storica della sinistra. Raffaele Iannuzzi

La sinistra è in caduta libera dappertutto. L'Europa si sta trasformando nell'arena della disfatta storica della sinistra. Il dibattito sulla cosiddetta «rifondazione» del socialismo francese, che occupa le prime pagine del quotidiano più prestigioso e à la page di Francia, Le Monde, è la riprova di questa tesi. Anzi, di questa constatazione. I fatti parlano. Le Figaro ha commissionato un sondaggio sui possibili risultati delle prossime elezioni politiche francesi e il partito socialista ne è uscito a pezzi, mentre vola l'Ump di Sarkozy, che tocca il 45%. Dove si tratta di fare politica e riforme, la sinistra è arretrata, non ha più un linguaggio e una visione del mondo. Quando poi, come in Germania, deve fare qualcosa di sostanziale sul piano del governo, allora taglia le tasse alle imprese. L'Ocse ha scritto nero su bianco che anche l'Italia dovrebbe fare così, seguendo la linea del governo Berlusconi. Meno tasse e meno spesa corrente. Un mercato che tira e uno Stato che spende meno, il meno possibile. Uno Stato «minimo».

Addio alla «sinistra eterna», come la ribattezzò Nolte in un suo saggio? Pare proprio di sì. La sinistra non riesce più ad eternizzare se stessa, come è riuscita variamente a fare a partire dalla Rivoluzione francese. Il welfare non c'è più. La globalizzazione è l'arma dei mercati più forti e non segue la lentezza della politica. Gli Stati devono soprattutto governare i territori e dunque garantire molta sicurezza ai cittadini, perciò la sinistra è costretta ad affrontare il tabù dell'uso legittimo e sistematico della forza, monopolio, secondo Weber, dello Stato. Ma essa, soprattutto in Italia, ha a che fare con i movimenti e con la subcultura degli stessi, foraggiata mediaticamente e retoricamente dalla sinistra che si fa antagonista per oggettiva necessità, abbandonando perfino la linea istituzionale del Pci.

La sinistra, dunque, dopo aver creato il linguaggio della politica, oggi non ha più parole politiche da pronunciare. Riesce soltanto a contrastare retoricamente oppure a copiare la destra liberale. Nient'altro che questo. Una fine epocale, storica. Dopo il crollo del Muro di Berlino, la sinistra ha creato le condizioni per la sua scomparsa, non certamente a causa di una difficoltà storica in sé, bensì a cagione di due limiti strutturali, che venivano prima governati e tradotti in uno spazio ideologico complesso, soprattutto marxista, caduto il quale non c'è stato più niente da fare. Il primo limite è di natura metafisica, cioè legato alla visione storica e super-storica della realtà. Poteva essere il «principio-speranza» del marxista eterodosso Bloch piuttosto che la critica della modernità della Scuola di Francoforte, in ogni caso c'era un fondamento di analisi e lettura della storia capace di incorporare un'idea di uomo e di vita, qualcosa che oggi non c'è più.
Fino agli anni Ottanta, a nessun intellettuale di sinistra sarebbe mai venuto in mente di scrivere un saggio di decine di pagine per sconfessare la concezione del cristianesimo di un Papa; oggi Flores d'Arcais, senza il minimo senso del ridicolo, compie sulla sua rivista, Micromega, quest'operazione a dir poco grottesca, che dovrebbe imbarazzare non poco le élites politiche della sinistra. Il che ovviamente non avviene, nel nullismo politico-culturale che accomuna la tribù militante della sinistra. Perfino un certo Marco Damilano, su L'Espresso, si cimenta in un'operazione simile, con minor dispendio di parole, ma con altrettanto sprezzo del ridicolo, giungendo addirittura a bollare come ignorante in teologia Benedetto XVI, vale a dire Ratzinger, uno dei massimi teologi viventi. L'ansia di riempire il vuoto di metafisica di cui soffre la sinistra spinge questi personaggi a compiere operazioni così ridicole. Che, non a caso, nessun vero marxista avrebbe mai tentato. Ma la sinistra è oggi un partito radicale di massa ed è per questa ragione che il Partito Democratico non nascerà mai come soggetto politico culturalmente dotato di orientamento unitario.

Di qui si comprende agevolmente la cifra del secondo limite, storico, della sinistra. E' la storia, sono le repliche della storia, a determinare la minorità irreversibile della sinistra. Il progressismo è finito con il marxismo teleologico, cioè finalistico, diretto a realizzare la Gerusalemme Celeste in terra. Le regole, le leggi e le riforme, senza un quadro interpretativo adeguato, non sono altro che richiami ad imperativi categorici. Non è casuale, infatti, la scelta moralistica e dominata dalla «pappa del cuore» dei valori e dei diritti dell'individuo, di questa sinistra. L'io borghese di un tempo è assurto a totem parareligioso e l'unico progresso possibile è quello degli egoismi privati elevati a necessità giuridiche. Esattamente quanto voleva evitare, profeticamente, Simone Weil, quando, nella sua opera L'enracinement, scritta nel 1949, attaccava a fondo i pregiudizi progressisti della sinistra che, per affermare i diritti, negava i doveri e dunque l'anima dell'uomo. Ebbene, i Ds hanno fatto di questa caricatura ideologica il volto più rappresentativo della sinistra cosiddetta «riformista», in realtà nichilista e radical-libertaria.

Infine, cosa resta ad una sinistra ridotta così? Nient'altro che il potere nell'accezione leninista del termine. Il caso Visco è l'emblema della fine della sinistra non più eterna e sconfitta dalla storia. Suicidatasi senza neppure l'onore della minorità politica - spesso la tappa che precede una rinascita. Niente da fare. Il vicolo cieco della sinistra è oggi la storia stessa. Si comprende perché questa sinistra allo stato terminale consideri il Papa un nemico e la Chiesa la coalizione del Male nella storia (Santoro è figlio di questa minorità ideologica irreversibile). La Chiesa, con Benedetto XVI, affronta di petto la storia e il dramma delle vicende storiche, considerando l'Occidente la soglia di sviluppo massimo della cristianità e la cristianità la figura originaria della tradizione occidentale. Uno scontro oggettivo, dunque, ma tra un nano e un gigante. Con l'unica e fondamentale differenza che, in questo caso, il nano non vuol salire sulle spalle del gigante. E finisce così, inevitabilmente, per contemplare le nuvole dal basso. I cieli dell'utopia hanno partorito la misera stagione di Lilliput. E «rete di Lilliput» si chiama appunto l'organizzazione dei movimenti no global, la risorsa della sinistra impolitica, nichilista e leninista (quando si trova ad occupare la stanza dei bottoni). Bene, compagni sconfitti: do you remember revolution?

4 commenti:

Anonimo ha detto...

state perdendo il vostro tempo + prezioso dietro alle merdate di inetti politicanti di destra e sinistra...qui bisogna dimezzare il n. dei parlamentari, regioni comuni provincie e tu ancora dietro agli imbecilli...qui serve un cambiamento di rotta drastico contro la politica contro i politici e contro i politicanti....
Ti allego la lettera di buttiglione e di una merda dell'ulivo che scrivono ai questori del Senato :

"Ci rivolgiamo a voi con una richiesta di miglioramento della qualità della vita in Senato. La buvette non è provvista di gelati. Noi pensiamo che sarebbe utile che lo fosse e siamo certi di interpretare in questo il desiderio di molti. E' possibile provvedere? Si tratterebbe di adeguare i servizi del Senato alle esigenze della normale vita quotidiana delle persone. In attesa di riscontro, porgiamo cordiali saluti".
Spero che qualcuno li colpisca al più presto!!!!!!!

Anonimo ha detto...

La carne è debole...

Anonimo ha detto...

invece i proiettili non lo sono

Anonimo ha detto...

allora abbiamo una banca!
sì! facci sognare!