lunedì 18 giugno 2007

L'annus horribilis della scuola italiana. Pietro De Leo

Quello che si è appena concluso è stato l'annus horribilis della scuola italiana. L'opinione pubblica benpensante ha scoperto che la foresta brucia, che il re è nudo, che la scuola non è l'isola più o meno felice che molti credevano, ma è una giungla di bulli, esibizionisti e professori che fanno piazzate animalesche. Non serviva lo shock dei video rivelatori pubblicati su You Tube o sullo «Scuolazoo» per sapere che il nostro sistema è un colabrodo. Questo dovevamo averlo capito già da tempo, perché i sintomi c'erano. C'era l'atteggiamento con cui gli studenti la mattina reagivano al suono della campanella. C'era il gap culturale, tecnico e di educazione civica che dei nostri studenti rispetto ai loro pari età europei. C'era anche il fatto che l'Università (altro colosso disastrato) ha iniziato a misurare in maniera autonoma la qualità di preparazione delle matricole, ritenendo il voto di maturità indice di un bel nulla. E poi c'erano i programmi, i troppi soldi spesi per libri qualitativamente scadenti, le troppe ore al giorno passate sui banchi di scuola e le troppe ore a casa per i compiti che non finiscono mai. Così, se uno studente ha una passione artistica, può coltivarla «solo dopo aver studiato» - cioè mai - e lo stesso vale per lo sport. O studi, o studi. In questo contesto, è chiaro che uno appena può scappa al bagno a fare il circo.

E i professori? Di sicuro, per una cultura come la nostra, che ha dato i natali al mitologico rapporto discepolo-maestro, siamo alla frutta. Come è inopportuno criminalizzare una generazione di studenti, allo stesso modo non è il caso di farlo con una categoria. Analizzando qualche video si vedono insegnanti rincorrere i propri studenti gridando fra i banchi, altri che fanno lezione con la sedia sulla cattedra (per poi cadere rovinosamente), altri che protestano rumorosamente contro l'operatore di un call center al telefonino durante l'ora di lezione. Per non parlare di quella professoressa che si lascia mettere le mani nei pantaloni continuando imperterrita a fare lezione. Accanto a quel preside che giustamente e lucidamente ha imposto a due studenti (autori di un video in cui documentavano insulti lanciati ai passanti dalla finestra della scuola), un filmato riparatore di scuse, ne stiamo attendendo uno che richieda la stessa cosa ad un insegnante. Non dobbiamo scandalizzarci: chi non ha avuto il prof. che dava di matto? O quello che scaricava con scenate tragicomiche le frustrazioni di una vita privata che non va? O quello che tra tutti gli studenti ne bersagliava continuamente uno dimostrandosi più bullo dei bulli? E' quasi folklore, ma pesa sulla formazione dei giovani.

Basterà mandare i cani antidroga nelle scuole, oppure inasprire lo «statuto degli studenti e delle studentesse», o addirittura vietare la diffusione su internet dei filmati girati nelle aule? No, serve molto di più. Grazie a internet abbiamo capito quanto lo sfascio sia grave. E, per quanto riguarda la mancanza di contegno degli insegnanti, mandare in circolo certi video è l'unica forma, per quanto irriverente e condannabile, di tutela. Provate a mandare uno studente dal preside per denunciare un professore che si comporta male in classe, e vedrete quello che gli succede. In queste condizioni, serve innanzitutto qualificare il personale docente, premiando i più preparati e sanzionando i negligenti. Poi occorre che gli studenti possano tracciare un percorso di apprendimento che tenga conto anche del loro talento e delle loro aspettative. Non scordiamoci che la scuola è un servizio pubblico che deve adeguarsi alle aspettative dei propri fruitori. Sì, proprio come un'azienda, e non dobbiamo avere paura di dirlo. Soprattutto perché è una parola che ha sempre spaventato gli accademici della sinistra elitaria e su cui è stato costruito un incubo dietro il quale nascondere ciò che risultava scomodo ai sindacati: la selezione, la qualità e l'adeguamento dei programmi ai bisogni delle famiglie e degli studenti.

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