Per la strage di Bologna del 2 agosto 1980 si potevano seguire altre piste oltre quella che portò ai Nar. Il libro di Andrea Colombo, ex Potere Operaio, riapre gli interrogativi sulla colpevolezza dei neri Fioravanti e Mambro.
«Ci sono svariate altre possibilità per capire la verità sulla strage di Bologna. Diverse possibili tracce non sono state seguite». Così il giornalista Andrea Colombo, oggi portavoce di Rifondazione al Senato, parla del suo libro Storia Nera. Bologna, la verità di Francesca Mambro e Valerio Fioravanti (Cairo editore, pp.368, e17,00). Spiega Colombo, «quando al processo per piazza Fontana il pm Salvini ha portato Carlo Digilio (il primo pentito dello stragismo italiano ndr), la cosa normale sarebbe stata che i giudici di Bologna andassero a sentirlo. Ma non l’hanno fatto». Poi, aggiunge, «ci sono i lavori della Commissione Mitrokhin e il ruolo giocato dal terrorista tedesco Thomas Kram», dell’organizzazione Cellule Rivoluzionarie e membro attivo del gruppo Separat di Carlos, “lo Sciacallo”. «Ma i giudici hanno cercato solo da una parte e, in quella, solo nei Nar». Mambro e Fioravanti sono ex terroristi dei Nar (Nuclei Armati Rivoluzionari). Colombo, invece, è un ex dirigente di Potere Operaio e per anni firma del Manifesto.
Ex di opposte barricate
Se le loro strade si fossero incrociate negli anni di piombo, probabilmente si sarebbero scontrati. Tra persone di opposte barricate, la “simpatia” è nata proprio durante il processo per la strage di Bologna del 2 agosto 1980, costata 85 morti e oltre 200 feriti, un processo che Colombo ha seguito da inviato per il suo giornale. Un anno fa, la decisione di firmare questa controinchiesta su una delle più cruente e irrisolte delle cosiddette stragi di Stato. Sono pagine che a ventisette anni di distanza da quella terribile mattanza scoppiata alle 10,25 nella sala d’aspetto di seconda classe a Bologna, raccontano di come Mambro e Fioravanti si siano decisi a raccontare la “loro verità”, ripercorrendo con dolore, ma anche con una sincerità che non diventa mai freddo distacco una vicenda processuale indiziaria e viziata da forti pregiudizi.
«Anche a sinistra – spiega Colombo – l’accoglienza di questo libro è stata buona. Ad esempio uno storico come Nicola Tranfaglia ha riconosciuto che in quella sentenza di colpevolezza per i due ex Nar ci sono molte zone d’ombra. Più in generale, i dubbi su Bologna sono ormai universali». E a chi gli chiede quante possibilità vi siano per una revisione del processo per Fioravanti e Mambro, Colombo replica: «Mi pare molto difficile che ciò avvenga, ma è giusto che i due ex Nar ci provino. Spero ci riescano».
«Andrea Colombo ha fatto un libro che alla fine è venuto molto meglio di quanto lui stesso avesse previsto, e di quanto io e Francesca pensassimo dopo aver accolto il progetto», dice Valerio Fioravanti, precisando che questo «non è un libro di polemica, di critica, di vittimismo, o che grida al complotto». «No – rimarca l’ex capo dei Nar – colombo parte da un dato di fatto: il processo, per stessa ammissione dei giudici, non ha saputo individuare né mandante né movente. E siccome nulla al mondo accade senza che abbia un motivo, non solo in campo criminale, ma anche nella vita di tutti i giorni, è partito da questo punto fermo. Ha raccolto tutto il materiale esistente e ha provato a ragionarci su». Quindi «ha fatto un grande lavoro di sintesi e poi ha dimostrato, da esperto politico e giudiziario italiano, che esistono altri scenari possibili. Scenari – scandisce Fioravanti – che non solo sono “possibili”, ma che anzi, a rigor di logica, sono molto più verosimili della pista che ha portato a condannare noi».
«E qui – aggiunge “Giusva” – Colombo ha innestato un altro ragionamento: perché al termine di un lungo iter processuale è risultata vincente l’ipotesi di accusa meno verosimile, e sono state trascurate le altre? In parte c’entra un certo tipo di antifascismo militante, che sicuramente ha condizionato gli esiti del processo. Ma questo spiega solo una parte della vicenda». Secondo Fioravanti, «dev’esserci dell’altro, se anche la vecchia Democrazia Cristiana ha accettato questo verdetto, se anche la Destra che negli anni recenti è stata al governo non ha aperto nessun archivio». Di qui l’interrogativo di questa inchiesta: «Perché sono stati tutti d’accordo nello sposare la pista neofascista? Parte da questo punto la parte più interessante del libro di Colombo. Una riflessione pacata ma acuta sugli equilibri nazionali e internazionali in gioco all’epoca ma anche oggi».
Né movente né mandanti
La strage di Bologna, come risaputo, è la più grave della storia repubblicana e l’unica per la quale siano stati individuati i colpevoli. Fioravanti e Mambro, all’epoca 22 e 21 anni, condannati all’ergastolo il 23 novembre 1995 dopo cinque processi con sentenza definitiva sono rei confessi di molti omicidi e condannati con ergastoli. Ma i due ex terroristi, che oggi lavorano all’associazione del Partito radicale contro la pena di morte, Nessuno tocchi Caino, hanno sempre negato ogni responsabilità nell’eccidio e da anni si battono per una revisione del processo. Di fatto, come si diceva, per il più feroce crimine della storia italiana non sono stati individuati né un movente né i mandanti, e la sentenza di condanna dei due ex terroristi neri ha suscitato non poche perplessità tra giornalisti e politici come Rossana Rossanda, Paolo Mieli, Francesco Cossiga e l’ex presidente della Commissione stragi, Giovanni Pellegrino. Scrive Colombo, invitando il lettore a scoprire passaggio dopo passaggio la vicenda umana e politica dei due ex terroristi neri che si sono sposati in carcere nell’85: «La condanna per Bologna non cambierà di molto la condizione materiale di Valerio e Francesca: ma per la loro figlia, nata vent’anni dopo quell’attentato, sapere se i genitori si sono macchiati “solo” di alcuni omicidi politici o anche del massacro di 85 poveracci potrebbe fare qualche differenza».
E c’è anche un altro elemento che il portavoce di Rifondazione al Senato, getta sul piatto di una “revisione” di giudizio sui quei fatti dell’agosto 1980: «Da qualsiasi punto di vista si guardi la vicenda, che la si affronti a partire dalle indagini, dal processo o dalla reazioni alla sentenza, si arriva sempre allo stesso nodo: la matrice “necessariamente” nera della strage, quel “sono stati i fascisti” che risuonò in tutto il Paese stravolto».
La sera del 5 agosto 1980, nel corso del primo vertice sulla strage a Palazzo Chigi – presenti otto ministri più i vertici della polizia e dei servizi – qualche voce allude a possibili piste alternative alla «chiara marca fascista». Su questo punto, Colombo fa notare: «Il ministro dell’Interno, Virginio Rognoni, ha ricevuto dal suo omologo tedesco sibillini messaggi che suggeriscono di guardare verso la Libia. Quello dell’Industria, Franco Bisaglia, ipotizza un collegamento tra Bologna e la strage di Ustica». Ma le piste alternative «non si limitano a essere scartate, vengono drasticamente cancellate», per insistere invece sulla matrice neofascista. Così, rimarca il giornalista, attualmente collaboratore di Liberazione, «il verbale della riunione scompare misteriosamente: riapparirà solo quindici anni più tardi», quando il giudice Rosario Priore lo trasmetterà alla Commissione stragi nel quadro delle indagini parlamentari su Ustica, nel 1995.
Di più: «I presenti negano risolutamente che in quella riunione, destinata a orientare una volta per tutte le indagini, si sia parlato di ipotesi diverse da quella neofascista. Un caso di amnesia collettiva». E nelle indagini il “movente”, come per la vecchia generazione fascista, non è più di tipo golpista, ma «psicopatologia pura e semplice» dei capi dei Nar, «pazzi assassini le cui azioni non nessitano neppure di una spiegazione logica».
Insomma, quei “ragazzi neri” che avevano saltato il fosso dopo la strage di Acca Larentia (gennaio 1978, nella quale furono uccisi 3 militanti del Fronte della Gioventù) ed erano passati in clandestinità dopo aver visto uccidere i propri amici, non avrebbero avuto un chiaro progetto politico-eversivo ma si sarebbero limitati a vivere l’avventura di una banda di “anarchici di destra” che nella terribile conta delle vittime del terrorismo avrebbe poi lasciato sul terreno 33 omicidi firmati col piombo.
Il fatto è che nel processo contro “Giusva” e la moglie Francesca, «una specie di Wendy nell’Isola delle croci e del sangue», questi elementi psicologici di un gruppo che non voleva avere capi e lottava contro le gerarchie «hanno pesato ben più delle prove materiali». Nel mazzo delle “prove” a carico degli ex Nar vengono gettate anche lettere scritte dalla “coppia nera” a Mario Tuti, diversi anni dopo Bologna. Nelle mani dell’accusa quelle carte diventano «prova chiara dell’influenza che lo stesso Tuti doveva esercitare» sul terrorismo di destra ai tempi della strage. Per Colombo, dunque, «il processo di Bologna è stato un processo politico, se con questa definizione si intende che la connotazone politica degli imputati ha costituito di per sé un elemento a loro carico, anzi il principale elemento probatorio. Non lo è invece stato se per processo politico si intende invece un procedimento allestito con il fine specifico di colpire una data area politica». Ecco che «il processo contro i Nar è stato interpretato come un processo contro lo stragismo fascista sino a qual momento impunito. Magistrati e opinione pubblica venivano da un decennio di frustrazione ed esasperazione di fronte all’impossibilità di far luce sulle stragi dei primi anni Settanta». Di qui la tesi del libro: «Il processo e la sentenza per la strage del 2 agosto sono stati, se non una vendetta, un “risarcimento” per le troppi stragi rimaste senza colpevoli. È una reazione comprensibile ma non giustificabile».
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