lunedì 20 agosto 2007

Il ritorno del Cavaliere al movimentismo. Mario Sechi

Mancava all’appello e puntualmente è arrivato il tormentone di fine estate: il nuovo partito di Silvio Berlusconi. I rumors messi nero su bianco dai colleghi de La Stampa hanno avuto l’effetto di surriscaldare il clima nel partito e nel centrodestra. Berlusconi ha smentito che vi sia un progetto per costituire un nuovo partito, ma al di là del tourbillon di dichiarazioni e fibrillazioni varie (dentro e fuori Forza Italia), resta una domanda fondamentale sulla quale vale la pena riflettere: il centrodestra ha bisogno di un aggiornamento delle idee, dei programmi e - perché no? - del marketing politico? Noi crediamo di sì e questa «rifondazione» si può fare in vari modi. Silvio Berlusconi è un leader che ha sempre anticipato e interpretato l’umore del cittadino medio. È stata perfino inventata una categoria, il «berlusconismo», che in fondo ha fotografato un tratto importante della complessa società italiana. Il «tocco» di Berlusconi ha un nome, si chiama «carisma», merce ormai rara nel mondo della politica italiana. È per questo che Forza Italia secondo i politologi è un «partito carismatico». A sinistra - e vista la loro storia è un paradosso - si tende a dare una lettura negativa di questo fenomeno, ma in quasi tutte le democrazie occidentali si è assistito all’alleggerimento del peso dei partiti da una parte e alla crescita del potere e delle funzioni del leader dall’altra (pensate a Sarkozy in Francia e Zapatero in Spagna). Forza Italia in questo senso è certamente il partito più moderno sul mercato della politica e Berlusconi ne è consapevole. Forza Italia è un movimento che si è istituzionalizzato, ha governato e fatto opposizione a livello nazionale e locale, è un partito che ha radici più solide di quanto si creda: raccoglie il 33 per cento dei consensi, ha un gruppo di vertice che non è affatto al di sotto della media degli altri partiti, conta 500mila iscritti, 70mila eletti nelle istituzioni e alla fine dell'anno avrà celebrato 4mila congressi locali. Non ci pare un «partito di plastica».

È indubbio che Forza Italia dipenda dal suo leader, ma questo vale anche per gli altri partiti del centrodestra: cosa ne sarebbe di An senza Gianfranco Fini o dell’Udc senza Pier Ferdinando Casini? La «diversità» di Berlusconi è nel suo ruolo trainante sull’elettorato moderato, nella sua capacità di catturare voti (e questi in politica si contano, non si pesano) e nella sua immagine di «outsider», uomo «dentro» la politica e nello stesso tempo «fuori» dal Palazzo. Queste qualità sono appunto quel «carisma» con il quale si possono fare molte cose - basta leggere un po’ di storia - tranne che però è fondamentale: trasferirlo agli altri. Forza Italia e i suoi alleati non devono preoccuparsi della «successione», è un tema che non esiste, è l’isola che non c’è, nel momento in cui Berlusconi continua a fare Berlusconi, un mix di fantasia e improvvisazione che ha evitato a Forza Italia e al suo leader di diventare un prodotto «fuori moda» nel mercato della politica. Ci sarà da preoccuparsi, semmai, nel momento in cui Berlusconi dovesse usare - nella comunicazione e nel modo di fare - i metodi del classico uomo politico italiano.
Fin qui, abbiamo fotografato una situazione che non è statica, ma in rapido movimento e agganciata agli eventi in corso nel centrosinistra. Berlusconi ha in mente un possibile scenario di elezioni anticipate e - da grande organizzatore qual è - si muove di conseguenza. Ha perso le elezioni per 24mila voti e stavolta cerca di allargare il più possibile il consenso intorno al centrodestra. Non si ripetono gli stessi errori, ecco perché dialoga con le «nuove Dc» - senza pensare affatto che siano un’alternativa all’alleato Udc - e perché ha rimesso in moto uno schema già collaudato nel 1993 con la nascita di Forza Italia: i circoli. Nel momento in cui soffia il vento dell’antipolitica, il Cavaliere ritorna al movimentismo. E qui entra in gioco la figura di Michela Vittoria Brambilla. Fino ad oggi è stata un’invenzione di Berlusconi, ciò non toglie che possa diventare anche altro, ma per il momento dovrebbe pesare meglio la sua effettiva forza e crescere in autonomia. Il suo ruolo è quello di organizzare i circoli, portare un pezzo importante di società civile vicino alla politica, dalla quale si sente esclusa o addirittura respinta. È uno schema usato anche da altre formazioni, in vario modo: i Ds usano le associazioni e le feste dell’Unità, a destra esistono da anni circoli e fondazioni di varia ispirazione, i Verdi si rivolgono alle associazioni ambientaliste, i neocomunisti fanno riferimento ai centri sociali e al mondo noglobal, i post-democristiani dialogano con una rete di associazioni cattoliche. Forza Italia ha bisogno di una sua rete non-politica, non può dialogare in modo intermittente con la società.

Tutto questo significa - come qualcuno paventa - la fine di Forza Italia? Noi crediamo di no, per il semplice motivo che il partito azzurro «esiste» e cancellarlo sarebbe un’impresa titanica e politicamente dispendiosa. Detto questo, la struttura dirigente del partito dovrebbe essere abbastanza matura da sapersi rimettere in gioco e in discussione, accettando la competizione interna.
Ci si chiede: è possibile cambiare nome a Forza Italia? Certo che si può fare, ma è assai rischioso. Berlusconi è un uomo che conosce il marketing e sa valutare il valore del «brand», del marchio. Forza Italia, per intenderci, è conosciuta da tutti gli italiani di qualsiasi età ed estrazione sociale, persino all’estero ha avuto dei tentativi di imitazione. Il cambiamento del nome (e della ragione sociale), a nostro modesto avviso, potrebbe avvenire solo in alcune circostanze ben precise: una è endogena, cioè la fusione di più partiti del centrodestra (e presto si porrà sul tavolo dell’alleanza il tema della cooperazione e del programma); l’altra è esogena, perché se il Partito Democratico riuscisse miracolosamente a ridurre la polverizzazione a sinistra, arrivando a presentarsi come un partito da schema bipolare quasi-perfetto, allora a destra non potrebbero restare a guardare. Questo scenario, per ora, non è alle viste, ma poiché la politica è fatta soprattutto di fantasia e immaginazione, un leader di partito - Berlusconi più di tutti - non sbaglierebbe a rifletterci e valutare le mosse con largo anticipo.

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