George W. Bush ha rispiegato per l’ennesima volta che cosa c’è davvero in ballo in medio oriente, forte dei progressi militari sul campo e di una leadership europea, Italia esclusa, non più disposti a girarsi dall’altra parte come ai tempi di Chirac e Schröder.
Il punto critico è il fronte interno, quello americano, lo stesso che crollò all’inizio del 1973. In quell’occasione, malgrado i recenti successi sul campo ottenuti grazie a un cambio radicale di strategia militare e a un nuovo generale, la politica, i giornali e l’opinione pubblica americana decisero che la guerra fosse invincibile, se non già persa. Si convinsero che l’idea kennediana di intervenire militarmente per bloccare l’avanzata comunista, il famigerato “effetto domino”, era folle, malgrado poi gli sviluppi successivi confermarono ampiamente i timori. Bush ha ricordato che c’è una importante somiglianza tra la guerra del Vietnam e quella di oggi in Iraq e in Afghanistan: “Sono battaglie ideologiche” in cui gli avversari vogliono uccidere gli americani perché si oppongono al tentativo di imporre la loro brutale ideologia agli altri: “Come i nostri nemici del passato, i terroristi che combattono in Iraq e Afghanistan e in altri luoghi cercano di diffondere la loro visione politica: un rigido modello di vita che annienta la libertà, la tolleranza e il dissenso”. Bush ha ribadito che siamo soltanto “all’inizio di questa attuale battaglia ideologica, ma sappiamo anche come sono finite le altre e questa conoscenza oggi ci aiuta e ci guida”. Aver impedito che la Corea del sud venisse inglobata dai vicini comunisti ha contribuito alla nascita di una tigre asiatica, un modello per il resto del mondo, così come aver aiutato il Giappone a costruirsi un futuro democratico (mentre tutti dicevano che la cultura e la tradizione locale non l’avrebbero permesso). La lezione del passato più importante, secondo Bush, però è quella in cui l’America non è in grado di raccontare un successo: il Vietnam. Anche allora si diceva che il problema fosse l’occupazione americana e che subito dopo il ritiro delle truppe dall’Indocina tutto sarebbe tornato calmo e tranquillo. Successe, come è noto, l’opposto. Non solo in Vietnam, ma anche in Laos e in Cambogia, dove gli khmer rossi massacrarono centinaia di migliaia di connazionali. Oggi l’Iraq è come il Vietnam nel 1972.
Quell’esperienza invita a non ripetere l’errore, anche perché con un nemico come l’islamismo apocalittico il rischio è che Baghdad 2008 diventi come Monaco 1938.
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1 commento:
Per cortesia, qualcuno dica a quel leccaculo di Rocca di non assumere alcolici prima di scrivere un articolo.
Rocca, Bush e pochi altri sono gli unici a vedere progressi, successi e trionfi nella guerra in Irak.
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