martedì 2 ottobre 2007

I tre errori fatali degli ex Pci. Gianni Baget Bozzo

Il governo Prodi è divenuto un lungo interregno, non può né governare né cadere. Ma la sua esperienza mette in crisi non tanto un governo, quanto la governabilità italiana. Il fenomeno Grillo mostra che la base più giovane della sinistra, quella che usa i computer, è in stato di disaffezione. E il fattore comico della crisi è che Marco Follini, che mise in crisi il governo Berlusconi, annunci la fine del governo Prodi. Veramente il calcio dell'asino.

La sinistra in Italia vuol dire il Pci, che ha determinato l'interpretazione canonica della storia della Repubblica e della Costituzione. E ora la sua classe dirigente mostra la volontà di sopprimerlo, legandolo a un improbabile partito con le clientele democristiane del Sud. È questo fatto che tocca la governabilità italiana: la sinistra è divenuta anch’essa, per usare le parole del nuovo teorico della fine del capitalismo, Toni Negri, una «moltitudine». Questo incide sulla governabilità italiana anche di un governo di centrodestra e rende il caso italiano unico in Europa come crisi della nazione e dello Stato. In Europa la sinistra socialdemocratica è vigorosa ed è di fatto un partito unico della sinistra.

Tre errori sono stati commessi dalla dirigenza comunista seguita alla svolta della Bolognina. Il primo avvenne durante Mani Pulite, quando Occhetto e D'Alema decisero di puntare sulla fine del Psi e sulla scomparsa di Bettino Craxi, cioè del vero fondatore della socialdemocrazia italiana. Togliatti non avrebbe mai commesso questo errore. Avrebbe potuto benissimo puntare, come fece Luigi Longo nel quinto congresso del Pci, alla fusione dei due partiti. Non lo fece. Il Pds divenne così, per un breve periodo, l’unico partito nella prima Repubblica rimasto in piedi e quindi il custode della Costituzione. Troppo: per questo nacque Forza Italia, come forza diversa da quelle tradizionali destinata a rimanere.

Il secondo errore fu quello di fare della lotta a Berlusconi il collante di una alleanza che non aveva altro contenuto politico. Questo errore non lo fece Massimo D'Alema, che tentò in qualche modo di agganciare il Pds all'Occidente, mettendo in crisi il governo Prodi e partecipando alla guerra nei Balcani. Ma la sinistra, anche nel Pds, era divenuta antagonista all'Occidente e non accettò la linea del suo massimo dirigente. Essa non aveva più il genio dell'unità nazionale e del compromesso storico, era divenuta una sinistra antioccidentale; e, per questo, non poteva che perdere la sua identità e divenire «moltitudine». La mancata scelta socialdemocratica finiva col distruggere l'identità del Pci. Un vero paradosso storico, che mostra come fosse nel giusto Bettino Craxi nel proporre al Pci l'unità socialista. Era il modo di salvare l'identità comunista oggi perduta.

Il terzo errore è quello di liquidare anche il Ds, spaccando il partito e consegnando la sua legittimazione politica alle clientele democristiane del Sud: a Ciriaco De Mita e a Franco Marini. La Dc si era sciolta perché politicamente esaurita. I comunisti avevano benedetto la sinistra democristiana salvandola da Mani Pulite, oggi si acconciano a farsi legittimare da essa.

Non sappiamo cosa accadrà del governo Prodi: se verranno nuove elezioni e con quale governo, se ci sarà un governo istituzionale. Ma questa incertezza è la conseguenza del fatto fondamentale: l'autoliquidazione del partito più storico della democrazia italiana. Berlusconi cercò a lungo l’intesa con D’Alema, pensò persino di farlo Presidente della Repubblica. Ma ormai, dopo la campagna elettorale anti-Berlusconi, non era possibile, neanche al leader di centrodestra, imporre una tale svolta al suo elettorato. Per questo l’Italia vive una crisi combinata della democrazia, della nazione e dello Stato non conosciuta da nessun altra nazione europea. (la Stampa)

1 commento:

Anonimo ha detto...

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