martedì 16 ottobre 2007

Rivoluzione di nascosto. Luca Ricolfi

Sabato, a poche ore dalle primarie del Pd, questo giornale ha pubblicato un articolo di Fabio Fazio, il simpatico conduttore di Che tempo che fa, che spiegava perché non sarebbe andato a votare.

Alla luce del risultato di domenica - grande partecipazione al voto, trionfale incoronazione di Veltroni - qualcuno potrebbe supporre che le perplessità di Fazio siano ampiamente superate, travolte dalla forza dei numeri. Ma sarebbe una conclusione affrettata. Non tanto perché per ogni elettore del Pd che ha votato ve ne sono altri tre che non l’hanno fatto, ma perché i sentimenti di smarrimento, di incertezza sul futuro, di dubbio, che Fazio aveva così ben descritto, restano estremamente diffusi sia fra chi è accorso ai seggi (circa 3 milioni di elettori) sia fra chi ha preferito restarsene a casa (circa 10 milioni di elettori). È su questo strano cocktail di sentimenti che vorrei riflettere nel primo giorno di vita del Pd. Perché tante persone di sinistra, indipendentemente dal fatto che alla fine siano andate a votare oppure no, si dicono così perplesse?

La prima spiegazione che viene alla mente è la teoria del colpo di sole. Molta gente non capisce che cosa gli è preso, questa estate, ai dirigenti riformisti della sinistra. Hanno discusso, dibattuto, riflettuto per dodici anni su ogni genere di formule astratte: socialismo, riformismo, socialdemocrazia, repubblicanesimo, liberalismo, liberal-socialismo, liberal-democrazia, nuova sinistra, ulivo, terza via, cattolicesimo democratico, popolarismo. Poi, improvvisamente, nel giro di pochi mesi cambiano marcia e registro: richiamano in servizio permanente effettivo Veltroni e gli danno il permesso di cambiare il Dna della sinistra. In tre mesi il nuovo organismo geneticamente modificato, in un impeto di bulimia, s’appropria di un’incredibile quantità di parole d’ordine della destra, e mette la sordina a un’altrettanto incredibile quantità di parole d’ordine della sinistra. Fra le parole d’ordine importate alcune sono generiche, anche se tutt’altro che irrilevanti: merito, severità, responsabilità individuale, ordine, decoro. Altre sono molto concrete e immediatamente comprensibili: aumento dell’età pensionabile, meno tasse, privatizzazioni, dismissione del patrimonio pubblico, tolleranza zero anche verso i presunti «ultimi».

Simmetricamente questi mesi hanno visto andare in soffitta molti caposaldi della sinistra tradizionale, riformista e non: laicità, coppie di fatto, fecondazione assistita, rafforzamento dello Stato sociale, integrazione degl’immigrati, clemenza verso i detenuti, coesione sociale, questione salariale, alleanza con i sindacati. Di fronte a un simile terremoto è naturale che chi si sente di sinistra sia sconcertato: non capisce perché dar fiducia a Veltroni, visto che sta forgiando il nuovo soggetto politico come una formazione di centro-destra o, tutt’al più, come un partito moderato di centro. Insomma, io elettore di sinistra piuttosto che votare Veltroni voto la Bindi, o mi rifugio nel non voto, o cerco asilo politico nella «cosa rossa» (comunisti e verdi).

Questa prima spiegazione è tanto logica quanto sbagliata. È logica, perché il salto fra sinistra primaverile (pre-Veltroni) e sinistra estiva (post-Veltroni) è incomprensibile. Il leader del Pd ne spara una al giorno, copia il programma del centro-destra, ama e benedice tutto e tutti. Come si fa a non sentire odore di furbizia? È questa la «bella politica»? E tuttavia la teoria del colpo di sole non tiene. Se Veltroni pensasse di rubare voti alla destra facendosi esso stesso destra, gli elettori moderati mangerebbero la foglia e gli preferirebbero l’originale. In realtà quel che Veltroni sta tentando di fare non è di spostare verso destra il baricentro del nuovo partito, ma di costruire una sinistra radicalmente riformatrice. Una sinistra moderna, liberale, e quindi fondata su un’idea diversa di progresso, su un’idea diversa di eguaglianza, su un’idea diversa di libertà. Il guaio è che lo fanno senza dirlo, senza spiegarlo. La loro non è una rivoluzione silenziosa, ma una «rivoluzione di nascosto», in cui ogni albero viene bruciato, ma non si vuol dire che si sta appiccando il fuoco. Ogni giorno cambiano un pezzo fondamentale del «castello culturale» che la sinistra ha costruito in oltre un secolo di storia, ma lo fanno fra un talk-show e una cena elettorale. Ti annunciano l’ultima novità con leggerezza, quasi con allegria, come se tu potessi e anzi dovessi capire al volo.

Eravamo per l’indulto? Non c’è problema, abbiamo cambiato idea. La riduzione delle tasse era una corbelleria di Berlusconi? Non vi preoccupate, ora è una cosa di sinistra. Vi abbiamo riempito la testa con il «diritto al successo formativo»? Contrordine, a scuola si torna a bocciare. La legge Biagi aveva «tolto il futuro a un’intera generazione»? Va beh, abbiamo esagerato. Vi abbiamo impartito lezioncine di senso civico ogni volta che protestavate contro le prepotenze degli immigrati? I tempi cambiano, e dei prepotenti ci siamo stancati persino noi buoni. Sono questi bruschi dietrofront che il popolo di sinistra vorrebbe capire, sentir giustificare, e che il nuovo capo del Pd finora non ha spiegato in modo chiaro. Ma potrebbe farlo?

Potrebbe, visto il consenso che ha raccolto. Ma temo che non lo farà. Se lo facesse, se volesse davvero spiegare la rivoluzione liberale di cui è diventato un (convinto?) paladino, dovrebbe anche fare i conti fino in fondo con il passato della sinistra. E dire: amici e compagni, per anni vi abbiamo riempiti di stereotipi buonisti, idee semplicistiche, maxi-programmi irrealizzabili; vi abbiamo nascosto i fatti, quando non quadravano con le convinzioni che vi avevamo impartito; vi abbiamo insegnato a criticare la destra sempre e comunque, qualsiasi cosa facesse; abbiamo coltivato il vostro senso di superiorità morale, la certezza di rappresentare «la parte migliore del Paese»; per cacciare Berlusconi abbiamo contratto un’alleanza politica innaturale, che sta paralizzando l’Italia; ora però ci siamo resi conto dei nostri errori, e anche se ci abbiamo messo quasi vent’anni a capirli (il muro di Berlino è caduto nel 1989), chiediamo a voi di metterci meno tempo - molto meno tempo - di quanto ne abbiamo messo noi.

Sarebbe un discorso nobile e coraggioso, ma un minuto dopo cadrebbe il governo. Perciò, amici, rassegniamoci: finché vorrà salvare Prodi, Veltroni non potrà mai spiegare sul serio la sua rivoluzione liberale. E finché lui non la spiegherà, noi - con Fabio Fazio - ci terremo il nostro smarrimento. (la Stampa)

1 commento:

Anonimo ha detto...

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LA RIVOLUZIONE LIBERALE
A me la rivoluzione liberale piace un frego.
Tanto più che un ministro del governo in carica ha preso in mano un lenzuolo, l’ha riempito di liberalizzazioni. E là! In un colpo abbiamo messo ko Adamo Smith (si scrive cosi?) e tutta la sua obsoleta teoria del liberalismo selvaggio.
Il fatto che mi dà pensiero e non mi fa dormire neanche la notte sta nel fatto (scusate la ripetizione) che le imprese stanno andando tutte a Remengo.
A Remengo ci vanno a finire le grandi imprese.
Non parliamo poi delle piccole imprese che sono tutte alle prese con difficoltà di concorrenza, interna e straniera, di debiti e di tasse sempre più esose e sempre più salate. Ohi! Ohi!
Altrettanto dicasi della finanza e dei conti di casa che tutti non fanno altro che dire che vanno a carte quarantotto.
Cosa dire poi dei prezzi della merce, pure di quella che si mangia tutti i giorni che Dio mette in terra, ma che da ora in poi non la mangeremo più tutti i giorni perché è cara e non la possiamo più comprare?
I giovani sono tutti a spasso, disoccupati. Colpa di Biagi? Penso che la colpa sia più del sistema. Non si produce più. Non si vende più. Non si lavora più.
Chiarezza lapalissiana.
E allora, mi domando, ma che cavolo di liberalizzazioni si sono fatte?
Risposta: le liberalizzazioni del cavolo!
Capisco che governare è difficile e che quando uno ha messo il sedere sul seggiolone dopo si gratta la testa come se avesse i pidocchi. Però un pochino intorno, dico, bisognerebbe dare un’occhiata.
La gente è inferocita che non ne può più. Le massaie che vanno al mercato tornano a casa senza una lira e con 30 grammi di prosciutto per farci il pranzo. L’uva non si compra più a peso ma si contano i chicchi.
I pensionati hanno tutti il dente avvelenato.
Non parliamo di quelli che con un solo reddito debbono tirare fuori più di mezzo stipendio per l’affitto.
E’ diventato un lusso comprare il giornale e bere un caffè al mattino.
Ma si può sapere dove si va a finire?
E con tutto questo, ci fosse almeno un po’ di tranquillità. Sì, perché una povera ragazza che al mattino va al lavoro, la bloccano alla fermata del tram, la rapinano, la stuprano, la mandano all’ospedale … ma niente preoccupazioni! Vedrete che metteranno tutte le cose a posto. Ovvero ce l’hanno già messe, perché il seggiolone del comando lo tengono saldamente sotto il venerabile e onorevole sedere … e non lo mollano. Dio me l’ha dato, guai a chi lo tocca!
Per ora l’unica soluzione possibile sta nel comprarsi un igloo e trasferirsi nelle terre artiche.