martedì 16 ottobre 2007
La Bindi e la litania del precariato. Angelo Crespi
Qualche giorno fa, dai microfoni di Radio 24, il ministro Rosy Bindi ha intonato la solita litania contro il precariato, mostrando sincera preoccupazione per i giovani di oggi che sarebbero – a sua detta – la prima generazione con prospettive più fosche e guadagni minori dei loro padri. Il pessimismo come arma ideologica di questa sinistra incapace di qualsiasi riforma (si pensi ai lai del catastrofismo ambientalista) genera una sbagliata percezione del reale. Risultato simile sebbene capovolto da quello perseguito dalle utopie comuniste che promettevano il paradiso: predire l’inferno ha comunque lo stesso nefasto obbiettivo. D’altronde, l’attuale compagine di governo paga un pegno così alto ai massimalisti, ai vecchi burocrati della politica, ai poteri forti, ai verdi, ai no global, ai cattocomunisti... che a poco vale ribattere con sano realismo a tanto inutile pessimismo. Come celiava Guido Ceronetti anche «La salute è uno stato precario che non promette nulla di buono». E quindi, nonostante la nostra buona salute, ci ammaleremo, prima o poi, è certo, forse moriremo, anzi di sicuro, ma questo non ci impedisce di pensare giusto. Quanto ai giovani, non dico che questo è il migliore dei mondi possibili, ma un giovane di oggi pur precario non ha dovuto patire molte delle difficoltà delle precedenti generazioni. I miei nonni rischiavano di morire di fame, i miei genitori, tanto per dire, hanno memoria della guerra e certamente hanno dovuto fare più sacrifici di me, e io pur avendo dovuto affrontare i disagi del precariato nel mondo del giornalismo mi sono sempre sentito fortunato. Le condizioni sociali sono migliorate, le aspettative di vita si sono allungate, la scienza e la tecnologia ci hanno aperto mondi impensabili, gli spostamenti sono sempre più facili, tutti comunicano costantemente col cellulare... Certo, se paragoniano i giovanissimi di oggi con i loro padri, la generazione del Sessantotto, allora tutto cambia, perché solo quella generazione ha ottenuto tutto e subito senza sforzi, immaginando un mondo inesistente. Solo i figli dei sesantottini pagano l’utopia dei padri, e dovranno faticare più di loro, proprio perché i padri non hanno faticato né lasciato nulla ai figli, solo desideri trasformati in diritti, ma nessun dovere. Detto questo, Rosy Bindi dovrebbe accettare l’idea che “meglio precari che disoccupati”; che solo in Italia chi ha un lavoro a tempo determinato è compatito come “precario”; che oggi non è più tempo di garanzie assolute sul futuro, ma così non è stato nel Novecento, nell’Ottocento, nel Settecento...; che i giovani devono rimboccarsi le maniche e non stare parcheggiati nelle università; che i migliori ce la fanno; che purtroppo non tutti sono migliori ma che tutti devono impegnarsi per esserlo; che per quelli che non sono migliori la Legge Biagi è comunque meglio di niente. (il Domenicale)
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