Da stasera Bruno Contrada è stato trasferito al padiglione “Palermo” dell’ospedale Cardarelli di Napoli. Si tratta di un reparto di massima sicurezza dell’ospedale napoletano riservato ai detenuti in pericolo di vita . L’ordine è venuto dalla stessa magistrata di sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere che gli aveva negato gli arresti domiciliari lo scorso 12 dicembre, Daniela Della Pietra. Che, secondo i familiari di Contrada avvertiti a cose fatte, “deve avere agito così per pararsi le spalle nel caso che dovesse succedere qualcosa a Bruno da qui al 10 gennaio”. Data in cui si terrà l’udienza nel merito del differimento della pena presso il tribunale di sorveglianza di Napoli davanti alla giudice Angelica Di Giovanni. La stessa che voleva mandare in galera Lino Jannuzzi per il reato di diffamazione a mezzo stampa un po’ di tempo fa.
Contrada ieri è passato all’attacco mediatico contro tutte le infamie che gli sono state scaricate addosso in questi giorni: in un comunicato ha detto di volere continuare la battaglia per la propria innocenza e di non avere mai chiesto direttamente la grazia.
“All'inizio del sedicesimo anno del mio calvario – scrive Contrada - intendo continuare ad urlare la totale estraneità alle infamanti accuse rivoltemi. Lo farò fino a quando avrò un filo di voce che mi permetterà di rivolgermi a qualsiasi giudice disposto ad ascoltarmi. Per questo motivo non ho chiesto alcuna grazia, poiché questa riguarda i colpevoli.”
“Voglio quindi rasserenare gli animi dei parenti delle vittime della mafia che hanno manifestato le loro opinioni senza conoscere personalmente l'uomo Bruno Contrada e quello che lui ha compiuto nella lotta contro la mafia – scrive ancora l’ex superpoliziotto - spero così che i toni di questi giorni vengano smorzati e ringrazio coloro che hanno creduto e credono in me”.
Fin qui il comunicato di Contrada che ha preceduto di qualche ora il provvedimento del giudice di Santa Maria Capua Vetere che anche l’avvocato Lipera interpreta come ”una vera e propria marcia indietro”.
Contrada domani sarà presente sui media anche in una commovente lettera anticipata da “Il foglio” di Giuliano Ferrara. In essa si legge tra l’altro che “..tutti sanno quale battaglia da lungo tempo si sta conducendo per l'abolizione della pena di morte nel mondo intero e tutti sanno che gli italiani, in particolar modo i radicali, sono in prima linea in tale strenua lotta, con tenacia perseverante e con elevato senso di umanità e di civiltà giuridica”.
“Ma non tutti sanno che la morte – continua la lettera al “Foglio” intitolata “La pena, il carcere, la morte” - viene irrogata a condannati, spesso colpevoli e talvolta innocenti, non soltanto in unica e istantanea soluzione con una iniezione letale o con una scarica elettrica o con un cappio al collo o con un proiettile alla nuca; essa è anche inflitta, non istantaneamente ma nel tempo, con ceppi inutili e inumani su corpi martoriati dalle infermità e dalla senilità, molto vicini all'ultimo passo. Anch'essa è una condanna a morte, sebbene dilazionata nel tempo”.
Contrada chiude la lettera con una domanda retorica: “Non è forse lecito pensare e dire ciò, alla lettura di qualche provvedimento giudiziario in materia di carcerazione? Mi riferisco alla nostra Italia e non alla Cina, agli Usa o all'Arabia Saudita!”.
Fin qui le novità dell’ultima ora sul caso Contrada.
A margine del caso vanno anche registrati però gli ennesimi colpi bassi della contro campagna di “Repubblica” che sembra invece auspicarsi la morte in carcere dell’ex numero due del Sisde. Nei giorni scorsi il quotidiano ha tentato di sobillare senza successo tutti i parenti delle vittime della mafia contro l’ipotesi di grazia presidenziale. Ma non riuscendo a ottenere altro che l’appoggio di quelli che da anni militano nelle associazioni più politicizzate dell’antimafia militante.
Con le clamorose defezioni del figlio del procuratore Costa, assassinato a Palermo nel 1980, e della vedova del commissario Boris Giuliano, un collega che fu tra i migliori amici di Contrada.
Oggi il quotidiano che fu a piazza Indipendenza (e che ora si ritrova al Torrino) ha superato ogni record di malafede e di disinformazione nel riciclarsi per nuova una notizia che poi è proprio quella con cui “L'Occidentale” iniziò la propria campagna stampa: il testo della motivazione incredibile con cui il giudice di sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere ha rifiutato i domiciliari all’ex numero due del Sisde.
Notizia peraltro superata dal provvedimento di poche ore fa con cui la stessa magistrata ha fatto marcia indietro.
Il provvedimento è dello scorso 12 dicembre, molti giorni prima che si parlasse di grazia, ma “Repubblica” nel titolo in prima pagina fa addirittura credere che questa cosa sia da leggere come un primo stop alla domanda del difensore di Contrada.
Appropriarsi degli scoop altrui senza citare la fonte si chiama rubare, presentarli in questa maniera si chiama disinformazione. (l'Occidentale)
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3 commenti:
Il trasferimento in ospedale avviene a poco ore dalla diffusione di una nuova lettera di Contrada in cui ribadisce la sua innocenza, riferendosi anche alle polemiche degli ultimi giorni: «All'inizio del sedicesimo anno del mio calvario intendo continuare ad urlare la totale estraneità alle infamanti accuse rivoltemi. Lo farò fino a quando avrò un filo di voce che mi permetterà di rivolgermi a qualsiasi giudice disposto ad ascoltarmi. Per questo motivo non ho chiesto alcuna grazia, poiché questa riguarda i colpevoli» si legge nella missiva. Nel testo, diffuso dal suo difensore, avvocato Giuseppe Lipera, l'ex alto funzionario della polizia puntualizza: «Voglio rasserenare gli animi dei parenti delle vittime della mafia che hanno manifestato le loro opinioni senza conoscere personalmente l'uomo Bruno Contrada e quello che lui ha compiuto nella lotta contro la mafia. Spero così - conclude - che i toni di questi giorni vengano smorzati e ringrazio coloro che hanno creduto e credono in me». In precedenza in uno sfogo raccolto dal cognato, il generale di brigata Giancarlo Tirri, Contrada dichiarato: «La mia dignità di uomo e di servitore dello Stato vale più della mia libertà e non permetto a nessuno di distruggerla a costo della mia stessa vita».
crepa in carcere mafioso...impiccato con Riina e Provenzano & C. sarebbe una punizione esemplare per tutti i servitori dello Stato che avete massacrato in questi anni.
L'anonimo di sopra è il classico esempio di giustizialista in servizio effettivo permanente.
Non ha letto una riga del processo, non si documenta e, soprattutto, rifiuta di pensare con la propria testa: classico trinariciuto!
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