La vicenda delle ultime intercettazioni sul caso Unipol (D’Alema, Fassino, Consorte) ci spinge ad alcune sommarie considerazioni. Non tanto sull’uso indiscriminato del mezzo di indagine e sulla pubblicazione delle telefonate che troviamo disdicevole, e neppure sulla rilevanza penale di quanto letto, che spetta alla magistratura, bensì sui risvolti morali. Che ci sono non perché valutiamo eticamente scorretto l’incitamento di D’Alema a Consorte, «facci sognare», bensì per l’ironico contrappasso che gli ex comunisti sono costretti a subire, loro che da sempre si sono fatti paladini della celeberrima “questione morale”.
La presunta moralità dei comunisti è una sorta di mitologia che affonda le proprie radici nel farsi della Repubblica. L’apologia della Resistenza, e poi l’uso strategico della cultura come mezzo per la conquista del potere, e poi il richiamo esplicito alla “questione morale”, furono tutti escamotages necessari al Pci per mantenere una credibilità erosa dal cattivo funzionamento del comunismo. Una specie di menzogna protratta all’infinito per mascherare i delitti commessi a milioni. In definitiva, uno strumento retorico utile per chi non aveva altre carte da spendere.
Il tic resta a deformare il volto anche della dirigenza postcomunista. Che appena può si spreca in ridicole difese della moralità politica.Fa sorridere il continuo allarmismo dei Ds nei confronti di Silvio Berlusconi, il continuo richiamo alla cosiddetta “emergenza democratica” quando si tratta di criticare lecite posizioni del Centrodestra. Perfino lo sciopero fiscale (citato da Berlusconi in modo retorico) ha una sua dignità politica, non meno lecita che gli scioperi di altro tipo. E di certo è meno grave delle illegalità dei centri sociali, delle piazzate dei facinorosi no-global, degli attentati delle nuove Brigate rosse, che però, guarda caso, vengono giudicate con un occhio di riguardo da chi ama molto il moralismo e poco la morale.
Qui sta il punto: il Pci prima, i Ds oggi (domani il Pd?), confondono il moralismo con la moralità. Nessuno si sarebbe scandalizzato delle affermazioni carpite al cellulare di Consorte, se i Ds per primi e in modo stucchevole non avessero fatto della “questione morale” un leitmotiv del loro impegno politico: insistendo sul fatto che non esistevano collegamenti tra il partito e le cooperative, che nessuno di loro si interessava di banche e finanze, che mai e poi mai la politica può essere piegata ad interessi così biechi. Già ai tempi del vecchio Pci, Pier Paolo Pasolini ricordava che «Il moralista dice di no agli altri, l’uomo morale solo a se stesso». Oggi abbiamo a che fare con uomini che sanno dire solo sì a sé stessi.
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2 commenti:
Mauro, hai un blog molto interessante e ben fatto.
Complimenti, verro' spesso qui.
Ti ho linkato.
Giorgio
Grazie Giorgio, è sempre un piacere fare nuove conoscenze.
Non perdiamoci di vista.
Mauro
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