Non è bello scoprire di avere subito perdite in conto capitale. Sarà questo, tuttavia, il sentimento di molti piccoli risparmiatori italiani al rientro dalle ferie. Si sentiranno come traditi dai mercati, proprio mentre avevano staccato la spina. Il crollo dei listini scatenato dalla crisi dei mutui ipotecari statunitensi ha praticamente azzerato i guadagni di borsa degli ultimi 12 mesi, riportando gli indici di Piazza Affari sei punti al di sotto dei valori a inizio anno. Inevitabili, anche se in genere molto più contenute, le ripercussioni sul risparmio gestito. Anche chi non ha né direttamente né indirettamente sottoscritto obbligazioni strutturate o acquistato altri strumenti finanziari che contengono i debiti a rischio contratti sul mercato dei mutui ipotecari statunitensi si trova così a subire delle perdite. Il mercato tende in questo momento a drammatizzare ogni notizia negativa proveniente da ogni parte del mondo. Quindi non sono affatto da escludere nuove pesanti sedute di Borsa, non appena emergeranno sui mercati finanziari internazionali nuove istituzioni coinvolte nella crisi. E queste sorprese negative sono tuttora possibili perché le innovazioni finanziare degli ultimi 10 anni - a partire dalle cartolarizzazioni ben note al pubblico italiano per l'ampio ricorso fattovi dal governo italiano nella passata legislatura - fanno sì che sia molto difficile ricostruire chi esattamente detiene i debiti a rischio e in quale misura.
Eppure è bene tenere i nervi saldi, evitando di realizzare le perdite, soprattutto se si tratta di investimenti che hanno orizzonti lunghi. La crisi attuale è stata eccessivamente drammatizzata da molti giornali italiani (non dalla Stampa!).
Alcuni hanno addirittura voluto evocare la crisi del 1929! Niente di più diverso dalla crisi attuale. La Grande Depressione del secolo scorso era partita da un tracollo della produzione, da una crisi dell'economia reale, accentuata dalla reazione delle banche centrali, che avevano chiuso i rubinetti del credito alle imprese in difficoltà. Oggi veniamo da anni di forte crescita dell'economia mondiale e i banchieri centrali hanno bene imparato la lezione, come testimoniato dalle massicce iniezioni di liquidità di questi giorni. Non stupisce perché Ben Bernanke, oggi alla guida della Federal Reserve, è stato proprio uno dei maggiori studiosi della Grande Depressione del 1929. No, la crisi attuale ricorda semmai quella del 1998 di cui molti italiani hanno perso memoria, a riprova del fatto che queste crisi appaiono nell'immediato dirompenti, ma vengono anche rapidamente superate. A differenza del 1998 oggi molte attività, a partire dai titoli di Stato, sono rimaste fortemente liquide. L'uso dei titoli di Stato come bene rifugio contribuirà tra l'altro a ridurre, almeno transitoriamente, gli oneri sul nostro debito pubblico. Quindi non tutte le notizie sono negative, soprattutto per chi aveva titoli di Stato in portafoglio.
I nervi saldi li dovrà tenere anche il governo, spinto in queste ore in tutte le direzioni. Il sindacato, per bocca di Bonanni, chiede imprecisate «garanzie» che nessuno, neanche la Fed, può dare e si sentono da più parti richieste di accentuare ulteriormente il grado di regolamentazione del nostro sistema bancario. Non bisogna invece dimenticare che proprio la forte regolamentazione del nostro sistema bancario, la sua arretratezza di fronte alle innovazioni finanziarie, non ci hanno posti al riparo dalla crisi. E che una reazione alla crisi che dovesse oggi ulteriormente scoraggiare le banche italiane dal prendersi rischi avrebbe effetti pesanti e, questo sì, duraturi sull'economia reale. Se c'è una cosa che difetta al nostro Paese è proprio la presenza di banche disposte a rischiare capitali in progetti innovativi, business angels e venture capitalists che consentano a idee nuove di essere finanziate e sviluppate.
Sbagliato anche chiudere le porte alla diffusione di quegli strumenti finanziari oggi messi alla gogna, perché consentono una migliore e più ampia ripartizione del rischio di insolvenza. Il vero problema legato alla diffusione di questi prodotti è che possono indebolire ulteriormente la capacità dei nostri intermediari finanziari di selezionare il rischio, di fatto deresponsabilizzando molti gestori. Il modo giusto di uscire dalla crisi consiste allora nel rafforzare il rating non solo degli strumenti finanziari, ma anche delle banche e dei gestori, mettendo al contempo in luce i conflitti di interesse che caratterizzano i responsabili del collocamento di molti prodotti finanziari. Bene anche rafforzare la capacità di informare tutti i cittadini su prodotti finanziari oggi incomprensibili ai più come molte obbligazioni strutturate. È questo un compito che dovrebbe essere proprio delle stesse autorità di controllo dei mercati, come avviene in altri Paesi.
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3 commenti:
Buon giorno. Leggo nel titolo di questo post il nome di Tito Boeri. Volevo chiedere se l'economista ha scritto come ospite su questo blog, o se si tratta di un testo apparso altrove. Penso sia opportuno specificare. Grazie mille.
L'articolo è tratto dalla Stampa.
Il professor Boeri ha un suo sito:
http://www.lavoce.info/
Grazie per la richiesta di precisazione.
Grazie per aver precisato.
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