Mentre si moltiplicano, tra le dichiarazioni dei politici, gli appelli al buon cuore dei petrolieri, passa quasi inosservata sui giornali la notizia che Marche e Puglia hanno introdotto un'accisa regionale sui carburanti, seguendo l’esempio non edificante di Campania, Molise e Liguria. Ciò avviene quando benzina e diesel sono ai massimi storici a causa dei livelli stratosferici a cui è quotato il barile. Ma se le dinamiche di mercato che determinano il caro-carburanti sono scrutinate dall'antitrust e dal governo, nessuno sembra curarsi dell'impatto che la componente fiscale ha sui prezzi. Eppure, l'erario si prende circa il 60 per cento di quello che paghiamo per un pieno di benzina, poco meno per il gasolio. Su ogni litro di prodotto, gravano le accise (frutto di un secolo di imposte a capocchia), in alcune regioni le accise regionali, e poi l'Iva, che si applica alla somma tra queste e il prezzo industriale. (Nelle regioni malandrine, dunque, lo Stato si becca un bonus aggiuntivo pari al 20 per cento dell'accisa regionale).
Il prezzo industriale contiene a sua volta numerose voci di costo, che vanno dalla materia prima alla distribuzione per arrivare ai margini dei gestori dei punti di rifornimento e delle compagnie petrolifere (pochi centesimi ciascuno). Né è il caso di ricordare che gli stessi margini inglobano la tassazione sui profitti di benzinai e aziende. Guardando alle cifre che scorrono impietose sulla pompa, dobbiamo prendercela con un colpevole dai contorni netti: lo Stato e, talvolta, le regioni.
Ormai, tra l'altro, non tiene più la tesi secondo cui le compagnie trarrebbero ingiusti profitti facendo cartello: era il fragile teorema del garante della concorrenza, ma, con l'accettazione degli impegni presentati dalle industrie, anche tale presunto anticoncorrenziale viene meno. Sembra quindi paradossale che governo e associazioni dei consumatori non vogliano affrontare il tema della fiscalità sui carburanti. Per l'esecutivo, un intervento implicherebbe la rinuncia al grasso gettito di queste imposte, e quindi l'esigenza di tagliare voci di spesa. Per le associazioni dei consumatori, è molto più facile prendere la scorciatoia populista. Perché il Ministro dello Sviluppo economico Pierluigi Bersani non convoca i governatori delle cinque regioni aguzzine con la stessa sollecitudine con cui si rivolge alle imprese del settore? Forse perché il dividendo politico e mediatico da incassare è molto più basso. Oppure perché ululare alla luna è più comodo che sporcarsi le mani contribuendo sul serio a risolvere i problemi. Lo stesso vale per il centro-destra, pronto sempre a belare contro il governo, ma quasi mai a presentare alternative. La via d'uscita è ovvia: tagliare le accise, come ha chiesto Daniele Capezzone. Chi saprà affrontare la sfida? (il Tempo)
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2 commenti:
illuso.A uno che per i 5 anni del governo Berlus.in ogni trasmissione in cui ha partecipato(tantissime)rompeva sempre con 'bisogna tagliare le accise',ma che nei 2anni del suo ministero si è completamente scordato di tagliare,cosa vuol chiedere.Gli chieda come mai rompe sistematicamente con la storiella'con noi la gente ha capito che non ci saranno più condoni'dicendolo sempre un attimo prima della pubblicità in modo che passi il messaggio,tanto al rientro in trasmissione si passa ad altro e quindi il messaggio è passato...compagno on.Bersani come lo chiama il condono previdenziale degli agricoltori(tralasciando gli altri condoni).Certo rispetto ai commercianti o agli artigiani al suo partito interessano di piu',però non si dimentichi che confesercenti fa parte della sua area politica.Forse non contano un .....solo 29% del dovuto e costretti a farlo,riaprendolo e allungando i tempi dato lo scarso preventivo riscontro.Commercianti e artigiani solo coglioni non cittadini uguali agli altri.
molto intiresno, grazie
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