Come mai la notizia più importante da noi continua a non fare notizia?
Le luci dei razzi illuminanti su Baghdad le abbiamo viste. La luce in fondo al tunnel facciamo finta di non vederla. Diciamo che Baghdad in questi anni ha fatto notizia. Guerra vinta. Regime abbattuto. Saccheggi. Disordine. Carneficina terrorista. Fosse comuni. Vittime civili e militari. Disperato tentativo di risalita con i mezzi della politica democratica in un paese in cui era totalmente sconosciuta. Elezioni e costituzione sotto le bombe. Sciiti e sunniti e curdi. Violenze settarie, grandi attentati ed elementi di guerra civile. Rapimenti e decapitazioni seriali. Torture e commissioni d’inchiesta del Pentagono. Pacifisti nelle strade del mondo. Coscienze inquiete per ogni dove. Crisi all’Onu dove Annan si scatenava contro la guerra illegale. Molto cinema d’impegno e denuncia. Molto giornalismo televisivo pashmina e denuncia. Molte passeggiate nel disastro malinconico di grandi inviati di guerra. Molte mozioni nei Parlamenti europei: mandiamo le truppe, teniamo le truppe, ritiriamo le truppe. Molto dolore per i costi umani. Molta indifferenza per chi ci ha fatto vedere come muore un italiano. Molto accoramento per ragazze di ritorno in djellaba e con una copia fresca del Corano per lanciare appelli al valoroso popolo iracheno sotto la protezione dei riscatti pagati dai servizi segreti occidentali via ong (organizzazioni non governative). Mobilitazione jihadista dispiegata. Grandi catture. Impiccagioni e processi. Molto horror show. Discussioni in punta di storia e di diritto su termini come resistenti, insorti, banditi, tagliagole, impaludamento, Vietnam. Scontri diplomatici all’arma bianca con il Quai d’Orsay di Chirac e Villepin. La corrosione del mito di Tony Blair a Londra. Raffinate ricostruzioni delle trame della lobby ebraica neoconservatrice impegnata a dirottare la politica estera americana nell’interesse di Israele. Grande crisi della presidenza americana impiccata alla sua straordinaria impresa politico-militare. Incandescenti divisioni di principio nell’establishment intellettuale di qua e di là dall’Atlantico. Ma ora non fa notizia questo “accomodamento senza riconciliazione”, questa “breccia nel muro del pessimismo” di cui parla Tom Friedman sul New York Times, questa buona notizia che sarebbe disonesto ignorare o esagerare portata dal surge di Bush e Petraeus, questo equilibrio trovato nel controllo del territorio, nella sicurezza, che è la premessa per nuovi passi avanti diplomatici e politici nel cuore tormentato della politica mondiale dopo l’11 settembre. In America se ne parla, da noi no. Bernardo Valli non passeggia più a Baghdad. Vittorio Zucconi non solfeggia più a Washington. E i direttori dei tg non sanno come offrire immagini di pacificazione purtroppo meno sanguinose della macelleria d’un tempo. Forza Capuozzo!
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1 commento:
Questa guerra irachena, ma anche quella afgana, se alimentate e condotte con i mezzi attuali potrebbero durare cento anni. Teniamo presente che in Libano siamo alla soglia della guerra civile. Teniamo presente che in Somalia siamo in guerra civile da decenni ormai, sostenuta e fomentata dall'integralismo (islamico) e che l'Etiopia cristina a accettato di fare da tutore (per ora). L'Iran si sta' dotando dell'arma nucleare dandola da bere al mondo buonista e fannullone che pur avendo giacimenti petroliferi immensi abbisogna di energia dal nucleare. La Siria era su quella strada con l'aiuto della Corea del Nord. Nel Pachistan, gia' potenza nucleare, vi e' il rischio (non indifferente) di una presa del potere da parte degli integralisti (islamici) con conseguenze non immaginabili. Se l'Occidente, gli Stati Uniti, la NATO continuano ad alimentare la loro presenza militare in Afganistan e in Iraq e in Libano, la' ci staranno per decenni. Ma ci conviene tutto questo dal punto di vista della sostenibilita' economica ?? Puo' anche essere, ho qualche dubbio.
Queste guerre a mio avviso vanno condotte con mezzi diversi, molto piu' incisivi e massicci in modo da ridurre i costi e accorciare i tempi. Oppure bisognera' porre dei termini di tempo agli interventi anche se opportunamente differenziati.
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