lunedì 12 novembre 2007

Buoni e cattivi: Gianteo Bordero

I morti riposano in pace, ma per i vivi pace non c'è. Così i funerali di Enzo Biagi si trasformano nell'ennesima occasione per un attacco frontale a Silvio Berlusconi. I paladini del Bene e della Libertà d'Informazione si scagliano contro il Cavaliere del Male e della Censura, con un cinismo che lascia quasi senza parole. Le poche che riusciamo a trovare le dedichiamo a Romano Prodi, che dopo le esequie, di fronte al primo microfono che trova, dichiara, riferendosi al cosiddetto «editto bulgaro» di Berlusconi, che «l'Italia sa benissimo quali sono le giustizie e quali le ingiustizie». Strumentalizzare la morte per fini di bassa polemica politica è una delle cose peggiori che si possano fare, e si potrebbe benissimo replicare a Prodi ricordandogli le varie «epurazioni» compiute dal suo governo in questo anno e mezzo di legislatura. Ma non è questo il punto.

Il fatto più preoccupante, di cui le parole del presidente del Consiglio sono espressione paradigmatica, è la cappa di conformismo che regna sovrana nel nostro Paese, quella fitta nube di politicamente corretto che eleva gli amici al rango di eroi della libertà e i nemici a quello di oppressori. Come se fossimo ancora nel 1943, in piena guerra civile, e al posto del fascismo e del Duce ci fosse il leader dell'opposizione democraticamente eletto da milioni di cittadini. Passano gli anni, ma il manicheismo che ha appestato nell'ultimo sessantennio la nostra vita civile sembra non finire mai. I buoni da una parte, i cattivi dall'altra. E poco importa se i primi hanno dalla loro tutto l'establishment intellettuale del Paese: ciò che conta è ripetere che occorre «resistere, resistere, resistere». Oggi come ieri, la resistenza come imperativo categorico è l'unica patente di presentabilità in questo strano Belpaese.

Allora tutto ciò torna utile per ricordare, in tempo di vacche magre e di consensi che colano a picco, che si è al governo per una sorta di superiore missione morale da compiere, per ripristinare la «giustizia» dopo il quinquennio dell'«ingiustizia». Non, in primis, per migliorare la vita dei cittadini, ma per rieducarli dopo l'ubriacatura berlusconiana. Così persino i funerali di Biagi divengono l'occasione per la precettistica, per il richiamo ai sommi doveri civili, per ricordare che il nemico è ancora tra noi. Come se gli italiani fossero un «popolo bue» incapace di intendere e di volere, facile a lasciarsi irretire dalle scintillanti promesse di benessere e sordo ai supremi principi morali.

In un bell'articolo pubblicato su Libero, Marcello Veneziani ha scritto, parlando delle reazioni dei mezzi d'informazione e dei politici alla morte di Biagi, che «non si possono sacrificare settant'anni di grande giornalismo agli ultimi sette di senile e ossessivo antiberlusconismo», perché Biagi «non fu mai, nei lunghi decenni della sua attività giornalistica, un giornalista impegnato, schierato, percepito dalla gente come partigiano». Egli - prosegue Veneziani - «non è stato un militante di parte ma altro: pioniere del giornalismo televisivo, comunicatore affabile e popolare, volto e firma di successo».

E' chiara, dunque, l'opera di strumentalizzazione politica che di Biagi è stata fatta da chi, come Prodi, invece che guardare all'uomo concreto, in carne ed ossa, ha preferito servirsene per scopi ideologici, per appiccicare un'altra figurina nell'album dei «martiri della libertà» e per ricordare al Paese che la guerra, in fondo, non è finita; che c'è sempre una «giustizia» da ristabilire; e che c'è ancora un Duce da combattere. E mentre i fantasmi dell'oppressore vagano per l'Italia, i cittadini pagano sulla loro pelle il prezzo salato di tanto cinismo e di tanto moralismo. (Ragionpolitica)

3 commenti:

Anonimo ha detto...

noto che si scrivono tante chiacchere su biagi pur di non ricordare che è stato censurato(e la censura è una cosa impensabile negli altri paesi europei) e che l'italia ha un grave problema a livello di libertà d'informazione(vedi mediaset in mano a forza italia e rai equamente spartita tra destra e sinistra).
ma questo i commentatori illuminati di ragionpolitica e i giornalisti "impegnati" come veneziani("se epurano biagi e santoro m'incateno ai cancelli della rai") non lo scrivono.chissà perchè.

Anonimo ha detto...

bliss sai cosa vuol dire la frase citata dal cameriere Gianteo ? a cosa si riferisce?
solita ragionpoliticata?
"...si potrebbe benissimo replicare a Prodi ricordandogli le varie «epurazioni» compiute dal suo governo in questo anno e mezzo di legislatura."
a me non risultano epurazioni al cameriere si...ma senza citarle naturalmente!!!!

Anonimo ha detto...

L’altroieri, nell'AnnoZero dedicato a Enzo Biagi e dunque alla censura, la Rai del centrosinistra ha pensato bene di censurare Filippo Facci, giornalista della Fininvest e del Giornale, reo di aver definito la Rai «una cloaca», dunque querelato e tenuto fuori della porta. Quando queste cose le faceva la Rai del centrodestra, un giorno sì e l'altro pure, gli house organ berlusconiani scrivevano che la colpa della censura non era dei censori, ma dei censurati che se l'andavano a cercare per poi fare i martiri. Tra i più convinti assertori della singolare tesi c'era proprio Facci, che all'epoca si guardava bene dal definire «cloaca» la Rai. Ora sarebbe facile ritorcergli contro il suo sragiona­mento: Santoro ti invita il martedì per il giovedì, e tu il mercoledì scrivi che la Rai è una cloaca (e sul giornale di Berlusconi, sai che eroismo), dunque l'hai fatto apposta per farti cacciare e tirartela da martire. Ma, non essendo io Facci e non volendo diventarlo, non lo scrivo e non lo penso. Penso invece che Facci abbia il diritto di scrivere tutte le fesserie che vuole e chi si ritiene diffamato abbia il diritto di querelarlo. In attesa del giudizio dei giudici, che di solito arriva dopo 10 d'anni, Facci non può restar fuori dal «servizio pubblico», proprio perché è pubblico, cioè di tutti. Anche di Facci e dei suoi lettori. Dire: «Ti ho querelato, quindi non entri» è un abuso illiberale. Come se le Poste non consegnassero più le lettere a chi è in causa con loro. Ma alla Rai è ancora più grave, perché dirigenti e amministratori sono scelti dai partiti. Dunque gli emissari dei partiti hanno in mano un'arma formidabile per tagliare fuori (com'è avvenuto nel quinquennio del regime berlusconiano) chi è sgradito ai partiti: basta una querela, fondata o infondata che sia. Che un'azienda non apprezzi di essere definita "cloaca", è comprensibile (Mediaset querela per molto meno: basta ricordare i processi per i fondi neri o le sentenze della Consulta che le intimano di rinunciare a una rete, per essere subissati di cause milionarie in euro). Che la Rai abbia querelato Facci, nel paese dove tutti denunciano tutti, è quasi normale. Facci aveva più volte insultato anche Biagi («Non giornalista per tutte le stagioni»), che l'aveva denunciato ottenendo dal tribunale un risarcimento di 10 mila euro dal Giornale. Fatti privati, faccende che riguardano gli interessati e i rispettivi avvocati. Qui invece c'entriamo tutti noi. Anche perché, a sollecitare la querela Rai contro Facci, erano stati alcuni parlamentari del centrosinistra, fra cui la capogruppo del Pd al Senato Anna Finocchiaro e il suo vice Nicola Latorre. Dunque la consecutio è la seguente: il maggior partito di governo chiede alla Rai di denunciare un giornalista, la Rai esegue, e da quel momento il giornalista non mette più piede in Rai. È triste che nemmeno tre giornalisti seri e perbene come Rizzo Nervo, Curzi e Rognoni, che siedono nel Cda Rai, abbiano colto la pericolosità di un simile cortocircuito. Ma è ancor più triste che non abbiano capito quanto stupida fosse questa censura. Tanto più in un programma dedicato alla censura. Tanto più dopo le mille filippiche contro Santoro & C. che «non vogliono il contraddittorio». Facci, ancora l'altro giorno, aveva scritto sul Giornale una pagina di puro astrattismo sul caso Berlusconi-Biagi, sostenendo in pratica che il vecchio Enzo, nel 2002, si era cacciato da solo per intascare una congrua liquidazione, il diktat bulgaro non c'entrava, anzi non c'è mai stato: infatti Facci lo chiama «il cosiddetto editto». Quale occasione migliore di Annozero per mettere a confronto la falsa vulgata berlusconian-facciana con quella di Loris Mazzetti che visse quella terribile esperienza accanto a Enzo, e per discutere di censura con Sabina Guzzanti, epurata dai postumi del «cosiddetto editto» e mai reintegrata; con Lilli Gruber, testimone di quella stagione; e con Enrico Mentana, che nel 2002 minimizzò i prevedibili effetti del «cosiddetto editto»? Anziché censurare Facci (per giunta su proposta dell'Udc Staderini), la Rai sarebbe stata molto più intelligente ed efficace emanando un comunicato semplice semplice: «Facci ha definito quest'azienda "una cloaca", dunque l'abbiamo querelato. Ma, diversamente dalla Rai che piaceva tanto a lui, questo è un servizio pubblico, dunque lo invita lo stesso. Pur sapendo benissimo che, ospitandolo, rischia davvero di apparire una cloaca».