Un articolo da leggere per capire come la prescrizione possa essere un'arma a doppio taglio e come i processi, anche non celebrati, siano strumenti di lotta politica
Oramai si processa Silvio Berlusconi sui giornali, anticipando i fumosi processi che lo riguardano. Ciò avviene mentre si sostiene che Berlusconi vince le elezioni perché è il dominus dei media in Italia. Il tutto mentre il fatto del giorno dal punto dal punto di vista giornalistico politico riguarda tutt'altra persona: l’ex governatore del Lazio.
Piero Marrazzo appare coinvolto in un intreccio oscuro in cui sono entrati la droga e la morte del trafficante che ne riforniva le inquiline di Via Gradoli da cui l’allora governatore si recava con una rilevante quantità di denaro, che in parte serviva per pagarla. La tesi de “La Repubblica” e dei politici come Rosy Bindi è stata sin qui che Berlusconi - il quale, cessato il lodo Anfano, è sotto processo - si dovrebbe dimettere poiché Marazzo - che non è sotto processo - si è dimesso da governatore del Lazio.
Il paragone è improprio per la semplice ragione che, comunque, in Lazio per scadenza naturale fra qualche mese ci sono le elezioni (e le dimissioni di Marrazzo sono “a fine mandato” ). Né, dal punto di vista delle conseguenze politiche economiche e finanziarie, si può paragonare il governatorato del Lazio alla presidenza del consiglio dei Ministri. Per giunta il caso Marrazzo riguarda comunque una persona che ha ammesso di avere assunto cocaina in incontri con un transessuale da lui pagato per le sue prestazioni. Queste si svolgevano in un locale a ciò dedicato, nel quale il governatore è stato sorpreso in mutande da carabinieri del nucleo antidroga, presunti “ricattatori”, con 5 mila euro sul tavolino accanto a della cocaina. Il “ricatto” consisteva puramente nel rendere noto il fatto in questione, che ha rilevanza penale diretta o indiretta non tanto in relazione alle attività sessuali di Via Gradoli quanto al traffico di droga.
Può darsi che il fatto che l’ex governatore abbia pagato i carabinieri con due assegni, di cui egli avrebbe poi denunciato lo smarrimento, sia, per un giudice di manica larga, una estorsione anziché una corruzione di pubblici ufficiali, col fine di occultare il traffico di cocaina su cui stanno indagando. Ma in ogni caso questo è un fatto realmente accaduto che disonora chi lo ha commesso. Dunque la questione Marrazzo non è pertinente. E "La Repubblica" e gli altri giornali che conducono la campagna antiberlusconiana, con articoli di un livore incredibile, dopo averci provato, non puntano più sulla tesi che poiché Berlusconi è sotto processo” ciò comporti le sue dimissioni, ma sulla tesi che “ se” sarà condannato in primo grado dal tribunale ciò comporterà per lui l’obbligo di dimettersi. Il “se” è diventato sempre più piccolo sino a lasciare posto alla affermazione che Berlusconi sarà condannato. O, comunque che è come se fosse condannato, dato che già l’avvocato Mills è stato condannato. Il processo in Corte d’Appello al Mills è stato svolto con straordinaria rapidità perché la prescrizione, per lui, avviene alla fine del marzo 2010.
Per la verità, secondo un’altra tesi che appare più corretta, la prescrizione doveva essere già avvenuta. Infatti i magistrati hanno stabilito che la sua data di decorrenza non è quella del 1998 quando la testimonianza che sarebbe stata fatta in modo falso per fine di lucro fu effettuata, ma nel 2000 quando Mills ricevette la somma che, sulla base di un teorema e non di prove, costituiva il compenso per tale presunta corruzione. Il pagamento della somma concluderebbe il reato. In altre parole, se un killer uccide una persona nell’anno 1 ma viene pagato per questo fatto due anni dopo, nell’anno 3 , il reato di omicidio ha avuto luogo nell’anno 3! Ci si potrebbe, comunque, domandare quale nesso vi sia fra una presunta falsa testimonianza in un processo fatta nell’anno 1 e una somma ricevuta dal presunto testimone corrotto due anni dopo. Non è strano che il pagamento sia così dilazionato nel tempo? E in effetti, osserva l’avvocato di Mills, la motivazione della lunga sentenza stesa dal giudice Gandus "non dice e non può dire che vi sia stata una somma di denaro percepita dall’avvocato Mills proveniente da Fininvest o da soggetti a essa riconducibili. Non lo dice e non lo può dire e ogni altro ragionamento è un puro atto di fede".
In queste condizioni, il processo che si dovrà celebrare contro Silvio Berlusconi è un puro atto politico. Lo è perché si baserà su un teorema, ossia che quel Mills che nega abbia ricevuto dalla Fininvest la somma in questione e che questa somma sia il compenso per aver egli, Mills, reso una falsa deposizione due anni prima. Ma il processo a Berlusconi è un puro atto politico per una seconda ragione: non ci sono i tempi per celebrare un regolare processo al presidente del Consiglio prima della scadenza della prescrizione (che ha luogo, al più tardi, nel giugno del 2011). Infatti il lodo Alfano è diventato legge nel luglio del 2008 e ha sospeso i processi per le alte cariche dello stato da quando esso è entrato in vigore sino a quando la sentenza della Corte Costituzionale che lo ha abrogato viene pubblicata. Si può calcolare, dunque, che la sospensione della perseguibilità e quindi della prescrizione per Berlusconi duri 14 mesi. Ne consegue che questo processo, per non essere prescritto, dovrà terminare nell’estate del 2011. Ma esso deve essere rifatto dall’inizio con un nuovo tribunale non ancora costituito. Ecco, di conseguenza, che mancano i tempi tecnici per un processo svolto in modo accurato.
Dunque, i casi sono due. Se il processo si svolgerà in modo accurato, esso non potrà arrivare alla fine prima della prescrizione e il tribunale non potrà pronunciare una sentenza di condanna. Oppure, per evitare la prescrizione, il processo sarà svolto in modo estremamente sommario. E quindi se si giungerà alla condanna questa sarà viziata sia dalla sommarietà della procedura adottata sia dal fatto che tale procedura sarà resa possibile dalla scelta esplicita del tribunale di non adottare la procedura garantista. Dunque la condanna sarà frutto di una corte prevenuta. E’ molto probabile che il tribunale non voglia seguire questa discutibile linea. Dato ciò, “La Repubblica” ha messo le mani avanti e ha ammesso che la prescrizione potrebbe avvenire prima. Tuttavia, “La Repubblica”, gli altri giornali e i politici che ne seguono le argomentazioni, sostengono che, se non ci fosse la prescrizione, si giungerebbe alla condanna. E da ciò desumono che comunque Berlusconi dovrebbe dimettersi. Questo clima viene arroventato anche per far dimenticare l’episodio Marrazzo, che mette a nudo l’ipocrisia del giustizialismo puritano.
Silvio Berlusconi però ha dichiarato che, anche se sarà condannato, rimarrà al suo posto. Una dichiarazione giusta, che serve a bloccare le manovre riguardanti un futuro ipotetico governo tecnico e la girandola di voci che questa prospettiva alimenterebbe. Chi aveva fatto dei sogni, riguardo a questo governo, li può rimettere nel cassetto. Berlusconi ha perfettamente ragione dal punto di vista politico e dal punto del puro diritto.
Dal punto di vista politico è chiaro che la sentenza della Corte Costituzionale che ha bocciato il lodo Alfano è una sentenza partigiana, scritta da giudici di una ben definita parte politica che in larga maggioranza hanno avuto quel posto in seguito a una nomina di organi politici, come il parlamento e il capo dello stato. La Corte Costituzionale ha argomentato che il Lodo Alfano lede il principio per cui tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge, in quanto il presidente del consiglio è un primus inter pares rispetto ai ministri, non ha un compito superiore. La precedente sentenza della Corte costituzionale sul Lodo Schifani aveva ammesso che il presidente del consiglio ha una posizione diversa che può giustificare un suo diverso trattamento ma aveva ritenuto che la sospensione della sottoposizione a processi penali che la legge Schifani stabiliva per le alte cariche dello stato fosse sproporzionata alle esigenze connesse a tali cariche. Chi legge la Costituzione senza prevenzioni si rende conto che, per essa, il presidente dl Consiglio non è pari ai ministri, ma è ad essi superiore. L’articolo 92 della Costituzione dice che “il governo della Repubblica composto da presidente del consiglio e dai ministri, che, insieme, formano il consiglio dei ministri”. Il presidente del Consiglio, dunque, “non è un ministro”. E questo articolo aggiunge che “il presidente della Repubblica sceglie il presidente del Consiglio e nomina i ministri su proposta di questi”. Dunque il presidente del consiglio sceglie i ministri. Inoltre l’articolo 95 dice che “il presidente del consiglio dirige la politica generale del governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico e amministrativo , promuovendo e coordinando l’attività dei ministri”. Non so se questo testo comporti che il presidente del consiglio è un primus inter pares o un primuis super pares. Questo latinorum non fa che confondere la chiarezza del testo che attribuisce al presidente del consiglio la guida del paese con la collaborazione di ministri che lui stesso ha scelto. Dunque non è contraria al principio di eguaglianza una legge che sospende i processi per il presidente del consiglio, per il presidente della repubblica e per il presidente della corte costituzionale e non per altri cittadini dotati di cariche pubbliche che non svolgono compiti altrettanto importanti e impegnativi.
Berlusconi non si deve dimettere nel caso di condanna da parte del tribunale perché l’Italia ha bisogno di un governo stabile e non di un premier pencolante. E ha anche solide ragioni giuridiche a sostegno di questa linea. Infatti come si è appena visto, l’unico modo che avrebbe un tribunale per arrivare alla sua condanna sarebbe quello di un giudizio sommario con un procedimento svolto di corsa, basato sugli assunti ipotetici del precedente processo Mills. Inoltre anche se la sentenza di primo grado fosse emessa prima della prescrizione, questa si verificherebbe subito dopo. Quindi non ci saranno il giudizio di appello né quello di cassazione. Pertanto, in ogni caso non ci sarà una condanna definitiva. La eventuale condanna di primo grado, con processo sommario, sarà priva di quella verifica che si richiede nel sistema processuale ordinario basato sui tre gradi di giurisdizione. Ma ciò non conta per i giornali progressisti. Loro lo processano e condannano sulle loro pagine prima che i procedimenti a suo carico inizino. (l'Occidentale)
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