La corte di Appello di Milano che ha condannato l’avvocato Mills per corruzione in atti giudiziari ha regalato su un piatto d’argento a Berlusconi la soluzione per liberarsi in modo semplicissimo di un processo che, a rigor di logica, non avrebbe dovuto nemmeno cominciare. In mezzo alle mille anomalie che hanno caratterizzato la vicenda giudiziaria (ad esempio la totale mancanza di prove contabili che il denaro incamerato da Mills provenisse proprio da Fininvest e non dal suo cliente, l’armatore Attanasio) la nuova sentenza, dopo un dibattimento a velocità da record mondiale, si caratterizza per aver stabilito che l’ipotetica corruzione di Mills fosse avvenuta in un momento successivo alle sue deposizioni in aula come teste dell’accusa in alcuni processi.
Sorvolando sull’ennesimo salto della logica, che fa il paio con l’attribuzione a Mills, cittadino inglese, della qualifica di «pubblico ufficiale» (senza la quale non ci sarebbe corruzione) e con la decisione di fissare il momento del reato non al momento del supposto pagamento ma al giorno in cui Mills ha prelevato il denaro (per non far scattare la prescrizione), il decidere che l’eventuale corruzione sia avvenuta dopo la deposizione di Mills in aula ha importanti conseguenze. Si tratta infatti di una fattispecie di reato che non è prevista dal nostro ordinamento, dal momento che l’articolo 319 ter del codice penale che delimita la corruzione in atti giudiziari esplicita che la corruzione deve essere tesa a favorire o a danneggiare una parte del processo, intendendo quindi un’azione attuata in vista di uno scopo futuro ed escludendo quindi la fattispecie della «corruzione susseguente».
Il fatto che non abbia senso prevedere un pagamento senza l’obiettivo di far succedere qualcosa in un processo (dato che il processo si è già tenuto) è stato confermato a chiare lettere, per un curioso caso del destino, proprio dalla Corte di Cassazione nella sentenza Imi-Sir/Lodo Mondadori dove si dice che si «esclude la configurabilità della corruzione susseguente in atti giudiziari». Tutto finito, dunque? Mills processato per un supposto reato che non esiste e certa bocciatura della sentenza in Cassazione? Non è così semplice, il fatto è che vi è stata un’altra sentenza della Suprema Corte in un caso in cui a un giudice furono fatti dei regali (e non era Di Pietro), che, invece, smentendo se stessa, sostiene che la corruzione susseguente possa esistere. Questa disputa però apre la porta ad una soluzione semplice, corretta ed elegante di questa spiacevole pagina giudiziaria: basterebbe un’interpretazione autentica della legge da parte del Parlamento che ribadisca il testo dell’articolo 319 ter, escludendo la possibilità di altre letture differenti da quella già analizzata dalla Cassazione nel 2006 per chiudere la partita. Niente corruzione susseguente, niente processo, tutti a casa molto più sereni, per lavorare ad una vera riforma della giustizia, necessaria come l’aria e l’acqua ai cittadini e alla credibilità del sistema economico. Semplice, veloce, legale. (il Giornale)
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6 commenti:
Sentenza Mills, ecco perché non vale contro il premier
La sentenza di condanna pronunciata dalla corte d’Appello di Milano nei confronti dell’avvocato britannico David Mills, non può essere utilizzata contro Silvio Berlusconi. La questione è procedurale e perciò insuperabile. Il premier non ha bisogno di tutela, né dell’«effetto spugna» sui procedimenti a suo carico del nuovo ddl presentato al Senato, qualora diventasse legge. La norma, come anticipato, prevede la prescrizione dei processi agli incensurati se la sentenza di primo grado non arriva entro i due anni dalla richiesta di rinvio a giudizio. E riguarda i reati con pena inferiore ai dieci anni. Al presidente del Consiglio, dopo la bocciatura del Lodo Alfano da parte della Consulta, tuttavia non serve una legge sul processo breve per vedersi soppressa l’imputazione per corruzione del testimone Mills.
Partiamo dal reato contestato: corruzione in atti giudiziari, appunto. Un reato che tecnicamente viene definito a «condotta plurisoggettiva necessaria». Tradotto: se c’è un presunto corrotto (Mills), deve necessariamente esistere anche un ipotetico corruttore (Berlusconi). Il suo presunto coinvolgimento nella sentenza Mills è stato affrontato solo in via strumentale, perché altrimenti sarebbe stato impossibile affermare le responsabilità stesse di Mills. Siamo davanti al cosiddetto «concorso necessario». Tant’è che i giudici dell’Appello, nelle motivazioni della sentenza di condanna dell’avvocato inglese depositate mercoledì, scrivono: «Trattandosi di un reato a concorso necessario, la valutazione della condotta del soggetto rimasto in giudizio inevitabilmente comporta, se pur indirettamente, un riferimento anche alla posizione separata riguardante Silvio Berlusconi». Nei confronti del premier infatti il prossimo 27 novembre ci sarà quella che si chiama «l’udienza di smistamento», per portarlo alla sbarra. Il collegio che ha condannato Mills è incompatibile a giudicarlo, per questo si spoglierà del processo per lasciare spazio ad altre toghe adatte. Berlusconi ha comunque fatto sapere che in quella data non sarà presente in aula. Causa legittimo impedimento: un Consiglio dei ministri già in agenda da tempo. Dunque si prevede lo slittamento, cosa che non impedirà alle toghe di tornare presto all’attacco. Anche se non andranno da nessuna parte, perché non potranno utilizzare gli atti del processo Mills nel procedimento a carico del premier. Nemmeno in caso di bocciatura della nuova legge sul processo breve.
Le prime due ragioni di questo impedimento riguardano la stessa sentenza Mills. Essa non è irrevocabile. Si tratta infatti di un pronunciamento di secondo grado, che non essendo definitivo è suscettibile di impugnazione. Questo rende impossibile, per legge, ogni utilizzo dell’attuale sentenza di condanna in un altro procedimento. Ergo la sentenza Mills non può essere opposta a Berlusconi.
Secondo principio: un provvedimento decisorio (condanna per Mills) non può vincolare una persona se questa non ha potuto prendere parte al processo del quale quella sentenza è l’epilogo finale. Significa che nessuno dei fatti contestati a Mills può ritenersi accertato a carico di Berlusconi, questo perché lo stesso Berlusconi Silvio non ha avuto la possibilità di difendersi in quel processo. Si dà infatti il caso che né il premier, né il suo difensore siano mai stati presenti al dibattimento istruito contro David Mills. Il Cavaliere non ha partecipato a quel processo. Non lo ha fatto dal punto di vista giuridico perché vigeva il Lodo Alfano. E non lo ha fatto dal punto di vista fisico, non essendo mai entrato in aula. A sostegno di questo principio parlano gli articoli 24 e 111 della Costituzione; l’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo; l’articolo 14 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici sancito dall’Onu, per citarne alcuni.
Il giudice che in via preliminare sarà chiamato a riprendere il processo per corruzione di testimone contro il presidente del Consiglio, dovrà accertare uno per uno tutti gli elementi costitutivi dell’imputazione. E una volta accertati, quel giudice, non potrà fare nulla.
Ma non finisce qui, perché gli impedimenti a opporre la condanna di Mills al premier, riguardano non solo la sentenza ma anche l’intero dibattimento. I verbali essenzialmente. Le dichiarazioni, compresa la confessione del versamento di 600 mila dollari da parte di Fininvest in cambio del silenzio, poi ritrattata dal britannico in aula.
Questi verbali e dichiarazioni confessorie di Mills si potevano utilizzare nel procedimento a carico di Berlusconi solo se il suo difensore, all’epoca, fosse stato presente durante la loro acquisizione. C’era in aula Nicolò Ghedini, mentre queste fonti di prova venivano assunte? Nessuno lo ha visto, infatti era assente. Come il suo assistito. Recita l’articolo 238 (bis) del codice di procedura penale: i verbali di dichiarazione (la cosiddetta prova dichiarativa) possono essere utilizzati in un altro procedimento solo se il difensore dell’imputato (Berlusconi) era presente durante la loro formazione.
In sostanza le dichiarazioni e la confessione di avere intascato i soldi dal Cavaliere (ammissione che poi Mills si è rimangiato), hanno valore pari a zero in un eventuale processo contro il premier. A meno che (paradosso) non sia lo stesso premier a chiedere di acquisirle. Questi verbali possono essere utilizzati a processo solo allo scopo di accertarne la veridicità. Soltanto per verificare se Mills era credibile, ma non potranno essere esibiti contro Berlusconi, perché il suo difensore era assente quando Mills ha parlato, non ha partecipato alla loro formazione.
La sentenza di condanna per corruzione pronunciata dai giudici d’Appello nei confronti di David Mills, non sfiora neanche di striscio Silvio Berlusconi. Il quale non ha affatto bisogno che il nuovo ddl sul processo breve diventi legge, per sfuggire alla giustizia.
Le Bufale della Finocchiaro:
La Finocchiaro sia seria e smetta di mentire sul processo breve
Un annetto fa, dava prova di una spregiudicatezza e di un cinismo raccapriccianti, sentenziando:
“Il reato di immigrazione clandestina non esiste in alcun Paese al mondo, nemmeno negli Stati Uniti d’America che pure hanno problemi di immigrazione da sempre”.
Come noto, invece, il reato d’immigrazione clandestina esiste negli Usa, così come in Germania (dov’è stato introdotto dai socialisti), nel Regno Unito, in Francia, in Belgio, in Olanda, in Svizzera e finanche nella Città del Vaticano.
Evidentemente, la Finocchiaro pensava di poter coglionare gli italiani, o semplicemente i propri elettori, propinando loro una sesquipedale menzogna.
Si dirà: in fondo tutti i politici mentono. E una frottola, per quanto grossa, la si perdona a chiunque. Senz’altro.
Il problema, però, è che la Finocchiaro mostra di essere recidiva. E di usare la menzogna come strumento abituale di lotta politica.
Qualche giorno fa, infatti, parlando degli effetti che potrebbe avere il ddl che mira ad introdurre il cosiddetto “processo breve”, ha dichiarato:
“Processi come Eternit, Thyssen, Cirio e Parmalat andranno al macero”.
Fortunatamente per il Paese, è falso: se dovesse essere approvato il ddl di cui sopra, i succitati processi seguiterebbero ad essere celebrati, e non sarebbero sottoposti al termine dei sei anni di durata (oltre i quali scatterebbe la prescrizione).
La Finocchiaro, dunque, ha mentito nuovamente.
Come se non bastasse, poi, si è scoperta un’altra cosa. E cioè che la capogruppo al Senato del Partito democratico, nel luglio 2006, presentò una proposta di legge del tutto analoga a quella oggi formulata dal centrodestra.
Di più.
Mentre il disegno di legge che porta la firma di Gasparri e Quagliariello, stabilisce che debbano durare sei anni solo i processi a carico degli incensurati, e sempreché siano istruiti per giudicare “reati di non elevata pericolosità sociale”; la proposta di legge avanzata nel 2006 dalla Finocchiaro, era tesa ad introdurre il “processo breve” per tutti i reati in corso, finanche quelli di mafia!
Ma nemmeno questo, basta. Perché il ddl sottoscritto dalla Finocchiaro, non faceva altro che ricalcare una proposta di legge formulata nel 2004 da altri suoi colleghi di partito. Vale a dire: l’ex magistrato di Cassazione e presidente della Corte d’assise a Torino e Pinerolo, Elvio Fassone; l’ex magistrato e collaboratore di Giovanni Falcone, Giuseppe Ayala; l’allora responsabile giustizia dei Ds, Massimo Brutti; l’avvocato Guido Calvi; e l’ex pm che anni prima aveva indagato su Massimo D’Alema, Alberto Maritati.
Se questa proposta di legge finalizzata ad introdurre il “processo breve” fosse stata approvata, avrebbe prodotto danni:
“I processi allora in corso sarebbero stati dichiarati prescritti: in primo grado, in appello e in Cassazione. Tutti, anche quelli per i reati di mafia, di terrorismo, di pedofilia, di sequestro di persona, di furto aggravato, di circonvenzione di incapace, di sfruttamento dell’immigrazione clandestina, traffico di rifiuti, sfruttamento della prostituzione minorile, stragi. Invece esclusi dall’attuale testo del Pdl”.
Ancora. Se la pdl avanzata dagli esponenti dei Ds fosse divenuta legge della Repubblica, sarebbe caduto in prescrizione anche il processo intentato a carico di Cesare Previti, e che ha portato alla sua condanna.
Ecco, se la Finocchiaro e i dirigenti del Pd fossero persone serie, userebbero argomenti diversi contro il ddl presentato dal centrodestra.
Ad esempio il silenzio.
Acchiappabufale, i tuoi interventi sono opportuni e graditi, ma sarebbe il caso di citarne la fonte quando non sono "farina del tuo sacco".
Grazie
D accordo.
I 2 articoli provengono dal "Giornale" e da "camelotdestraideale"
Non dovrebbe esser difficile risalire alla provenienza.
Per esempio sempre sulla Finocchiaro CDI continua a scrivere :
Il ddl Finocchiaro avrebbe cancellato i maxiprocessi per mafia e camorra
Allora, oggi ritorniamo a parlare del ddl Finocchiaro sul processo breve. E lo facciamo con l’ausilio di due schede elaborate da Libero, che mostrano - in modo quanto mai chiaro - quali sarebbero stati gli effetti del succitato ddl, qualora fosse divenuto legge della Repubblica.
Come è agevole verificare, se la proposta di legge firmata dal capogruppo al Senato del Partito democratico fosse stata approvata, sarebbero stati cancellati, da un giorno all’altro, molti importanti processi. Li ha enumerati Franco Bechis:
“Se il ddl Finocchiaro fosse entrato in vigore sarebbe stato dichiarato estinto il processo per l’omicidio Fortugno che aveva già superato i termini massimi, quello per l’omicidio di Cogne (salvando Annamaria Franzoni), il maxi processo alla camorra (quello con imputato Francesco Schiavone detto Sandokan, capo del clan dei casalesi), altri processi alla camorra (compresi quelli raccontati in Gomorra da Roberto Saviano), quello dell’efferato omicidio del piccolo Di Matteo, figlio di un pentito di mafia il cui corpo è stato sciolto nell’acido, quello del Grande mandamento che vedeva imputati i boss mafiosi Bernardo Provenzano e Salvatore lo Piccolo, quelli sulle scalate ad Antonveneta e Bnl (furbetti del quartierino)”.
Accanto a questi, sarebbero stati cancellati i processi Cirio, Parmalat, Eternit e Thyssen, così come quelli a carico di Berlusconi.
Valutazioni, quelle appena esposte, condivise dal docente di procedura penale all’Università Tor Vergata di Roma, Gustavo Pansini. Che, intervistato da Il Giornale, ha messo a confronto il ddl presentato dal centrodestra con quello sottoscritto nel 2006 dalla Finocchiaro:
“Sono diversi, ma a sfavore di quello della Finocchiaro. L’idea base è infatti la stessa, fissare un tetto massimo per le varie fasi del processo ma c’è un aspetto grave in quello della sinistra: la prescrizione dei processi che superano i 6 anni nei 3 gradi di giudizio si applica a tutti i procedimenti, per qualsiasi tipo di reato”.
“Se il ddl fosse diventato legge, dunque, ci sarebbe stata la cancellazione di moltissimi processi anche per reati gravissimi, come mafia, terrorismo, strage”.
Ma la Finocchiaro dice che in quel ddl si prevedeva che dalla notizia di reato alla sentenza di primo grado potessero trascorrere 6 anni (fa notare il giornalista).
“Però, dimentica di precisare che mentre il progetto Gasparri-Quagliariello-Bricolo non fissa nessun termine per le indagini preliminari, quello a sua firma lo prevedeva: 2 anni fino al provvedimento con cui il pm esercita l’azione penale”.
“Vuol dire che molti processi si sarebbero prescritti già nella fase delle indagini preliminari, prima ancora di arrivare al dibattimento. Dunque, il progetto della sinistra era molto più lassista di quello del centrodestra. Per fare un esempio, l’omicidio di Simonetta Cesaroni sarebbe già prescritto, come tanti altri”.
E per l’applicazione ai processi in corso?
“Anche qui le nuove regole avrebbero interessato un numero di processi ben maggiore di quelli previsti dal “processo breve” del Pdl. Non si è molto espliciti, ma si dice che per i processi in corso si applicano le disposizioni “previgenti, se più favorevoli all’imputato”. In caso contrario, si applicano a qualsiasi tipo di processo. Non ci sono limitazioni a quelli di primo grado, per gli incensurati e per reati inferiori ai 10 anni di pena come stabilisce, invece, la proposta Pdl. Anche qui, effetto devastante”.
Detto questo, voglio aggiungere solo un commento.
Il sottoscritto, ha molte perplessità sul ddl relativo al “processo breve“ presentato dal centrodestra. E tuttavia, non tollera che a sinistra, qualcuno - la Finocchiaro in primis - osi alzare il ditino censorio. Non lo tollera.
E il perché, credo di averlo spiegato con questo (e quest’altro) post: quali titoli morali ha la Finocchiaro per contestare il ddl Gasparri-Quagliariello, visto che nel 2006 ha presentato una proposta di legge che, se fosse stata approvata, avrebbe cancellato finanche i maxi processi per mafia e camorra?
Quali?
Nessuno, evidentemente.
Meglio farebbe, dunque, a tacere.
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