mercoledì 11 novembre 2009

Puzza, camorra e doppio taglio. Davide Giacalone

I processi non si fanno sui giornali, vale per l’accusa e vale per la difesa. Il guaio è che non si fanno neanche in tribunale, o li si avvia dopo anni, quando l’accusato è già stato cancellato dalla vita pubblica. La procura di Napoli accusa l’onorevole Nicola Cosentino d’essere un concorrente esterno della camorra.
Accusa gravissima. A noi piacerebbe dire che la giustizia deve fare il suo corso, ed in quella sede auguriamo a Cosentino, come a qualsiasi altro imputato, di potere far trionfare la propria innocenza. Sappiamo, però, che le cose andranno diversamente.
Ci sono molti problemi, assai delicati e complessi, che questo ennesimo caso mette in luce. Ciascuno di questi problemi, come vedremo, è un’arma a doppio taglio. A cominciare dal reato presupposto, come detto: concorso esterno in associazione di tipo camorristico. Reato che ha un difetto, non esiste. L’articolo 416 bis, del codice penale, definisce l’associazione di tipo mafioso (per estensione anche camorristico), della quale o fai parte o non fai parte, o sei mafioso o non lo sei. Combinando, però, questo articolo con il 110, che definisce il concorso, si ottiene un prodotto giurisprudenziale che non ha fonte di legge: il concorso esterno. Ciò capita perché il diritto sa bene cosa sia un concorso, presupponendosi che il concorrente abbia agito per concretamente aiutare il criminale nel commettere un determinato reato. Ma se s’ipotizza il concorso non con una singola persona, ma con un’associazione delinquenziale non dettagliatamente definita, ne vien fuori una cosa elastica che, al tempo stesso, può colpire chiunque e mal si presta ad una dimostrazione processuale. Detto in altri termini: è facile accusare, assai più difficile dimostrare.
Ed ecco la lama a doppio taglio: la giusta voglia di colpire il mondo attorno alla delinquenza organizzata spinge ad utilizzare un’arma imprecisa, un fucile a pallettoni anziché una carabina per tiratori scelti, ma l’imprecisione si riflette sulla successiva discussione processuale, dove si riproporrà il problema di stabilire cosa è stato concretamente fatto, da chi ed a favore di quale reo, e siamo punto e a capo, dovendosi stabilire se dell’associazione a delinquere l’accusato ha fatto parte o meno. Lo sfregio è provocato da ambo i fili del coltello, perché l’innocente sarà trascinato a lungo in un processo infamante, mentre il colpevole guarderà con gioia i salti mortali di chi non riesce a circoscrivere e dimostrare il reato contestato.
Seconda pugnalata, la richiesta di arresto. Il gip, su richiesta della procura, chiede la carcerazione cautelare di un parlamentare, sapendo già che il Parlamento la rifiuterà. Ciò avverrà perché la non flagranza del reato presuppone che la detenzione sia funzionale alle indagini, e ben difficilmente, un qualsiasi Parlamento democratico, consegna un proprio membro a tali condizioni. Ma avviene anche perché la richiesta diventa automaticamente irragionevole, giacché un cittadino può essere privato delle libertà, in assenza di una condanna definitiva, solo se ricorrono i rischi d’inquinamento delle prove, reiterazione del reato (nel caso in cui sia violento e pericoloso) o fuga all’estero. E’ chiaro che se me lo dici settimane prima, che mi vuoi arrestare, o tali pericoli non esistono, oppure quel che dovevo fare lo faccio nel frattempo.
Ecco, ancora, il doppio taglio: da una parte si vuole affermare l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, dimostrando che anche un parlamentare potrebbe finire in galera, dall’altra si formula la richiesta in modo tale che sarà rigettata, finendo con il suggerire la totale disuguaglianza.
Il terzo sfregio è esemplificato dalle parole di Gianfranco Fini (che, in questa occasione, parla da capo partito, non certo da presidente della Camera, e ciascuno dovrebbe decidere, una volta per tutte, che parte recita in commedia). Egli ha detto che Cosentino non si può più candidare. Tutto sta in quel “più”. Fini sostiene che vale la presunzione d’innocenza (e vorrei vedere, visto che è scritta nella Costituzione), ma osserva quel che è abbastanza evidente: l’essere indagati per avere agevolato la camorra esclude che ci si possa candidare a governare la Campania. Con ciò, però, la procura se proprio non può scegliere chi candidare, può, almeno, scegliere chi non candidare. E non è mica normale. O, meglio, sarebbe normale, in un Paese sano, dove gli indagati si fanno da parte e tornano sulla scena da innocenti. Solo che il nostro non è un Paese normale, la giustizia non funziona, quello d’indagato ed imputato può essere un destino a vita, perfino in galera più della metà degli ospiti sono innocenti e, quindi, ciascuno si regola come crede, senza che nulla abbia più valore.
Di nuovo, il doppio taglio: i cittadini vogliono che si faccia giustizia, ma accusando e cancellando dalla vita pubblica chi si dimostrerà innocente non si fa che moltiplicare l’ingiustizia. Talché chiedo giustizia, ma non credo di ottenerla dai tribunali. Una catastrofe.
Il più inquietante, però, è il duplice sfregio generale. Troppa parte del nostro Paese non è sotto la sovranità della legge, ma è governato dalla criminalità. L’economia illegale cresce e si struttura, cancellando progressivamente lo Stato. Nel caso della spazzatura napoletana le accuse di collusioni con la camorra, in capo ai governanti locali, sono venute anche dai loro compagni di partito (mi riferisco a Vincenzo De Luca, parlamentare ds e sindaco di Salerno, uno dei possibili candidati per succedere ad Antonio Bassolino). Sono state accuse pubbliche e chiare. Nessuno si è dimesso, nessuno è stato indotto a farlo. C’è la camorra che si è arricchita, con i soldi pubblici, stoccando il pattume su terreni propri, e c’è, con ogni probabilità, la camorra che ha fatto soldi anche nel far sparire la spazzatura. Si potrebbe sostenere, in queste condizioni, che ovunque colpisca la giustizia farà centro, ma il guaio è che non sembra cieca, la giustizia, ma guercia.
Ogni volta si solleva una puzza che non sai mai esattamente da dove arriva, ma lascia la sensazione che tutto olezzi.

5 commenti:

Acchiappabufale ha detto...

Le Bufale di fini :


E GIANFRANCO NEL LIBRO DIMENTICA IL SUO PASSATO FASCISTA E SILVIO



Caro direttore, ho letto anch`io l`ultimo pamphlet di Gianfranco Fini, e condivido in parte l`analisi del Foglio. Questo libro del presidente della Camera rappresenta un ulteriore contributo all`apertura di uno spazio di confronto democratico all`interno del Pdl.

Naturalmente, quando si crea una dialettica politica, ognuno ha il dovere di far valere le sue idee e di sostenere il proprio punto di vista, in uno spirito di solidarietà di partito e di amicizia personale.

la prima cosa nella lettura del nuovo libro di Fini mi ha confermato una convinzione che nutro da tempo, e cioè che la parabola politica e culturale di Gianfranco Fini presenta una certa analogia con quella della tradizione comunista italiana.

Che cosa c`entra - si dirà - la storia del Msi e poi di An con quella del Partito comunista? A prima vista niente. Tuttavia entrambe le esperienze, a dispetto delle radicali diversità - l`esclusione dall`arco costituzionale del primo, e la partecipazione fondante alla Carta repubblicana del secondo - mi pare abbiano affrontato la fine delle ideologie e la scomparsa di schemi dottrinali forti per l`azione politica con la stessa ansia di approdare a un`accettazione della realtà così com`è. Entrambi i partiti ideologici della prima Repubblica, insomma, mi pare siano incorsi alla fine della loro parabola in una sorta di conformismo un po` schiavo della realtà (sia sul piano politico-economico sia su quello bio-etico), senza la capacità di elaborare una autentica riflessione sul proprio passato, che permettesse di superare quella storia senza tuttavia giungere ad abbracciare gli esiti della modernità.

In ogni caso, ciò che mi ha colpito dello sforzo culturale compiuto da Fini è la mancanza di una spiegazione dell`incontro e dell`intreccio della sua storia con quella di Silvio Berlusconi.

Se si considera il fatto che nel libro non compare mai il riferimento all`attuale presidente del Consiglio, potrebbe sembrare che la storia e l`evoluzione di Fini sia semplicemente giustapposta a quella di Berlusconi oppure si ponga, come molti episodi farebbero temere, in alternativa ad essa.

Non è curioso imbattersi in questa rimozione, che s`aggiunge a quella sul fascismo e su altre figure fondamentali nella storia del Novecento italiano? È come se il presidente della Camera si astenesse da una riflessione su quelle vicende fondamentali della vita politica italiana di questi ultimi sedici anni che hanno reso possibile di fatto la sua attuale evoluzione politica.

Questo vuoto nella riflessione di Fini lascia un varco aperto a interpretazioni come quella affacciata da Carlo Galli, secondo il quale il cofondatore del Pdl sarebbe l`espressione di una destra moderna, legalista, egalitaria, consensuale e democratica, in alternativa alla destra caudillistica, populista e autoritaria incarnata da Berlusconi.

In qualche modo il libro avalla questa lettura, almeno per quanto riguarda il versante di una destra che non si riconosce nelle posizioni che il Pdl, nella sua stragrande maggioranza, rispecchia.

Acchiappabufale ha detto...

La mia preoccupazione è che questa scissione - ove esistesse veramente - metterebbe in discussione l`approdo del Pdl, da sempre considerato un soggetto politico unito sul piano dei valori fondamentali e delle prospettive politiche generali.

Come ho osservato in un precedente intervento, si tratta di decidere se vogliamo costruire un partito simile alla Democrazia cristiana, di fatto una federazione di partiti con una classe politica eterogenea ma capace per ciò stesso di intercettare i voti di segmenti diversi dell` elettorato, o se vogliamo invece dare vita a un partito che, pur nella cornice di un confronto democratico, giunga a definire una cultura politica condivisa.

Io sono a favore della seconda ipotesi, del secondo modello di partito, nel quale, come è avvenuto per Forza Italia, un aperto confronto democratico permetta di definire un`identità culturale comune, frutto delle diverse identità di partenza.

Un altro punto sul quale dissento da Gianfranco Fini è la metafora a cui ha più volte fatto riferimento, circa il rischio di un partito che si trasformi in una caserma, a causa dell`assenza di un libero confronto democratico e della mancanza di rispetto per le tesi minoritarie presenti nel partito.

Ritengo questo giudizio quantomeno ingeneroso, poiché tutto si può dire del Pdl, che si è formato da pochi mesi, fuorché sia una caserma. L`unificazione di partiti diversi è sempre stato il processo più difficile nella storia dei partiti politici. Si tratta di progetti che richiedono una leadership riconosciuta e tanto, tanto equilibrio, prudenza e soprattutto saggezza politica.

A me pare francamente che, nonostante inevitabili difficoltà, il processo di costruzione del nuovo partito proceda in modo più positivo e incoraggiante di quanto io stesso non credessi.

Certo, tutti hanno delle responsabilità affinché questo progetto adempia alle sue ambizioni storiche.

In particolare, il ruolo di Fini è determinante per consentire al nuovo partito di istituzionalizzare, come scrivono i politologi, la leadership carismatica di Silvio Berlusconi, cioè di permettere al Pdl di divenire uno degli architravi del nuovo sistema politico dell`alternanza:oggi e nel futuro.

Qui si misurerà anche la lungimiranza di Fini, che può essere uno degli artefici del rafforzamento del nuovo partito oppure la causa del suo possibile fallimento.

Conoscendo le doti politiche di Fini sono certo che egli saprà essere il protagonista di una ulteriore fase di crescita del partito, che tutti abbiamo fortemente voluto.

Per queste stesse ragioni, ritengo che Fini sappia perfettamente che il fondamento della leadership di Berlusconi non risiede in una supposta volontà monarchica, bensì nella sua capacità di guida politica.

Io stesso, che provengo da una esperienza intensamente politica e di partito, ho spesso constatato che la superiorità di Berlusconi rispetto a molti professionisti della politica è consistita nella sua capacità di operare scelte politiche più lungimiranti.

E anche oggi, a dispetto dell`accusa di monarchia o di assolutismo, il fondatore del Pdl è capace di interpretare la cultura liberale di massa (vedi testamento biologico e cittadinanza) con un pragmatismo e un buon senso che spesso difettano in altri esponenti politici.

di Sandro Bondi

Acchiappabufale ha detto...

Dalema candidato come ministro degli esteri europeo, anche da questo governo.
Ricordiamoci di questa Bufala.

«Portai D' Alema a Palazzo Chigi per fare la guerra»
Gli americani e gli inglesi avevano bisogno dell' Italia come portaerei nel Mediterraneo per lanciare la guerra del Kosovo

ROMA - Presidente Francesco Cossiga, senta: tornando alle cronache del 1998, verrebbe da dire che se il Kosovo è riuscito a proclamare la sua indipendenza, un po' del merito è anche suo... «Lei vuol fare della dietrologia, se ho ben capito...». Con il rispetto che si deve a un ex capo dello Stato, naturalmente. «Va bene, così mi piace. Allora: intanto, sgombriamo ogni dubbio. Per mandare Massimo D' Alema a Palazzo Chigi, da dove poi ordinò gli attacchi aerei e terrestri contro i serbi, in Kosovo, non ci furono complotti, tra il medesimo D' Alema, Franco Marini e il sottoscritto». No? «No. Posso raccontarle, tanto ormai è passato del tempo, che, caduto Prodi, per mano rifondarola, l' ambasciatore britannico e il consigliere militare statunitense vennero da me, che all' epoca guidavo un modesto partito di transizione...».

Acchiappabufale ha detto...

L' Udr. «Appunto. Ebbene, i due vennero da me e mi spiegarono lo scenario. Io li ascoltai e...». Sintesi del colloquio, signor Presidente? «La regione dei Balcani sta per esplodere, abbiamo bisogno dell' Italia, la più efficiente portaerei del Mediterraneo». E lei? «Sapevo che erano venuti da me, anche perché io, con i voti del mio partitino, potevo sostituire Rifondazione. E decidere. Così, a quel punto, decisi pure che Massimo D' Alema sarebbe stato il premier giusto. Perciò salii al Quirinale e, in un colloquio di due ore e mezza, lo spiegai al mio successore, Oscar Luigi Scalfaro. Adesso, lasciamo stare che quando uscii...». Cosa? «Ricorderà... certi giornali titolarono: "L' ex capo dello Stato conferisce a D' Alema l' incarico...". Che, poi, tra l' altro...». Che cosa? «Massimo neppure era convinto. Pensi che la mattina dopo, alle 7, suonano alla porta di casa. Chi era?». Escluderei D' Alema... «Infatti. Era Marco Minniti. Che mi spiega le perplessità di Massimo. Ma io lo mando indietro dicendo che non devono esserci perplessità. Che Massimo, in un momento tanto delicato, avrebbe saputo premere di certo i tasti giusti...». Infatti, poi, i piloti dei nostri caccia premettero quelli per sganciare le bombe... «I piloti della Marina, che si alzavano in volo dalla Garibaldi a bordo degli Harrier, si comportarono magnificamente. Come, d' altronde, anche i nostri commando». I commando, scusi, dove? «In Kosovo...». Reparti speciali italiani si infiltrarono in Kosovo? «Esatto. E in divisa da combattimento, ovviamente. Altrimenti, in caso di cattura, avrebbero rischiato d' essere fucilati». Intanto, Armando Cossutta, che pure con il Pdci stava nella coalizione di governo, andava però a trattare con Milosevic... «Guardi, io temo che, ancora oggi, la Sinistra Arcobaleno e pure la Lega di Bossi subiscono la suggestione di una Serbia forte». Serbia forte, come la vorrebbero i nazionalisti in rivolta... «Ma D' Alema è stato abile anche da ministro degli Esteri. Ha riconosciuto l' indipendenza del Kosovo parlando, soprattutto, di ciò che d' importante rappresenta la Serbia. E lì hanno capito. Non casualmente, a quanto mi risulta, la nostra ambasciata a Belgrado era l' unica presidiata dall' esercito locale... mentre le sedi diplomatiche di Usa e Croazia sono rimaste in balia dei rivoltosi». A Belgrado non sono pochi coloro che temono un colpo di Stato. «L' importante è che la Russia smetta di premere sull' acceleratore... parlano di uso della forza... ma non è che necessariamente debbano muovere i carri armati... basta che Mosca infiltri qualche truppa speciale, ben addestrata, tra i rivoltosi di Belgrado, e il disastro è compiuto». Lei è preoccupato, Presidente... «Vede, il Kosovo non poteva che essere dichiarato autonomo, perché certo non era immaginabile che tornasse sotto l' autorità serba. Ora, naturalmente, deve avere la forza di camminare da solo e la Ue bene farebbe, per aiutarlo, a mettere sotto la propria protezione le enclavi serbe... Detto questo...». Lei è sempre puntualmente informato dai nostri servizi di intelligence: i nostri militari schierati, rischiano? «Sa, lì, a differenza che in Afghanistan, almeno da una parte della popolazione sono considerati davvero "Forza di pace"... ma io, come dire? consiglierei ai nostri ragazzi di tenere il dito pronto sul grilletto...».

Roncone Fabrizio

Acchiappabufale ha detto...

Naturalmente nessuno ce l ha ne con D alema ne con Fini in se, e il fatto in se di cambiare idea non è affatto spregevole se fatto con chiarezza, per esempio Lucio Colletti spiegò nei suoi libri queste scelte.
Le 2 storie , come ex pci ed ex msi si possono leggere parallelamente, trovatisi senza legittimazione ideologica hanno rinnegato tutto il loro passato senza approdare a nulla di certo e concreto, vendendosi al miglior offerente e addirittura in imprese criminali , lasciando orfani di idee milioni di elettori.

Quando si cambia campo lo si dovrebbe fare con più chiarezza e rispetto verso i propi elettori.