Per ragioni di pura propaganda la politica s’industria, sempre più spesso, a far sembrare razzisti gli italiani. Che non lo sono. Sia che si ascoltino sparate a protezione della presunta “italianità”, o dell’ambito vernacolare, sia che si mettano in scena scontate e melassose difese dello “straniero”, il risultato è sempre a somma zero: non si affronta alcun problema, ma se ne inventa uno pur di avere spazio sui mezzi di comunicazione.
A questo si aggiunga che si tralasciano quelli veri, che ci sono e li vedremo, per cui si parla sempre delle stesse cose, pestando l’acqua nel mortaio, senza che nulla cambi.
Gli immigrati sono una risorsa. I residenti in Italia sono all’incirca il 7% della popolazione e contribuiscono per quasi il 10% al prodotto interno. Non rubano il lavoro a nessuno, perché svolgono mansioni, e con retribuzioni, non appetibili per la gran parte degli italiani. Un Paese civile ha leggi che regolano l’afflusso degli immigrati. Un Paese saggio fa di più: incentiva l’arrivo di quanti sono maggiormente utili.
Un Paese che tollera l’immigrazione clandestina, quindi la violazione delle proprie leggi, invece, è non solo scassato, ma sta anche gettando legna sul fuoco del rifiuto e dell’intolleranza. Non è difficile capire il perché. La clandestinità, con l’inevitabile corollario dell’illegalità, si scarica sui quartieri meno ricchi, dove vivono gli italiani meno protetti, cui si prospettano altri due svantaggi: il senso di degradazione sociale e la convivenza con il disadattamento dei nuovi arrivati. A questo s’aggiunga, inutile tacerlo, che l’impossibile integrazione dei clandestini porta a fenomeni di prepotenza, quando non di criminalità, ancora una volta gettati sulle spalle dei deboli. Insomma, i travestiti battono per le vie notturne ed offrono i loro servizi ai passanti, ma poi vanno a vivere nei luoghi che la televisione ci ha abbondantemente mostrato. Come credete che stiano le famiglie italiane che ancora si trovano da quelle parti? Pensate siano partecipi del dramma familiare di chi è stato scoperto a pagare migliaia di euro per prestazioni mercenarie, o, piuttosto, siano intenti a fare i conti con i centesimi, sperando di potere portare i propri figli il più lontano possibile? L’ultima cosa che si può dire, a quelle persone, è che siano dei razzisti. Anche perché, qualche volta, sono loro ad essere etnicamente in minoranza.
Dire che i clandestini devono essere respinti non significa affatto sostenere che gli stranieri debbano essere messi alla porta, perché, all’opposto, è razzista pensare che i due gruppi di persone stiano sullo stesso piano, che la devianza debba essere tollerata, compreso il commercio di droga, sol perché praticata da un nero anziché da uno slavato. Noi abbiamo convenienza a che ci raggiunga chi intende lavorare, meglio ancora se qualificato (non ci trovo niente di male in una politica dell’immigrazione che sappia scegliere, come avviene in altri Paesi civili), ma per quelli che intendono delinquere no, ci bastano già i nostri, che non sono pochi.
La tragica condizione della nostra giustizia, la sua incapacità di destinare i colpevoli alla giusta pena, non fa che moltiplicare i disagi ed i drammi. Anche a carico degli immigrati, i quali, se onesti (e lo sono in gran maggioranza), soffrono la presenza di loro connazionali che sono qui per rubare, prostituirsi, spacciare, commerciare illegalmente e variamente industriarsi al servizio del crimine. Ne soffrono perché accomunati a costumi che non sentono affatto propri. Date loro il voto, e state certi che vi ritrovare con una valanga di consensi nel segno di “legge e ordine”.
Il diritto di voto è giusto darlo, ma assieme ai doveri della cittadinanza. Ci sono migliaia d’italiani che studiano e lavorano negli Stati Uniti, come in altre parti del mondo, senza che per questo qualcuno pensi di doverli far votare per scegliere i rappresentanti di un popolo che è tale non solo per nascita, ma per riconosciuti doveri e per avere onorato gli obblighi fiscali. Nessuno di questi italiani si sente discriminato, nessuno solleva problemi di razzismo. Ciascuno, però, se crede, può chiedere la cittadinanza, ottenendone, se ricorrono le condizioni (una delle quali è dimostrare di sapersi e potersi mantenere), anche il passaporto e la scheda elettorale.
In tutti i Paesi civili, Italia compresa, è riconosciuta la libertà di culto, ma in nessuno si piega la vita collettiva ai tempi della ritualità. Anni fa ebbi da ridire con una confessione religiosa (che rispettavo e rispetto) in cui si riconoscevano degli italiani, i quali pretendevano di sospendere il lavoro pubblico quando il loro credo prevedeva di non doversi far niente. No, non si può. Certo, so anch’io che la domenica è festiva (si fa per dire, perché siamo in tantissimi a lavorare anche quel giorno), che ci sono altre ricorrenze a sfondo religioso e che questo è legato al calendario della cristianità, ma è anche legato alla nostra storia, come negli Stati Uniti si festeggia il giorno del ringraziamento o quello di Colombo. Ciascuno ha le proprie, e non possiamo scambiarci le storie. Se sono ospite, insomma, rispetto quelle degli altri, senza per questo sentirmi minimamente coinvolto nella loro presunta sacralità.
Questo è un modo razionale di affrontare la questione, solo che non fa scena, non attira pubblico, richiede più freddezza e ragionamento che accalorati schiamazzi. Non sollecita le tifoserie, ma impone di fare i conti con la realtà. Troppo, me ne rendo conto, per certa politica.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento