venerdì 20 novembre 2009

Psiche e magistratura. Davide Giacalone

Per diventare magistrato, in Francia, si dovrà superare non solo un concorso, ma anche un test psicologico, destinato a mettere in evidenza l’eventualità che il candidato abbia studiato bene, ma non sia dotato dell’equilibrio necessario per svolgere quella funzione. Fra le domande del primo test ce n’è una significativa: “ti senti superiore agli altri?”. Sarebbe stato interessante rivolgere quel quesito anche a chi voleva “rivoltare l’Italia come un calzino”, riteneva rilevanti i processi fatti in piazza, era affascinato da quelli negli stadi cinesi, o voleva esportare nel mondo il modello investigativo del pool milanese.
Non solo da noi quei test non si fanno, ma il Consiglio Superiore della Magistratura assolve anche i magistrati che vanno a fare gli esibizionisti ai giardini pubblici, sostenendo che si tratta di momentanei ed isolati episodi di smarrimento. Chi è privato della libertà in via cautelare (quindi da innocente), chi è giudicato in tribunali che possono cambiargli la vita, come la collettività che a quei tribunali affida il rispetto della legge, preferirebbe evitare che sotto la toga si celi chi, anche se momentaneamente, smarrisce la ragione.
E c’è di più: quando furono proposti, in Italia, si sollevò un’ondata di critiche, come se la loro esistenza fosse un implicito giudizio di follia, o di demenza, in capo all’intera categoria. Servono, invece, ad evitare che degli squilibrati possano accedervi. Aggiungo: a giudicare da diverse dichiarazioni che leggo, rilasciate da magistrati in servizio, si tratta di qualcosa più che non una mera ipotesi.
Anche altre categorie di lavoratori sono sottoposte a questi accertamenti, senza che, per questo, taluno supponga siano matti i piloti d’aereo. Semmai, appunto, si cerca di evitare che degli sbullonati, dei depressi o degli esaltati prendano in mano quei comandi.
Non è questo, lo sappiamo bene, il solo e neanche il principale problema della giustizia italiana. Ancora ieri si è suicidato un detenuto che, semplicemente, non doveva trovarsi in carcere, visto che la scarcerazione era già stata disposta ma nessuno, con un imperdonabile ritardo di un’intera giornata, glielo aveva comunicato. La nostra malagiustizia genera morti, ma anche un esercito di disgraziati che ogni giorno ciondola fra le aule di giustizia, anche solo per testimoniare, e si vede rubate giornate inutili, spesso concluse con rinvii annuali che promettono altre giornate perse. I numeri dello sfacelo gridano la necessità di riforme profonde, che restituiscano giustizia all’Italia e consegnino i colpevoli alla giusta pena. Fra queste riforme, però, non guasterebbe affatto una revisione radicale del mondo in cui i magistrati sono selezionati e di come si dipana la loro carriera.
Siamo convinti che il difficilissimo compito di giudicare merita rispetto e, naturalmente, la tutela dell’indipendenza. Sono cose, però, che bisogna meritare, anche individuando, possibilmente fin dall’inizio, chi non ha i numeri per vestire quella pesante toga.

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