domenica 22 novembre 2009

Sciascia e Camilleri (e Ingroia). Lino Jannuzzi

Andrea Camilleri, l’inventore del commissario Montalbano, non ha trovato di meglio per celebrare il ventennale dalla morte di Leonardo Sciascia che raccontare al cronista del quotidiano delle questure “Il Fatto” che “Leonardo non avrebbe mai dovuto scrivere ‘Il giorno della civetta’”: “Non si può fare di un mafioso un protagonista - afferma Camilleri - perché diventa eroe e viene nobilitato dalla scrittura. Don Mariano Arena, il capomafia del ‘Giorno della civetta’ giganteggia. Quella sua classificazione degli uomini - ‘omini, sott’omini, ominicchi, piglia ’ n culo e quaquaraquà - la condividiamo tutti. Quindi finisce coll’essere indirettamente una sorta di illustrazione positiva del mafioso e ci fa dimenticare che è il mandante di omicidi e fatti di sangue. Questi sono i pericoli che si corrono quando si scrive di mafia. La letteratura migliore per parlare di mafia sono i verbali dei poliziotti e le sentenze dei giudici”. Camilleri non è il primo a fare a Sciascia questa accusa. L’aveva già fatta anni fa Pino Arlacchi, un altro famoso “esperto” di mafia, ma che almeno non andava in giro a raccontare di essere un grande amico di Sciascia.

Il fatto che Sciascia fa dire dal capitano Bellodi a don Mariano mentre lo va ad arrestare: “Anche lei è un uomo”, è la dimostrazione - diceva Arlacchi - che in fondo Sciascia la mafia l’ammira e la stima. In effetti, ne “Il giorno della civetta” è il capomafia don Mariano Arena che, dopo aver diviso l’umanità in quelle cinque categorie, dice al capitano dei carabinieri Bellodi,che è andato ad arrestarlo: “Ma lei è un uomo”... Lei, anche se mi inchioderà su queste carte come un Cristo. lei è un uomo...”. E il capitano Bellodi gli dice: “Anche lei”. E glielo dice - scrive Sciascia nel libro - “con una certa emozione”. E aggiunge: “E nel disagio che subito sentì di quel saluto delle armi scambiato con una capo mafia, a giustificazione pensò di avere stretto le mani, nel clamore di una festa della nazione, e come rappresentanti della nazione circonfusi di trombe e bandiere, al ministro Mancuso e all’onorevole Livigni: sui quali don Mariano aveva davvero il vantaggio di essere un uomo... E quale altra nozione poteva avere del mondo don Mariano se intorno a lui la voce del diritto era stata sempre soffocata dalla forza e il vento degli avvenimenti aveva soltanto cangiato il colore delle parole su una realtà immobile e putrida?”.

Il capitano Bellodi del “Giorno della civetta”è un emiliano di Parma sceso dal nord in Sicilia per combattere la mafia e riesce ad arrestare il capo mafia come mandante di un omicidio, ma gli intrighi dei politici e degli stessi magistrati gli fanno saltare l’inchiesta e tutta la sua accurata ricostruzione dei fatti, il capo mafia torna in libertà e il capitano viene ritrasferito al nord. Nella realtà al capitano dei carabinieri Sergio De Caprio, il famoso “Capitano Ultimo” che ha arrestato il capo della mafia Totò Riina, è capitato di peggio: è stato accusato e processato dalla Procura di Palermo, in prima fila da quel pm Antonio Ingroia che spiega in televisione che bisogna anche processare tutto il governo della Repubblica, per concorso esterno in associazione mafiosa. Ed è indagato e processato per favoreggiamento della mafia e peggio da quindici anni il comandate di De Caprio, il generale Mario Mori, e sempre da Ingroia e dalla Procura di Palermo. E lo stesso autore del “Giorno della civetta”fu pubblicamente processato dagli adepti di Leoluca Orlando, grande amico da sempre dei “professionisti dell’Antimafia”. Come meravigliarsi se a vent’anni dalla morte Sciascia viene processato da Camilleri per aver scritto “Il giorno della civetta”? (il Velino)

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