mercoledì 7 novembre 2007

Quanta retorica sul povero Enzo. Giovanni Cerruti

E meno male che alle otto di sera Paolo Mieli è andato in tv per dire che «Enzo Biagi era poco amante della retorica e dei piagnistei». E Ferruccio de Bortoli, sempre per stare ai direttori del Corriere della Sera, a ricordare che era «uomo di semplicità, rapidità e battuta». Meno male perchè a Biagi morto, e certo non per colpa sua, succede il contrario ed è cominciata la solita, prevedibile, esagerata, noiosa, spesso ipocrita esibizione dello stupidario funebre, con le dichiarazioni che cominciano sempre con le stesse parole: «Con lui scompare...», e vai di retorica. E non può mancare, ovvio, il ricordo dell’ultima telefonata.
Di tutto e di tutti. E già cominciano a girare, come sempre, le frasi dette all’amico, le confidenze, i severi moniti, gli autorevoli insegnamenti, l’imperituro lascito. Leggere, per credere, le vagonate di agenzie stampa. O guardare, come a molti sarà capitato, una qualsiasi tv nazionale. Ieri sera la morte di Biagi ha invaso tg e speciali in seconda serata. Questa mattina sarà materia di litigi attorno all’auditel. Hanno vinto i 12 minuti del Tg1 o i 10 del Tg3, Vespa o Costanzo, Ballarò, Skytg24 o RaiSat? Rai1 ha dato l’handicap a tutte, aveva in studio Bice Biagi, la figlia maggiore che non poteva rifiutare.
Alle tre del pomeriggio, quando alla camera ardente si è presentata Alba Parietti, affranta davvero, si è capito che il lutto privato, la famiglia, gli amici veri, si son dovuti arrendere. Biagi uomo pubblico, Biagi personaggio tv, entra nella spettacolarizzazione della morte e nella banalità della retorica. Lo ricordano le Istituzioni, com’è giusto. Ma poi le agenzie di stampa faranno indigestione di alate frasi di cordoglio che prontamente virano sulla politica e «il famoso editto bulgaro di Berlusconi» (Oliviero Diliberto, segretario dei Comunisti Italiani, da Mosca). «E con lui scompare un pezzo della nostra storia migliore» (Piero Marrazzo, presidente Regione Lazio).
Forse Enzo Biagi non l’ha mai saputo, «ma è sempre stato nel mio cuore, è anche venuto alle mie sfilate» (Giorgio Armani, stilista). «Una volta mi raccontò...» (Pippo Baudo, presentatore). «Ricordo il suo amore per la nostra montagna» (Pierferdinando Casini, leader Udc). «Una volta mi disse...» (Maurizio Costanzo, giornalista). «Ho imparato da Biagi...» (Sergio De Gregorio, Presidente della commissione Difesa del Senato). «Con lui scompare una delle figure storiche del giornalismo» (Paolo Bonaiuti, Forza Italia). Insomma l’importante è esserci. O non esserci, ma farlo sapere: «Sono troppo addolorato» (Michele Santoro, giornalista).
E allora «Grazie Enzo», titola il tg3. O «Ciao Enzo», come si può leggere sui muri di Napoli, manifesti firmati Forza Italia, nientemeno. O «Ciao Direttore», come dice in diretta al Tg4 Emilio Fede: «Mi ha assunto in Rai e mi ha dato la la vita». Poi è arrivato Berlusconi e ne è cominciata un’altra, per tutt’e due.
Questa mattina riapre la camera ardente e ci saranno ancora le tv, lo stupidario, gli amici veri o verosimili che arriveranno per un saluto e una dichiarazione. A uno come Biagi magari scapperebbe un «Ma non avete proprio nient’altro da fare?». In coda, silenziosi, i suoi lettori. Con un fiore, o un grazie. Il miglior addio. (la Stampa)

10 commenti:

Anonimo ha detto...

HO SEMPRE AMMIRATO LA BRAVURA E L'ONESTA' INTELLETTALE DI BIAGI, MA NON HO MAI CONDIVISO LE SUE IDEE.
E NON HO CONDIVISO IL MODO IN CUI LA SX LO HA USATO NELLE TRASMISSIONI TV (VEDI"IL FATTO").
QUESTO PERCHE' SONO CONVINTO CHE, ONESTAMENTE, LA TV PUBBLICA NON DEVE ESSERE DI PARTE.
RENDO OMAGGIO AL CORAGGIOSO PARTIGIANO, AL GRANDE GIORNALISTA, ALLA SUA VITA INTEGERRIMA.
MA RIMANGO NELLA CONVINZIONE CHE LA RAI ESSENDO DI TUTTI DEBBA ACCOGLIERE TUTTE LE IDEE E NON SOLO QUELLE A SENSO UNICO, COME, IN PARTICOLARE, NELLA DEPRECATA GESTIONE ZACCARIA.

maurom ha detto...

Sottoscrivo.

Anonimo ha detto...

ma per piacere... biagi non è stato usato da nessuno.è sempre stato un uomo e un giornalista libero e non ha mai riverito i potenti.se c'è una rai faziosa e scandalosa è quella di vespa e di mimun.
incredibile poi che proprio voi,fans di forza italia,diciate queste cose,considerato che il direttore di raiuno è un ex deputato di fi,nominato in quella posizione dal partito.la rai del cdx è stata molto più faziosa e di parte di quella del csx.

Anonimo ha detto...

da "Il giornale"
Enzo Biagi non fu mai allontanato né cacciato dalla Rai, come lui stesso ha sempre ammesso. Tantomeno fu allontanato a seguito di un oscuro editto bulgaro. La parziale e volontaria dipartita di Biagi non è coincisa con nessun regime né alcuna censura, come lui ha pure ammesso in diverse interviste anche reperibili in rete.
Minuti d’oro
La vicenda parte nel 2001, quando nella televisione pubblica c’era un anziano collaboratore di 82 anni, Biagi, che conduceva una trasmissione che si chiamava Il Fatto e che aveva almeno due problemi: uno di palinsesto e uno politico. Il primo è questo: il programma di Biagi non andava certo male per essere un prodotto giornalistico, pur extralight, ma andava in onda nella fondamentale fascia pre-serale e perdeva parecchi punti rispetto a Canale5, che vantava e vanta l’imbattibile Striscia la notizia. In un periodo in cui peraltro la Rai veniva accusata di fiancheggiare Mediaset, c’era il problema di non perdere vagonate di incassi pubblicitari durante il programma di Biagi, dunque di ricollocarlo per inventarsi qualcos’altro al suo posto.
Ovviamente non era impresa da poco, anche perché Biagi era un’istituzione, un signore in Rai da 41 anni con un contratto del valore di due miliardi di lire: in sei minuti guadagnava quello che in due ore guadagnava Bruno Vespa e questo al lordo di un ufficio privato e di una redazione. Non è che si potesse spostarlo con un tratto di penna, sicché ci lavorarono per un po’: sinché il direttore di Raiuno Fabrizio del Noce e il direttore generale Agostino Saccà proposero e trovarono infine un accordo con Biagi (lo trovarono, ripetiamo) che prevedeva questo: un programma biennale di dieci speciali in prima serata e altre venti puntate storiche in seconda serata; il tutto con l’aggiunta di un altro miliardo ai due che Biagi già percepiva annualmente. Non pareva male, e infatti Enzo Biagi indisse una conferenza stampa l’11 aprile 2002 (occhio alle date) e annunciò che gli andava benissimo, pur senza privarsi di qualche sarcasmo tipico suo: «Non ho problemi di orario, posso fare un programma anche a mezzanotte, magari mettendo una piccola nota di pornografia. Non c’è problema, sono un signore che fa questo mestiere da tanti anni».
La fine del «Fatto»
Non fosse chiaro, Biagi l’11 aprile 2002 ha già deciso di non fare più Il Fatto se non sino alla scadenza contrattuale del 31 maggio. Il particolare non da poco è questo: in quella data non c’è ancora stato nessun cosiddetto editto bulgaro. Non-c’è-stato. Quello che c’era da tempo, ed eccoci al secondo problema, era una questione politica. Enzo Biagi, in un periodo di elezioni, parteggiava apertamente per Romano Prodi, avversario di Silvio Berlusconi, o più spesso avversava Silvio Berlusconi e basta. Biagi non ha mai negato neanche questo. È rimasto celebre il caso del 10 maggio 2001: Biagi, a ridosso del voto, si era portato in trasmissione Roberto Benigni e lo show era stato a senso unico: «Non voglio parlare di politica, sono qui per parlare di Berlusconi. Il contratto di Berlusconi ormai è un cult, la cassetta lì l’ho registrata, l’ho messa tra Totò e Peppino e Walter Chiari e Sarchiapone».
Il caso Luttazzi
E se un anziano aveva invitato un celebre comico, due mesi prima un comico aveva invitato un giornalista: Daniele Luttazzi aveva chiamato Marco Travaglio a Satyricon (Marzo 2001) e quest’ultimo aveva parlato di rapporti tra Berlusconi e mafia e stragi, tutte vicende archiviate o infondate, sinché Luttazzi aveva congedato Travaglio in questo modo: «In questo paese di merda tu sei uno che ha coraggio». Anni dopo, a Travaglio mancherà tuttavia il coraggio di scusarsi, visto che non una delle accuse amplificate in quella trasmissione (teoricamente comica) è rimasta in piedi. In ultimo il caso de Il Raggio verde di Michele Santoro, trasmissione che al di là degli strali del centrodestra era stata giudicata squilibrata nei confronti di Forza Italia dall’Authority delle Telecomunizioni (invenzione del centrosinistra), ma ora non perdiamoci. Il punto è che ciò nonostante, come stra-detto, l’11 aprile 2002 Biagi aveva preso decisioni autonome di concerto con l’azienda. Il celebre editto di Sofia fu il 18 aprile successivo, quando Silvio Berlusconi a domanda rispose che «Santoro, Biagi e Luttazzi hanno fatto un uso della televisione pubblica, pagata con i soldi di tutti, criminoso; credo sia un preciso dovere della nuova dirigenza Rai di non permettere più che questo avvenga». Berlusconi, anni dopo, si dichiarerà pentito dell’espressione «criminoso» perlomeno riferita a Biagi, che avrà anche modo di elogiare ricambiato: resta che dal famoso editto parte la leggenda di un’epurazione quantomeno singolare per modalità. Cioè: Silvio Berlusconi, che ha vinto le elezioni e aveva dunque cambiato il consiglio di amministrazione Rai (come aveva fatto l’Ulivo e come lo farà Prodi, perché è la regola), si mette a fare epurazioni scegliendo di rispondere a una domanda di un giornalista formulata in Bulgaria.
Il ripensamento
Peraltro da principio non cambiò nulla. Enzo Biagi proseguì il suo programma sino alla prevista chiusura del 31 maggio 2002: fu solamente dopo che decise di non accettare (più) una proposta che pure aveva accettato informalmente. Difatti, ricevuta la bozza del contratto, improvvisamente la rimandò indietro: «Non sono un uomo per tutte le stagioni». Ormai il caso Biagi/Santoro più l’imbucato Luttazzi era esploso e Biagi, volente o nolente, per la sinistra era divenuto un santino da parabrezza. A Biagi, comunque, fu fatta un’altra offerta: il direttore di Rai Tre Paolo Ruffini gli propose di rifare Il Fatto sulla sua rete, e questo su preciso mandato del Consiglio di amministrazione Rai.
Perché disse di no? Probabilmente perché la collocazione di palinsesto, prevista dalle 18,53 sino alle 19, ossia all’inizio del Tg3, a Biagi non andava bene: questo scrissero i giornali. Economicamente parlando, poi, l’offerta fu giudicata da Biagi «differente da quella relativa a Il Fatto». Come è noto, Biagi anni dopo cambierà idea su Rai Tre e vi condurrà Rt - Rotocalco televisivo. Ma al tempo, tornando agli albori del 2003, l’unica trattativa che Biagi accettò con gioia fu quella per la transazione economica che lo vide separarsi dalla Rai, operazione, parole sue, «effettuata con il pieno consenso dell’interessato e con di lui piena soddisfazione». Biagi ottenne una buonuscita di un milione e mezzo di euro e il 3 gennaio 2003 rilasciò questa dichiarazione all’Ansa: «Non sono stato buttato fuori, al contrario ho raggiunto di mia iniziativa un accordo pienamente soddisfacente che gratifica sotto tutti i profili, morali e materiali, i miei 41 anni dedicati alla Rai».
Ma il polverone continuerà imperterrito. La strumentalizzazione di Biagi gli impedirà di rendere armonico il proprio fisiologico accomiatarsi, faticherà a restituirgli quell’argentea serenità che nei suoi ultimi giorni, per fortuna, pare aver ritrovato. In Rai ci penserà il grande semplificatore, Adriano Celentano, a esordire con RockPolitik spiegando che «tutto è cominciato il 18 aprile 2002», appunto l’editto di Sofia. È il giorno in cui Michele Santoro si materializza come dall’oltretomba: viva la fratellanza, viva la libertà, viva la tredicesima. Ma non è ancora il giorno, orribile, schifoso, in cui l’Unità sia riuscita a scrivere: «Gli attacchi al lavoro di Biagi hanno coinciso con la morte della moglie e della figlia. Togliendogli il lavoro hanno infierito sul suo dolore e alla fine lo hanno stroncato». È successo ieri. Orribile. Schifoso.

Anonimo ha detto...

"a Travaglio mancherà tuttavia il coraggio di scusarsi, visto che non una delle accuse amplificate in quella trasmissione (teoricamente comica) è rimasta in piedi."
le solite puttanate tratte da un quotidiano "autorevole": IL GIORNALE,direttore Giordano (quasi quasi rimpiango Belpietro)

puttanate perchè le notizie riportate da Travaglio sono state prese dai processi e nulla è stato inventato, tanto è vero che i processi per diffamazione hanno visto condannato al pagamento delle spese legali la parte istante

http://www.marcotravaglio.it/Sentenza%20n.%2027061%20del%202005.pdf

(leggere please)

altro discorso è che i processi non abbiano portato a nulla!!

Travaglio=giornalista libero
che ha il coraggio di dire i fatti

mentre si sa...Giordano e gli altri camerieri di Arcore lavano i piatti e l'argenteria

Anonimo ha detto...

http://www.marcotravaglio.it/Sentenza%2046811-02.pdf

e questa è un'altra sentenza che condanna Silvio per il libro l'odore dei soldi

ma certo queste non vengono pubblicate da "il giornalino" di paolo berlusconi

Anonimo ha detto...

che quelli di travaglio fossero una copiatura degli atti di accusa lo sapeva anche il gatto.
-l'atto di accusa non è una condanna
-se lo si usa per fini politici non è certo una sentenza, ma una strumentalizzazione
-specie se diffusa in periodo elettorale
-specie tramite RAI che è (dovrebbe essere) organo di informazione pubblico e non strumento propagandistico elettorale (di una sola parte politica)
-sotto la gestione Zaccaria se ne è fatto uso politico scandaloso.

Anonimo ha detto...

non era a fini poliici e non era durante il periodo elettorale...
l'unica cosa veramnete criminosa e illiberale è l'uso che forza italia fa di mediaset per farsi propaganda:non esiste nulla di simile nei paesi occidentali.
quelli che parlano di uso di parte della tv pubblica pensino a bianchi,ex ufficio stampa di fi,messo da fi al posto di biagi, che il giorno prima delle europpe del 2004,fece un'intravista in ginocchio al cavaliere.
altro che biagi.le menzogne dette ieri da berlusconi sul proprio comportamento sono disgustose e la dicono lunga sull'uomo e sul politico.

Anonimo ha detto...

i camerieri di Arcore sempre in agguato...quanto vi paga per essere "liberi"?

Anonimo ha detto...

Caro Enzo, non vorrei disturbare il tuo secondo gior­no di Paradiso, anche perché ti immagino lì af­facciato sulla nuvoletta in compagnia delle tue adorate Lucia e Anna e dei tuoi amici Montanelli e Afeltra.

Ma, se vuoi farti qualche sana risata, dai un'oc­chiata a quel che sta accadendo in Italia intor­no alla tua bara, perché ne vale la pena. Berlu­sconi è fuori concorso: ieri ha ringraziato l'Uni­tà per aver riportato il testo dell'editto bulgaro in cui ti dava del «criminoso» e ordinava ai suoi servi furbi di cacciarti dalla Rai. «L'Unità - ha detto - finalmente mi ha reso giustizia». Dal che puoi dedurre quale sia il suo concetto di giustizia. Poi ha rivelato che l'editto bulga­ro non c'è mai stato.

Ma, a parte il Cavaliere che ormai appartiene all'astrattismo, o al futurismo, ci sono tanti colleghi che, appena saputo della tua morte, han ritrovato la favella sul tuo conto, dopo un lungo silenzio durato sei anni, e han cominciato a parlare a tuo nome.

Marcello Sorgi - chi non muore si rivede - ha scritto sulla Stampa che «il maggior dolore di Biagi, nel 2002, all'epoca dell'editto» bulgaro, non fu l'editto bulgaro medesimo, ma «il ritrovarsi nel calderone berlusconiano dei reietti insieme con Santoro, Freccero, comici come Luttazzi e la Guzzanti e così via». Gentaglia, insomma. Non ricorda, il poveruomo, che tu eri orgoglioso di quella compagnia, come hai ripetuto mille volte nei tuoi ultimi libri e nelle tue dichiarazioni, al punto di farti intervistare per due ore da Sabina per il film «Viva Zapatero» e di intervistare Luttazzi all'inizio della tua ultima avventura televisiva. Poi ci sono Feltri e Cervi, che approfittano della tua dipartita per dire che in fondo, tra te e il Cavaliere, è finita pari e patta. «Biagi l'ha fatta pagare ai suoi detrattori e loro l'hanno fatta pagare a lui», anzi «Biagi e Berlusconi si somigliano». Cervi, sul Giornale che ti ha insultato per sei anni di fila raccontando che te n'eri andato volontariamente dalla Rai per intascare una congrua liquidazione, riconosce spericolatamente che «Berlusconi ha sbagliato», ma pure «Biagi aveva ecceduto»: uno a uno, palla al centro. Anche il nostro amico Michele Brambilla, purtroppo, scambia le cause con gli effetti, non distingue il lupo dall'agnello e domanda a chi osa rammentare chi e come ti ha rovinato gli ultimi sei anni di vita: «Ma perché tutto questo rancore?». Parla addirittura di «uso politico della morte», come se non fosse proprio chi ti ha voluto e fatto tanto male a usare la tua morte per minimizzare l'accaduto o addirittura negarlo o comunque raccontarlo a modo suo, profittando del fatto che non puoi più smentire certe frottole. Brambilla cita una frase di Paolo Mieli: «Non credo che Enzo avrebbe voluto essere ricordato per quell'episodio». Strano: ci avevi dedicato gli ultimi tre libri (l'ultimo, scritto con Loris Mazzetti, s'intitola «Quello che non si doveva dire») e ne parlavi sempre come della peggiore violenza che tu avessi mai subito nella tua vita, peggio di quella della Dc che ti silurò dal tg Rai nei primi anni 60 e di quella di «Artiglio» Monti che ti cacciò dal Resto del Carlino.

Così il diktat bulgaro viene ridotto a incidente di percorso, a sfogo momentaneo, peraltro giustificato dalle tue «esagerazioni» (avevi financo intervistato Montanelli e Benigni). E nessuno ricorda che ancora un anno fa l'amico Silvio, quello che ti stimava tanto, non contento di averti fatto licenziare dalla Rai, chiese di farti fuori anche dal Corriere: «È una vergogna che un giornale come il Corriere della Sera ospiti i rancori di un vecchio rancoroso che ce l'ha con me» (Ansa, 21 maggio 2006).

Per fortuna è rimasto in vita qualche tuo vecchio amico di buona memoria, come Sergio Zavoli, che ha ricordato come la tua «prova più ardua e iniqua» sia stata proprio l'editto bulgaro. Ma è uno dei pochi. Era già accaduto al vecchio Indro, anche lui come te troppo generoso per aggiungere al testamento la lista delle persone che non avrebbe voluto alle sue esequie (lui però, forse presagendo l'affollamento di coccodrilli e paraculi attorno al feretro, diede disposizione di non celebrare alcun funerale). Prima di salutarti, caro Enzo, ti segnalo un'ultima delizia: Johnny Raiotta, quello del Kansas City, ha chiuso lo speciale Tg1 a te dedicato con queste parole: «Biagi fu cacciato dal tg dopo pochi mesi, io al Tg1 sono durato già il doppio. In qualche modo, l'Italia migliora...». Che vuoi farci, è l'evoluzione della specie.