E’ per via del coraggio mostrato da quel centinaio di marinai della fregata Grecale della marina militare italiana, rimasti a terra nel porto di Colombo (Sri Lanka) in aiuto della popolazione locale esposta a un possibile tsunami dopo il terremoto dell’11 aprile scorso nell’oceano Indiano, che una fonte d’intelligence di quel paese si è decisa a confidare al Foglio alcuni risvolti inediti sulla vicenda dei due Marò da mesi detenuti a Kerala con l’accusa di omicidio. “I vostri Marò – sostiene la fonte – sono innocenti e non c’entrano nulla con l’uccisione dei pescatori indiani del St. Antony. La storia è un’altra e ben nota tra gli uomini di mare dello Sri Lanka. Gli stessi che, quotidianamente, hanno a che fare e si scontrano con i pescherecci indiani dediti alla pesca di frodo sconfinando nelle nostre acque territoriali”.
Ed è ciò che avrebbe fatto anche l’equipaggio del peschereccio St. Antony, nei giorni precedenti quel tragico 15 febbraio, “avventurandosi scientemente – continua il nostro interlocutore – dove sapevano di potere essere attaccati e depredati da altri pescatori loro connazionali o di nazionalità diversa”. D’altro canto i dati su una simile realtà parlano chiaro. Centinaia sono i pescatori indiani rimasti uccisi durante le loro incursioni in acque cingalesi sfidando la sorte e la dura repressione della pesca di frodo, soprattutto di quella a strascico, da parte delle autorità dello Sri Lanka costrette a sopportare, ogni anno, danni per milioni di dollari. “Di contro – afferma la fonte – nulla viene fatto, sotto la pressione delle potenti associazioni che rappresentano quasi due milioni di pescatori indiani, dal governo di Kerala per impedire le scorrerie e lo scempio sin qui descritti. Solitamente, quando muore qualcuno dei loro pescatori, si limitano ad addossare la responsabilità alla nostra marina militare o a nostri pescherecci e non anche a indagare nel contesto della sanguinosa faida interna ai gruppi criminali che controllano la pesca di frodo”. Ci sarebbe stata, dunque, una vendetta tra gruppi criminali all’origine dello scontro a fuoco che ha coinvolto il St. Antony. “L’equipaggio indiano – aggiunge la fonte singalese – è stato attaccato e depredato del pescato in una delle aree più frequentate e pericolose dell’oceano Indiano. Alcuni nostri pescatori raccontano di avere assistito alla scena e sono quasi certi che l’imbarcazione avvistata dalla nave italiana, con a bordo i Marò, potesse essere proprio quella degli assassini tra l’altro armati di tutto punto. Gli stessi, a quanto sembra, che avrebbero imbeccato la polizia indiana per coprire le proprie responsabilità”.
Ecco il magma criminale che starebbe tentando di risucchiare le vite innocenti dei due Marò, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, con le accuse infamanti di omicidio e associazione a delinquere. Da qui il suggerimento discreto e quasi imbarazzato della nostra fonte: “In una situazione del genere è un suicidio usare il solo guanto di velluto della diplomazia. Da subito bisognava sporcarsi le mani affidando ai vostri servizi di intelligence il compito di infiltrarsi negli scomodi ambienti dove risiedono persone e testimoni a conoscenza di come si sono svolti veramente i fatti. A partire dai pescatori singalesi che non hanno dimenticato il gesto coraggioso dei marinai della Grecale”. (il Foglio)
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento