Raffaele Lombardo non esce di scena, semmai recita la scena madre per provare a tasformarsi da saltafossi della politica e scavabuche dei bilanci in terrapieno di potere. Quello che meno si vede e più conta. Sconfiggere quest’ultima messa in scena servirà a far ripartire la Sicilia e restituire dignità ai siciliani. A tal proposito mi preme riprendere un’osservazione fatta ieri da Maurizio Belpietro, spietatamente realista: con le urne alle porte nessuno taglierà la spesa regionale, anzi, se possibile la si farà crescere, come lubrificante elettorale. Tagliare, scrive il direttore, non è popolare. Tutta qui la sfida, in Sicilia come in Italia: far comprendere che tagliare è degno di tripudio, perché significa ripristinare le condizioni della ricchezza e della crescita, non solo economica.
Le dimissioni di Lombardo lanciano la Sicilia verso le elezioni di ottobre. Non c’è una sola ragione al mondo per rimpiangere l’amministrazione uscente, che dai posteri sarà ricordata per le stesse ragioni note ai contemporanei: trasformismo e clientelismo. I governi di Lombardo lasciano un equanime responsabilità alle parti politiche, visto che furono figliati dall’Udc, portati alla vittoria dal Pdl e tenuti in piedi dal Pd. Lombardo non si lascia innocenti dietro le spalle, che se proprio non è un risultato entusiasmante, quanto meno è ragguardevole. Il tema, da qui in poi, è uno solo: rompere con questo passato.
Le elezioni siciliane avranno un valore nazionale, per tre ragioni. La prima: quel che serve è un cambio di classe dirigente, non solo di governo. Ne è ben consapevole Antonello Montante, presidente della confindustria siciliana, che ha detto: “Bisogna sganciarsi dai vecchi marchi dei partiti, che brandiscono la bandiera autonomista come una clava contro ogni ipotesi di rinnovamento della politica e della società”. Giusto, si tratta di passare dalle parole ai fatti. In Sicilia, come nel resto del Paese, non è più tollerabile, né più tollerato, che sempre gli stessi facciano tutte le parti in commedia: governo, opposizione e anche opposizione a sé stessi. Non è più sostenibile un’economia assistita, che impoverisce e annienta quella capace di competere.
La seconda ragione ha a che vedere con i partiti: ripresentandosi quali sono vanno incontro alla rovina. La logica dei sistemi elettorali è che almeno uno vinca, il che accadrà, ma sarà trionfo illusorio, se costruito grazie alla disaffezione e alla rassegnazione degli elettori. Quindi non basta che candidino alla presidenza della regione qualche anima bella, perché serve la forza d’animo che porti a riconoscere e correggere gli errori commessi. Senza rotture con il passato non si costruisce nulla e si va incontro al commissariamento, che se non di diritto s’incarna in una perdita di fatto della sovranità (avventura già in corso, a livello nazionale).
La terza ragione consiste nel fatto che in Sicilia, come in Italia, non servono solo facce nuove, ma anche idee e sogni nuovi. Ce ne sono, la Sicilia e l’Italia ne sono ricche, se solo non soffocati dai fantasmi del passato e dagli zombie del presente. Si tratta di vedere se esiste un elettorato d’opinione capace di sostenere una simile offerta politica o se, invece, la stragrande maggioranza degli elettori continua a essere drogata dalle promesse della spesa pubblica, anziché allettata dalla liberazione dei meriti privati. Se pensa ancora di potere avere, non accorgendosi che sarà costretta a dare assai di più. Se esiste l’orgoglio di chi voglia essere padrone del proprio futuro o se prevale il desiderio (illusorio) di mettere a carico d’altri il proprio presente. Le classi dirigente indecenti durano poco, se il Paese che rappresentano è migliore.
Lombardo è riuscito a mettere nel sacco i supponenti capi della maggioranza e a dare una lezione ai professori, sul tema del rapporto fra bilancio e potere politico. Se tale abilità portasse ricchezza alla collettività i siciliani avrebbero di che esserne orgogliosi, ma porta privilegi solo agli amici e agli amici degli amici, a quanti collocano negli enti regionali la loro incapacità professionale, a quanti segnano il trionfo burocratico della promozione quale preludio della rimozione. Lombardo è l’eroe di tutti costoro, al cui consenso si uniscono quanti sperano, con afflato plebeo, di poterne a loro volta godere. Ma non accadrà, mentre, purtroppo, a farne le spese sono i figli disperati di un’isola impoverita, i tanti che non entrano e non entreranno nel mondo produttivo, come i figli disprezzati che avrebbero potuto avere qui il successo che cercarono e cercheranno altrove.
I pregiudizi del nord verso il sud sono come i motteggi del sud verso il nord: puro folclore. Vanno bene per riderne. Guai, però, a non trovare un numero significativo di siciliani capaci di credere e lavorare per una Sicilia diversa, capace di mettere le ali. Non temo i leghismi (la Lega, poi, si alleò con Lombardo!), ma i siciliani che legano l’isola al passato.
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