mercoledì 29 agosto 2012

Il "Corriere" ci dice perché l'Italia fallirà. Gianni Pardo

Il professore e giornalista Giulio Sapelli scrive oggi sul “Corriere della Sera” un saggio tanto breve quanto importante per spiegarci perché l’Italia non solo non uscirà dall’attuale crisi economica, ma finirà con l’affondare nella miseria.

Naturalmente non si esprime in questi termini: il “Corriere” non vuole mai essere catastrofico. Tuttavia, se si dice con gentilezza «il tale malato è affetto da un male cui fino ad ora nessuno è sopravvissuto più di tre mesi» è come se si dicesse «quel poveraccio è condannato a morte». Il senso non cambia.

Sapelli scrive un inno ai minatori del Sulcis che attualmente hanno occupato la miniera e il titolista così riassume il suo pensiero: “Ecco perché hanno ragione quegli operai coraggiosi”. L’articolo è un appassionato ditirambo in lode di questi eroi del lavoro. Vengono ricordati i minatori scozzesi (“Coal is my life”) e quelli asturiani (politically correct, infatti viene ricordato che erano antifranchisti: “El carbone es mi vida”). Per il giornalista questa è «la professione più antica del mondo», dimenticando che di solito è un’altra, che è meglio non ricordare. E infine: «scendere nelle viscere della terra, affrontare la carenza d'aria, l'oscurità, la paura, implica un coraggio da primato». Se è un primato, è un primato condiviso da molte migliaia di persone; per l’oscurità, esiste l’illuminazione; per l’aria, non si vede perché debba mancare; insomma forse Sapelli avrebbe fatto meglio a parlare del caldo, quello sì difficile da combattere. Ma sono soltanto alcuni passaggi.

La vicenda del Sulcis – continua il giornalista, agitando il flabello – «è un esempio di riattualizzazione della tradizione della fierezza del mestiere... quelle donne e quegli uomini sono degli eroi: gli ultimi interpreti di una civiltà del lavoro. Essa supera lo sfruttamento capitalistico e le differenze sociali perché è un patrimonio etico universale. Supera le stesse regole economiche anche se queste continuano tuttavia ad agire». Dopo una tirata di cui Demostene sarebbe stato orgoglioso e spentosi il fragore degli applausi (soprattutto udendo le parole “sfruttamento capitalistico”) ci si può chiedere se il concetto di “superamento delle stesse regole economiche” significhi che, dinanzi a donne e uomini del genere, due più due non faccia più quattro. E del resto, come potrebbe l’aritmetica permettersi di resistere a una miniera che «è stata teatro di gloriose lotte operarie condotte con intelligenza politica e straordinaria responsabilità»?

Ecco perché l’articolo di Sapelli è prezioso. Ci spiega perché l’Italia non uscirà mai dai suoi guai. Se la crisi è dovuta ad uno sbilancio tra uscite ed entrate, e se si cerca di contrastarla con i comizi e con gli inni, avremo tanta possibilità di tirarci fuori dal fango quanta ne ha un elefante paralitico.

La mentalità che traspare da questo articolo ci condanna senza appello: essa pretende di tenere aperta un’impresa che opera in deficit facendo ripianare la differenza ad altri lavoratori, solo perché “pare brutto” licenziare dei padri di famiglia; e certo, bello non è: ma se l’economia passa dopo la politica, dopo la morale, e persino dopo la retorica, non usciremo mai dalla crisi. Potendo bisognerebbe rendere quella miniera capace di produrre profitti, non perdite. E se questo fosse impossibile bisognerebbe offrire a quei padri di famiglia un lavoro, magari con una paga dimezzata, purché in un’impresa che faccia profitti. Cioè cambiare modello economico.

Ma cambiare modello produttivo, divenendo concorrenziali sul piano planetario, non è politicamente corretto. Non è conforme agli ideali di Sapelli. E oggi come oggi è impossibile spiegarlo a dei poveri operai illusi dai sindacati. Non si possono licenziare gli eroi. Meglio dargli una paga a spese dei contribuenti oppure aumentando il debito pubblico e affondando tutti insieme.

Ma forse stiamo calunniando un valoroso professionista. Non solo infatti egli riconosce che, attualmente, la miniera opererebbe in perdita ma fornisce la soluzione del problema: «Un'alternativa più praticabile esiste ed è quella percorsa in Europa in tutte le aree ad antichissimo insediamento carbonifero: la trasformazione dei siti in complessi culturali ed espositivi secondo i canoni dell'archeologia industriale, disciplina in cui noi italiani siamo maestri». Basta trasformare tutti i minatori in guardiani di un museo del carbone sotterraneo e vedremo navi intere di turisti precipitarsi da tutto il Mediterraneo per vedere questa meraviglia. Prenotarsi in tempo. (il Legno storto)

Nessun commento: