La storia dell’acciaieria Ilva a Taranto è ormai un caso incredibile. Il governo ha approvato un piano per risanare l’azienda assicurando la continuità della produzione e il mantenimento dell’occupazione, la magistratura non ci sta ed emette un provvedimento che ordina il risanamento e la chiusura dell’area a caldo. Trattandosi di un’acciaieria e non di un macello, significa dire addio alla fabbrica e a ventimila posti di lavoro. Siamo di fronte a un caso unico in Occidente, uno spot meraviglioso per gli investitori esteri.
Chi voleva venire con i suoi capitali in Italia, se ne starà al largo. Non si fa impresa in uno Stato dove l’attività può essere compromessa dal primo magistrato che si alza e interpreta a suo modo il ginepraio del diritto italico. Sono cose che accadono solo dove ci sono le dittature, dove i regimi non conoscono equilibrio tra i poteri, dove un satrapo si alza la mattina e decide che tutto ciò che è privato da quel momento è pubblico. D’altronde, i manager e la famiglia Riva sono già stati colpiti dall’arresto. Tutto questo accade senza che nessuno - ribadisco, nessuno - abbia il coraggio di dire pienamente che tutto questo è fuori non solo dalla ragione e dal buonsenso, ma è contrario allo spirito della nostra Costituzione. Articolo 1: l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. Il caso dell’Ilva è uno sfregio al primo punto della nostra Carta Fondamentale. Si invoca la Costituzione per difendere i diritti dei polli, ma a quanto pare gli operai dell’Ilva valgono meno. Conosco i problemi legati alle emissioni delle acciaierie e dell’industria pesante in genere. Ribadisco quanto scritto qualche settimana fa: produrre acciaio inquina. E la scelta è solo una: la fabbrica deve restare aperta o no? Finché la magistratura emetterà ordini di custodia cautelare in cui viene colpevolizzata «la logica del profitto», è chiaro che non si andrà lontano e la nostra politica industriale - che per ora non c’è e temo non ci sarà per lungo tempo - sarà poco più di un esercizio accademico. Siamo seri, in Italia fare impresa in queste condizioni è una follia. Secondo uno studio di Mediobanca un imprenditore guadagna di più investendo in Btp piuttosto che nella sua azienda. Pressione fiscale, burocrazia, corruzione e ora anche i tribunali ideologici, sono una zavorra che fa colare a picco qualsiasi impresa. L’Ilva è la più grande acciaieria d’Europa e con questa vicenda è diventata anche il simbolo di una giustizia che pretende non di far rispettare la legge ma di decidere la politica industriale di un Paese. E il governo? Troppo timido. Caro Monti, questo non è un tema che si può lasciare alla sola opera (buona, tra l’altro) del ministro dell’Ambiente Clini. Uno statista, su un tema così importante, ci mette la faccia. (il Tempo)
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