L'Italia è di fronte a una scelta decisiva: continuare a sopportare lo spread assai alto che sappiamo (e che domani potrebbe essere ancora più alto), ovvero chiedere l'intervento del fondo salva Stati. La conseguenza nel primo caso sarebbe un declino economico certo. Ma ancora più grave sarebbe la conseguenza nel secondo caso, e cioè - in forza delle condizioni che accompagneranno l'aiuto della Bce, volute dalla Germania e da altri Paesi forti dell'eurozona - un vero e proprio commissariamento del governo italiano attuale e di quelli successivi. Che dunque sarebbero obbligati per anni ad attenersi a una serie di direttive dettate dall'esterno. Insomma, una radicale perdita di sovranità da parte della Repubblica.
È la conferma di un dato drammatico che la crisi dell'euro sta sempre più mettendo in luce: vale a dire che a distanza di circa sessant'anni dalla sua origine, e al di là di ogni apparenza formale, nell'ambito dell'Unione Europea non esiste alcun organo realmente sopranazionale, neppure la Banca centrale europea. Non esiste cioè alcun organo che in materie rilevanti possa - ispirandosi a un interesse collettivo o comunque a suo insindacabile giudizio ritenuto tale - decidere indipendentemente dalla volontà dei governi dei singoli Stati. Per esempio, stabilendo di distribuire con una certa equanimità fra tutti i membri i costi e i benefici delle sue decisioni. In queste condizioni l'euro è solo formalmente una moneta «europea», adottata su base paritaria e concordata: come i suoi padri s'illudevano che fosse. In realtà, essendo una moneta «unica» che alle spalle non ha però alcuna unità (nessuna unità vera, cioè politico-statale: la sola che conta per le classi politiche chiamate a rispondere a degli elettorati nazionali), esso è destinato inevitabilmente, alle prime difficoltà, a divenire qualcos'altro. E cioè il semplice paravento dietro il quale si manifestano, insopprimibili, i tradizionali contrasti e rivalità tra gli Stati.
Peggio: l'euro diviene un arma insidiosissima nelle mani dei Paesi economicamente più forti contro quelli più deboli. Infatti, nei tempi di tempesta la coesistenza da un lato di autonome individualità statali, e dall'altro della moneta unica, rischia di sortire il virtuale effetto, prendendo a motivo i vincoli «unitari» che questa comporta, di spezzare il nerbo degli Stati di serie B. Trasformandoli di fatto in autentici Stati vassalli. L'autonomia del «politico» si prende in tal modo la più beffarda vendetta a spese dell'immaginario primato dell'economia sul quale tutta la costruzione europea è stata edificata.
Ma ciò detto, va aggiunto subito dopo che quanto sta accadendo pone all'Italia, mi pare, tra le tante, anche una delicatissima questione di costituzionalità (e a mio giudizio sarebbe stato bene che non si fosse posta oggi per la prima volta: sennonché la nostra Corte Costituzionale, per ragioni che ignoro, non ha mai ritenuto di dovere imboccare quella via di rigida salvaguardia della sovranità nazionale nei confronti della costruzione europea che invece ha imboccato a suo tempo la Corte Costituzionale tedesca; dalle cui decisioni, così, anche noi finiamo oggi grottescamente per dipendere).
Nella nostra Carta, infatti, esiste un articolo 11 secondo il quale l'Italia può consentire alle limitazioni di sovranità ma «in condizioni di parità con gli altri Stati», ed evidentemente solo a queste condizioni. Non sembra allora inappropriata la domanda: quali mai «condizioni di parità» sarebbero garantite nell'eventuale cessione di sovranità alla quale ci vedessimo costretti in base alla richiesta di aiuto alla Banca centrale europea? Qui si tratta evidentemente di condizioni decise di volta in volta per diretto impulso dei governi, con contenuti ogni volta mutevoli. E dunque mi chiedo: che certezza può mai esservi che il trattamento oggi riservato all'Italia lo sarebbe domani, mettiamo, anche alla Germania? Cioè che siano effettivamente rispettate le «condizioni di parità» volute dalla Costituzione? Senza contare - altra considerazione all'apparenza non irrilevante - che sempre la nostra Costituzione stabilisce nel medesimo articolo che le limitazioni di sovranità di cui si sta dicendo possono essere fatte solo se «necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni». E allora ecco una nuova domanda: di quale «giustizia» è questione negli obblighi che dovremmo eventualmente prendere per salvarci dallo spread ? La giustizia del «guai ai vinti» o quale? (Corriere della Sera)
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