venerdì 24 agosto 2012

Fessi & furbi. Davide Giacalone

L’invito a non chiamar “furbi” gli evasori fiscali, giunto dal presidente del Consiglio, non aveva nulla di prezzoliniano. Mario Sechi ha reagito da uomo libero e giornalista che pretende di restare tale, sconsigliando chi governa dal dettare il vocabolario. Ma, al tempo stesso, ha suggerito a Mario Monti di rileggere Giuseppe Prezzolini. Suggerimento perfido e pepato, perché nella prosa di quel grande italiano, e nel cammeo citato (“L’Italia va avanti perché ci sono i fessi. I fessi lavorano, pagano, crepano. Chi fa la figura di mandare avanti l’Italia sono i furbi, che non fanno nulla, spendono e se la godono”), per “furbi” si può anche leggere “stronzi”. Sebbene il linguaggio dell’epoca non concedesse tali volgarità (e nel mentre me la concedo la detesto). La scurrilità oggi accessibile, però, consente di approfondire il prezzolinismo, dacché l’epiteto può essere utilizzato anche quale sinonimo di “fessi”. Perché gli uni e gli altri, in fondo, sono la definizione bifronte dell’italiano che non crede nello Stato, non crede nella collettività, non crede nella politica e, tendenzialmente, non crede in un bel niente di esterno alla famiglia (i leader politici cattolici ci credono così tanto che ne hanno diverse).

Prezzolini fu a lungo negli Stati Uniti, ove rappresentò la cultura italiana nonostante l’ostilità del governo italiano dell’epoca. Che era fascista. Al contrario di tanti altri intellettuali suoi coevi, Prezzolini non trasformò mai la benevolenza verso gli albori del fascismo in successivo comunismo, il che gli procurò l’ostilità dell’accademia marxisteggiante, che potremmo iscrivere d’ufficio all’Italia dei “furbi”. Ma erano anche “fessi”, perché passare dal fascismo al comunismo era come trascorrere la vita costantemente dalla parte del torto, sebbene sempre accompagnato dall’arroganza di chi pretende d’avere ragione. Quindi quei “furbi” “fessi” ben si descrivono con il sinonimo bifacciale, che non ripeto, perché oggi ho esaurito la mia scorta di volgarità.

Motivo in più, comunque, per leggere Prezzolini (Sechi è un uomo profondamente buono, capace di suggerire le riletture, io sono meno incline al volemose bene, quindi so e scrivo che Prezzolini non lo ha letto nessuno). Anche perché quel nostro vivace e impareggiabile connazionale è vero che tornò a vivere in Italia, a Vietri. Sul mare. Ma è anche vero che morì a Lugano (nel 1982), dove si trasferì ben prima (nel 1968). Lugano. Vi dice nulla? I più raffinati ricorderanno le note malinconiche di “Addio Lugano Bella, o dolce terra mia”. Canto degli anarchici scacciati. Più prosaicamente Lugano era ed è meta di soldi italiani sottratti al fisco. Ebbene, Prezzolini non era uomo da esportare illecitamente capitali, ma giunto in Italia scoprì che il fisco era vampiresco (e stiamo parlando di tempi in cui la pressione fiscale arrivava alla metà di adesso), quindi esportò sé stesso, con i propri redditi. Della serie, appunto, non faccio né il furbo né il fesso.

Credo che nella categoria dei “furbi” potrebbe collocarsi anche chi fa finta di non sapere che il fisco italiano è fatto su misura per i “fessi”, il che comporta il dovere civile di soddisfarlo, ma non quello morale di onorarlo. Il nostro erario non è affatto capace di scoprire i “furbi”, ma si abbandona ad azioni dimostrative, di stampo maoista, nella speranza che se non a redimerli quanto meno a sconsigliare loro gli eccessi sia la paura. Ma i furbi veri non hanno paura, perché incarnano l’incrocio fra i realisti (fra ricorsi e giudizi il fisco non scuce loro un tallero) e i menefreghisti (capita agli altri). Sì come è da furbi praticare la politica che soffia sul fuoco dell’invidia sociale, approfittando del consenso di chi vorrebbe vedere impalato il vicino di casa, reo di avere comprato un frigorifero esagerato, in grado di umiliare il vecchio arnese che in famiglia tante volte s’è proposto di cambiare, ma per il quale scarseggia la pecunia.

E’ da furbi andare a dire che gli evasori non si debba chiamarli “furbi”, prendendo l’appaluso dei fessi non meno che dei furbi. E’ una furbata perché il problema non è come li si definisce, ma che quanto chiesto dallo Stato è fuori da ogni limite di tollerabilità. Ed è da furbi supporre che gli altri siano talmente fessi da credere che se pagassero tutti ciascuno pagherebbe meno, perché fin qui è stato vero il contrario: più si paga e più lo Stato spende. Il che, del resto, è esattamente quel che il governo sinceramente sostiene, ovvero che il gettito serve per pagare i conti. Appunto.

Direi che diffondere il vocabolario del montianamente corretto è idea da furbi-fessi, nel senso che strizza l’occhio al popolo pagante e, già che ci si trova, gli strizza anche la saccoccia. Ma c’è una cosa, in quell’invocazione, che mi pare prezzolianamente apprezzabile: l’Italia sarà diversa quando non sarà più popolata da fessi che si sentono furbi e da furbi che sono inesorabilmente fessi. Fregarsi vicendevolmente, in una specie di collettivo rubamazzi, non è costruttivo. E manco divertente. Nonché micidialmente diseconomico. Chi si trova in alto può ben dare il buon esempio, magari un po’ deamicisianamente. Direi che Monti ha perso l’occasione e fatto un passo falso. Può rimediare, magari irridendo il prossimo settimanale da parrucchiere che provi a descriverlo come patriarca della tipica famigliuola italica. Anche i fessi, alla lunga, si stufano.

1 commento:

Anonimo ha detto...

tu sei il secondo. Non mi dimenticherò mai che sei stato condannato per aver preso tangenti. Cè la sentenza. Tu non hai letto ne i comandamenti ne la costituzione. Continui a spargere fango sul governo e centro sinistra. Certo non puoi farlo contro il tuo padrone come non l'ho fà sechi, direttore di un giornale che vende 10 copie e ne regala 45 mila. solo per prendere i sovvenzionamenti dell'editoria.